Un articolo decisamente e nettamente a favore del Ponte sullo Stretto da parte di uno dei giornali più “anti Salvini” che ci sia, Il Foglio. E’ quello che succede quando si esce fuori da ideologia e beghe politiche (vero, Repubblica?), quando si sa analizzare la realtà con logica e lucidità. La firma? Di Stefano Cingolani, uno dei giornalisti più autorevoli e preparati in assoluto in Italia, ma comunque di Sinistra in quanto a orientamento politico. Cosa fa, Cingolani? Con un pezzo lunghissimo e approfondito, spiega perché il Ponte sullo Stretto è importante soprattutto per l’Italia e per l’Europa, nel contesto del corridoio scandinavo-mediterraneo e nell’ottica protezionista di Trump.
Nelle pagine odierne de Il Foglio viene preso in esame il Ponte Øresundsbron, quello che divide Svezia e Danimarca. Il giornalista evidenzia i benefici successivi alla realizzazione e fa notare i tanti parallelismi con quello sullo Stretto. Di seguito l’articolo integrale, a tutta pagina, a cui il quotidiano ha riservato grande importanza.
Ostenfeld, Cowi e le somiglianze tra Øresundsbroen e Ponte sullo Stretto
“Klaus Ostenfeld, 85 anni ancora da compiere, ama guardare i ponti e ascoltare il ronzio delle vetture che lo attraversano, il fischio dei treni, le sirene delle navi che scivolano sotto le campate. “C’è un fascino particolare, qualcosa di magico”, confessa. Ammira la possente presenza delle loro strutture che sfidano lo scorrere del tempo e la “natura matrigna”, ma la sua non è solo fascinazione estetica: il ponte è il mezzo che fin dall’origine della storia consente all’uomo la sua libertà e lui ne ha costruiti alcuni dei più belli ed eleganti. Ostenfeld è un ingegnere e un sognatore, celebrato in tutto il mondo. Oggi insegna all’Università di Aarhus nella sua Danimarca, fino al 2018 ha diretto la Cowi, fondata da suo zio Christen nel 1930, tra le prime società di progettazione al mondo. Ed è un uomo chiave in uno dei grandi progetti dell’Europa unita: il corridoio scandinavo-mediterraneo. Si deve a lui il primo collegamento diretto, stradale e ferroviario, tra la Svezia e la Danimarca, attraverso il più lungo ponte strallato al mondo. Ma c’è sempre Ostenfeld dietro al ponte tra Scilla e Cariddi. Sul primo, il ponte di Øresund che i danesi insistono a scrivere Øresundsbroen e gli svedesi Öresundsbron, si sente il ronzio del traffico ormai da 25 anni, il secondo spera di vederlo prima di dire addio a questa terra”.
“Il legame tra il grande nord e il sud del Vecchio Continente non è una delle magnifiche ma astratte utopie europeiste. I vantaggi pratici, sociali oltre che economici, sono evidenti. Oggi poi l’idea acquista una vera rilevanza strategica. La scelta protezionista di Donald Trump è destinata a sconvolgere il commercio mondiale. Il traffico attraverso l’Atlantico si ridurrà e aumenterà quello che dal Mar Rosso passa attraverso Suez. L’approdo naturale è la Sicilia, se fosse collegata fisicamente al continente sarebbe davvero al centro del nuovo gioco degli scambi. Perché ciò avvenga il Ponte sullo Stretto è un’opera essenziale, non un monumento all’ego politico, non una celebrazione governativa o di regime come sostengono i suoi oppositori, ma lo snodo che manca nel corridoio scandinavo-mediterraneo”.
“Paradossalmente dovremmo dire grazie a Donald Trump. La risposta europea più efficace alle tariffe americane è l’aumento degli scambi con l’oriente, con l’area indo-pacifica e con la stessa Oceania. Tutti questi traffici, per lo più attraverso il Mar Rosso e il canale di Suez, rendono ancor più strategico il Mediterraneo. L’Italia può cogliere l’occasione, ma ha bisogno di diventare davvero la grande passerella tra nord e sud. L’attuale spina dorsale ferroviaria e stradale non è sufficiente. E’ essenziale potenziare anche i punti di attracco dei grandi container che vengono dal Mar Rosso. Per attrarre chi va verso l’Europa centro-orientale si è candidato il Pireo nel quale svolge un ruolo chiave la Cina. Il suo punto debole è che una volta sbarcate le merci non trovano infrastrutture adeguate. Per l’Europa centro-settentrionale c’è Genova che non è sufficiente, resta ancora mal collegata via terra persino con Torino e Milano. Si stanno costruendo strade, gallerie, ferrovie ad alta velocità, ma ci vuole tempo”.
