Una cinquantenne affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni è morta nelle scorse settimane a casa sua
, nella località dove viveva, in Lombardia, a seguito dell’auto -somministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, insieme alla strumentazione necessaria. La richiesta era stata fatta 9 mesi fa. Si tratta del sesto caso in Italia.
La notizia, così spiegata da Filomena Gallo e Marco Cappato, segretaria nazionale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni: «La Regione Lombardia ha fornito l’aiuto medico per la morte volontaria perché era suo dovere farlo. Si conferma così nei fatti ciò che avevamo sostenuto anche in occasione dell’irresponsabile decisione del Consiglio regionale di dichiararsi incompetente in materia».
La donna, a causa della malattia, era paralizzata e costretta a una condizione di totale dipendenza e necessità di assistenza continuativa e il suo è il primo caso in Lombardia.
«La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito e il mio gesto di porre fine non ha significato che non l’amassi» ha scritto nell’ultimo messaggio la donna, che ha avuto accesso alla procedura prevista dalla Consulta con la sentenza 242/2019 sul caso ‘Cappato/Antoniani’.
La paziente aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni ad inizio maggio 2024. L’azienda sanitaria a fine luglio 2024, dopo l’acquisizione del parere del comitato etico, le ha comunicato il possesso dei requisiti stabiliti dalla Corte con la sentenza Cappato (capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dal richiedente, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale).
Ha potuto così procedere con l’auto-somministrazione del farmaco letale nel gennaio scorso, nella propria abitazione, assistita dal dottor Mario Riccio e circondata dai suoi cari, come spiega l’Associazione.
Gallo e Cappato, sottolineano che «se fosse stata in vigore la nostra legge di iniziativa popolare ‘Liberi subito’, Serena avrebbe potuto seguire una procedura chiara e definita invece di dover affrontare, insieme al personale sanitario, una corsa a ostacoli durata 9 mesi. Chiediamo al presidente Fontana di tornare sulla materia, riesaminando il contenuto della nostra legge e emanare un atto di Giunta, come preannunciato dal presidente Zaia in Veneto».
Tarzia (FI): ‘Non serve una legge nazionale’
«Io credo innanzitutto che rispetto a un tema che, come questo, coinvolge la vita delle persone, bisogna avvicinarsi in punta di piedi. Una legge nazionale non serve, c’è certamente da declinare determinate indicazioni che già sono arrivate dalla Consulta, ma già si sta lavorando in Commissione giustizia al Senato. È un tema che coinvolge vari aspetti da un punto di vista etico, da un punto di vista giuridico, sociale, sanitario, amministrativo e politico”. Così Olimpia Tarzia, responsabile nazionale del dipartimento Bioetica e Diritti Umani di Forza Italia, parla del fine vita su Radio Cusano Campus.
“Sul piano giuridico «in Toscana si è interpretato ciò che ha detto la Consulta come un diritto a morire, che però non esiste: la Consulta non ha mai parlato di questo. Sia la sentenza 242 del 2019 che la 135 del 2024 escludono chiaramente che si possa arrivare a una sorta di diritto alla morte, anzi ribadiscono che tutto il nostro ordinamento tutela e riconosce il diritto alla vita come primo diritto fondamentale. È chiaro che poi va valutata, in determinate situazioni molto circoscritte, l’eventuale non punibilità».
«Queste fughe in avanti – conclude Tarzia – le considero delle fughe all’indietro, perché veramente si va contro quelli che sono i diritti umani. Sono però assolutamente incostituzionali. C’è chiaramente una spinta di impostazione ideologica in alcune Regioni, ma c’è anche una disparità: se, ad esempio, la Toscana parte con questo tipo di azioni e di atti amministrativi sanitari, si crea comunque una disparità a livello nazionale, e questo non è accettabile».
«Rischiamo di fomentare una sorta di turismo di morte, non saprei come chiamarlo», aggiunge.
Gelmini: ‘Il dibattito sul fine vita va fatto in Parlamento’
Il dibattito sul fine vita va affrontato in Parlamento,
si tratta di «un tema complesso che riguarda la vita e la morte delle persone. Non si può, quindi, improvvisare o commettere errori né farne una bandierina di partito». Lo ha detto Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati-Centro Popolare.
«Il Parlamento purtroppo – ha aggiunto – è in ritardo, perché arrivare a un’intesa richiede tempo. Nonostante ciò, quello del fine vita resta un tema nazionale e spetta alle Camere esprimersi. Non può valere il principio secondo cui, siccome il Parlamento non legifera, ogni regione si sente libera di intervenire a casa sua su un tema così complesso. Io sono favorevole all’autonomia differenziata, ma in questo caso la competenza è nazionale e non si può costruire una legislazione Arlecchino. La sentenza della Corte Costituzionale, del resto – ha affermato – non ha introdotto un diritto generale al suicidio assistito, quindi l’invito è a non fare fughe in avanti. Come dice Papa Francesco, bisogna aver rispetto della vita, no alla cultura dello scarto».
Il compito delle Regioni, dunque, «è garantire a tutti i cittadini che ne hanno bisogno le cure palliative e nei casi più gravi l’assistenza domiciliare h24. Così come credo che debba esserci uno spazio intimo e personale affidato al dialogo tra paziente, medico e familiari del paziente per evitare l’accanimento terapeutico e una conclusione della vita senza sofferenza. Creiamo in Parlamento le condizioni affinché si possa giungere quanto prima a una soluzione nazionale», ha concluso (ansa).
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