Questo non è un pezzo sul festival di Sanremo, ma parlarne non è una perdita di tempo

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Immaginate di vivere in un paese di fantasia. Ogni anno, da 75 anni, in questo paese si svolge una manifestazione culturale su cui si concentrano tutti per una settimana. L’evento diventa soprattutto un palcoscenico simbolico per riflettere sulla società e cogliere l’umore della popolazione

Immaginate di vivere in un paese di fantasia. Ogni anno, da 75 anni, in questo paese si svolge una manifestazione culturale (decidete voi il genere) che monopolizza l’attenzione degli abitanti per cinque giorni, anzi pure un po’ di più, diciamo per una settimana.

Alcuni se ne disinteressano, ma poiché l’attenzione di tantissimi è concentrata in un punto, chi non segue la manifestazione tende a restare in silenzio: questo aumenta la sensazione che in quei giorni ci sia un unico argomento di discussione che valga la pena affrontare.

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Il 2 per cento dell’anno

Nel corso di 75 anni, la manifestazione ha avuto alti e bassi, ha subito rinnovamenti, ha persino rischiato di morire. Ma non è morta. Ora faremo un calcolo, e per semplicità ipotizzeremo che abbia sempre occupato lo spazio d’attenzione di una settimana, e che sia stata un appuntamento in grado di calamitare un interesse comunque non ordinario, anche quando più debole.

Una settimana rappresenta poco meno del 2 per cento di un anno: proiettando questa percentuale su 75 anni, scopriamo che questo paese ha dedicato, in totale, quasi un anno e mezzo della propria storia a pensare e a parlare con intensità della manifestazione. Un tempo considerevole di attenzione collettiva, paragonabile alla durata di un conflitto bellico importante (uso l’esempio del conflitto bellico in quanto evento totalizzante).

Sarebbe però riduttivo considerare la manifestazione come un oggetto omogeneo, perché in realtà è un contenitore in cui trovano spazio temi e assilli vari: dall’arte al costume, dalla cronaca alle storie di vita, dalla politica agli scandali inattesi.

L’elemento unificante è la forma artistica (non so, faccio un esempio, l’evento si basa sulla musica). Ma per il resto, la manifestazione funziona come una lente d’ingrandimento: tutto ciò che riguarda la società può potenzialmente riflettersi nella manifestazione stessa, innescando conversazioni che proseguono ben oltre la settimana in cui si svolge.

Nell’economia dell’attenzione, che è a tutti gli effetti un’economia capitalistica di mercato, vale la regola per cui «i ricchi diventano sempre più ricchi». Un evento capace di polarizzare i discorsi ottiene un vantaggio competitivo, perché l’attenzione cresce in modo non lineare: più ne attiri, più velocemente ne attirerai ancora. Sulle piattaforme social, per esempio, si verifica un effetto di amplificazione algoritmica (gli algoritmi spingono sempre di più ciò di cui più si parla).

A livello psicologico e sociale, quando le persone percepiscono che «tutti stanno parlando di qualcosa» tendono a interessarsene a loro volta per non sentirsi escluse, o semplicemente per capire di cosa si tratti. Anche i giornali, la tv e i siti di informazione danno il loro contributo.

C’è poi un elemento di ritualità: è un appuntamento fisso nel calendario, una sorta di cerimonia laica. Persino chi segue “solo per criticare” contribuisce a rafforzare il senso di attesa collettiva. Una volta raggiunta una massa critica, l’attenzione si auto-rinforza, accelerando l’ascesa dell’oggetto nell’agenda mediatica. È quindi l’intreccio di algoritmi, tradizioni, tendenze e conversazioni a dettare la linea: nessuno dice esattamente “cosa” pensare, ma c’è un insieme di fattori che indica “a cosa” pensare.

Tempo ben speso

C’è poi un aspetto che può modificare la natura della manifestazione: le correnti politiche dominanti. L’evento si tiene infatti in un “luogo” pubblico (ipotizziamo una forma di diffusione televisiva o simile) soggetto all’influenza del potere politico. Dietro le quinte c’è chi decide linee editoriali, seleziona ospiti e definisce temi (faccio un esempio, naturalmente sempre di fantasia: la mamma, i bambini prodigio o i bambini con la lacrima).

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A seconda dell’orientamento o degli interessi prevalenti, la manifestazione diventa veicolo di messaggi. Tuttavia, poiché il paese che stiamo immaginando è democratico, e a ogni stimolo seguono reazioni di varia natura, l’evento resta soprattutto un palcoscenico simbolico per riflettere sulla società e cogliere l’umore della popolazione.

A conti fatti, quella settimana ogni anno non è uno spreco. Probabilmente, anzi, è tempo ben speso: esistono modi peggiori di affrontare una moltitudine di temi in maniera accessibile a tutti. Certo il risultato della settimana è una matassa difficile da sbrigliare: un gioco di società che contiene, in forma riflessa, la società stessa. Guardare dentro un evento che a sua volta guarda dentro di te. Forse dovremmo immaginare, per l’Italia, una manifestazione di questo tipo. Pensiamoci.

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