Le porte d’ingresso: Augusta in Sicilia e Gioia Tauro in Calabria
“Le due porte d’ingresso oggi sono a sud: l’uno è Augusta in Sicilia e l’altro Gioia Tauro in Calabria, il Ponte sullo Stretto è il loro anello di congiunzione. Affinché ciò avvenga è necessario costruire quella rete che oggi non c’è ancora, ma esiste sulla carta se mettiamo insieme i progetti del Pnrr e quelli che coinvolgono la regione Sicilia e le ferrovie. Secondo l’ultimo piano industriale del gruppo ES del 2024, entro il 2034 oltre 50 miliardi di euro saranno investiti per migliorare la qualità del servizio della rete ferroviaria gestita da RFI, con ulteriori 60 miliardi di euro destinati alla trasformazione della rete stessa. Anas investirà 40 miliardi di euro per strade e autostrade, di cui 25 miliardi per nuove opere e 15 miliardi per migliorare la qualità del servizio. Non è stato facile, nemmeno su al nord, unire due paesi per molti versi così simili eppure tanto diversi”.
Cosa si diceva del Ponte tra Svezia e Danimarca
“Il ponte tra Svezia e Danimarca non è una priorità, si è detto per anni. Costa troppo. Con la crisi industriale che colpisce il territorio bisogna sostenere i lavoratori che perdono il posto. I traghetti funzionano bene, dopo saranno costretti a chiudere e ci saranno altri disoccupati. Cambierà l’equilibrio ecologico, non è chiaro l’effetto delle correnti. E gli uccelli migratori? Lo stretto è battuto da venti fortissimi che creano pericoli per le auto e per i treni. E le navi potranno passare? L’elenco può continuare. Abbiamo messo insieme le geremiadi che ha accompagnato l’annoso e spesso aspro dibattito degli anni 90, come si vede rispecchia esattamente le polemiche, le idiosincrasie, gli argomenti che si usano ancor oggi in Italia per il Ponte sullo Stretto di Messina”.
“Il corridoio nord-sud fa parte della rete di trasporti europei sancita dal Trattato di Maastricht approvato nel febbraio 1992, ma se ne discuteva già da tempo e l’accordo tra Danimarca e Svezia risale al 1991. Il Partito verde ha condotto la sua battaglia di qua e di là del braccio di mare, così quello social-democratico al governo della regione e dell’intera Svezia. Poi si è deciso e in cinque anni il progetto è stato completato al costo di quattro miliardi di euro. I reali dei due paesi scandinavi l’hanno inaugurato il primo luglio 2000 salutando l’inizio di una nuova fase storica che collega il nord e il sud del continente. Impressionante se pensiamo a quel che avviene in Italia. Certo, ci sono profonde diversità, anche geologiche, tecniche, sociali, ma la vera differenza si chiama democrazia governante”.
Le prossime tappe verso la realizzazione del Ponte sullo Stretto
“L’Øresundsbron è l’anello settentrionale al quale deve corrispondere secondo il progetto europeo l’anello meridionale tra Calabria e Sicilia. In Italia se ne parla dalla notte dei tempi, dopo l’unità lo ha riproposto Giuseppe Zanardelli: “Sopra i flutti o sotto i flutti, la Sicilia sia unita al Continente!”, sentenziò nel 1866. Sono trascorsi 149 anni e adesso, a quanto pare, si farà. E sopra i flutti. Il primo concorso internazionale è stato indetto dal ministero dei Lavori pubblici italiano nel 1969. L’opera nella sua soluzione definitiva è stata individuata nel 1992. Nel 2003 è stato approvato il progetto preliminare, poi è stata indetta la gara europea per la progettazione definitiva, esecutiva e costruzione dell’opera, nel 2006 la Società Stretto di Messina ha affidato la progettazione definitiva, esecutiva e costruzione dell’opera alla Società di Progetto Eurolink S.C.p.A., della quale è leader e socio di maggioranza il Gruppo Webuild (Condotte 1880 possiede il 15 per cento del consorzio)”.
“Il 20 dicembre del 2010 Eurolink ha consegnato il progetto definitivo approvato dalla società Stretto di Messina nel 2011, l’anno in cui è scoppiata la crisi del debito sovrano in Grecia, Spagna e Italia. Il governo Monti ha fermato tutto e ci sono voluti undici anni per riaprire i cassetti. Un decreto convertito in legge il 26 maggio 2023 ha dato il colpo di ripartenza. Il comitato scientifico, organo indipendente, e la commissione Via (valutazione d’impatto ambientale) hanno proposto aggiustamenti e migliorie, poi hanno acceso il semaforo verde. L’apertura è prevista nel 2032, sono stati stanziati 13,5 miliardi di euro, il 40 per cento dei quali per la costruzione dell’infrastruttura. Ma si aspetta l’approvazione del comitato interministeriale per la programmazione (Cipess) che ancora non è stato convocato. Paradossalmente tutto è pronto tranne il governo che ne ha fatto un punto importante del suo programma”.
Come l’Øresundsbron ha cambiato il futuro delle due sponde
“Con l’Øresundsbron c’è una grande differenza tecnica. Quello italiano sarà il ponte sospeso più lungo al mondo, con una lunghezza complessiva di 3.666 metri ed una campata sospesa di 3.300 metri. Quello scandinavo ha una campata di appena 490 metri, per il resto è sorretto da slanciati piloni in cemento. L’intero complesso si compone del più lungo tunnel sottomarino ferroviario e stradale (4 chilometri) e di un’isola artificiale. La Cowi è la società di progettazione alla quale si è affidato il consorzio Eurolink guidato da Webuild, per riprendere in mano quella confusa pila di idee, proposte, disegni che si sono accumulate in decenni di stop and go. Il parallelismo tra i due progetti non è solo ingegneristico, ma molto più vasto”.
“L’Øresundsbron ha cambiato radicalmente l’economia, la società, l’organizzazione amministrativa, ha creato una regione integrata con le proprie istituzioni, ha rilanciato l’area meridionale della Svezia. Oggi chi abita a Malmö o a Lund può andare al rinomato Teatro dell’Opera a Copenaghen e tornare a dormire a casa propria, bastano 34 minuti di treno. Spesso si vive su una sponda e si lavora nell’altra. Secondo alcune stime il ponte ha accresciuto di circa l’equivalente di 8 milioni e mezzo di euro l’anno in ciascuno dei due paesi nonostante i limiti imposti dalla Danimarca ai lavoratori non europei. Numerosi studi hanno mostrato una spinta allo sviluppo di settori innovativi, un aumento dei salari medio del 13,5 per cento, la creazione di nuovi posti di lavoro. Sono nate nuove istituzioni e strutture amministrative, ormai l’intera area è conosciuta di qua e di là dallo stretto come Regione unica e gode di autonomia economica e amministrativa. Potrebbe accadere lo stesso tra Messina e Reggio Calabria? E’ questa la vera sfida della quale non si parla, non abbastanza”.
Come cambierebbe il futuro di Reggio e Messina
“Le infrastrutture di trasporto sono la spina dorsale, poi occorrono i muscoli. Messina non è Copenaghen e Reggio non è Malmö, ma è anche vero che Sicilia e Calabria non sono due stati, non sono la Danimarca e la Svezia, non occorrono trattative diplomatiche per far nascere un’integrazione socioeconomica e istituzioni comuni. Bisogna volerlo e mettere a disposizione risorse economiche e intellettuali. Esistono poli universitari importanti, Palermo, Catania con la sua “valley” che ruota attorno ai semiconduttori della STMicroelectronics, l’Università della Calabria secondo il Censis è al primo posto tra i grandi atenei italiani”.
“Che fine fanno i giovani laureati? Per lo più vanno a Milano o a Roma. Insomma un grande progetto che incorpori il Ponte e vada al di là dello Stretto ha tutti i presupposti per diventare realtà. Non sogni, ma programmi. Se si ha la pazienza di raccoglierne le tracce si può capire che molti semi sono stati gettati, ma in modo spontaneo, spesso casuale e contraddittorio. Per fare un esempio, in Sicilia si contano molte startup, la maggior parte delle quali sfioriscono prima di dare frutti. Manca il venture capital, manca l’ambiente esterno che fa da incubatore, si può continuare con la giaculatoria, ripetitiva, anche se basata sulla realtà. L’operazione Ponte sullo Stretto può fare da acceleratore?”.
Tutte le risposte alle solite domande
“Alle obiezioni tecniche (che spesso coprono resistenze politiche) la società Stretto di Messina e Webuild replicano che il ponte è progettato per resistere a venti di velocità e di intensità mai registrata nel Mar Mediterraneo (270 chilometri l’ora, ma le prove in galleria hanno mostrato che regge fino a 292 chilometri) e a terremoti classificati come distruttivi. Alcuni dei più grandi ponti sospesi, in Giappone e Turchia, sorgono in aree sismiche e hanno dimostrato di saper resistere a scosse rilevanti. La faglia sismica di Cannitello non è attiva e non interseca i piloni del Ponte sullo Stretto secondo uno studio dell’Università La Sapienza insieme all’Istituto di geofisica e vulcanologia”.
“Potranno passare le grandi navi da crociera? L’altezza sul livello del mare dell’impalcato del Ponte sullo Stretto di Messina è di 72 metri al bordo del canale navigabile, che ha una larghezza di 600 metri. “Tale franco navigabile si riduce a 70 metri in presenza di condizioni di traffico ordinario, ovvero con pieno carico delle corsie stradali e due treni passeggeri in contemporanea”, spiega l’analisi tecnica. Ma il traffico ferroviario può essere regolato in modo che passi quando è necessario un convoglio alla volta. E l’impatto sull’occupazione? La Società Stretto di Messina stima che in cantiere saranno occupati mediamente 4.300 addetti all’anno che raggiungeranno un picco di 7.000 addetti nel periodo di maggiore produzione. Per tutta la durata del cantiere (sette anni) si avrà dunque un impatto diretto di circa 30 mila lavoratori ai quali aggiungere l’indotto stimato in 90 mila occupati. Poi sono previste opere di collegamento sui versanti Sicilia e Calabria funzionali al Ponte, opere non funzionali al Ponte (per esempio le tre stazioni della metropolitana di Messina e il centro direzionale in Calabria) e Opere di mitigazione e compensazione ambientale”.
“Il ping pong tra favorevoli e contrari può continuare a lungo, ma tutto questo gran discutere ha evitato di affrontare quel che più conta, cioè una vasta anche se concreta valutazione strategica. Torniamo alla guerra delle tariffe. L’economista di Harvard Dani Rodrik, a lungo critico della “iper-globalizzazione”, ha spiegato in una intervista al World Economic Forum che una guerra commerciale su scala mondiale finisce per danneggiare gli Stati Uniti perché il resto del mondo assorbe il 95 per cento dei beni e servizi scambiati. Anche se, ovviamente, il mercato americano resta il più ricco e il vantaggio tecnologico degli Usa rende necessario importare prodotti e servizi a stelle e strisce. Va aggiunto che i flussi di denaro potranno cambiare direzione, ma non possono essere chiusi da un muro”.
“La risposta europea più efficace, non fare le barricate o buttarsi a casaccio nel ring, ma intercettare le nuove direttrici della finanza e del commercio. L’Italia discute sulla sua collocazione strategica da sempre. “In mezzo al Mediterraneo, ma abbarbicata alle Alpi”, diceva Gianni Agnelli. Nel Mediterraneo, oltre le Alpi e verso i Balcani, diceva Gianni de Michelis quando era ministro degli Esteri. Le pulsioni isolazioniste fanno solo del male. Il governo Meloni ha lanciato un piano Mattei verso l’Africa ancora tutto da definire. Ma la risposta più semplice ce la offre la realtà: l’Italia, uno dei primi paesi per la manifattura e per l’export, trova il suo naturale posto nella “divisione internazionale del lavoro” come pedana tra Europa e resto del mondo”.
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