Nordio snobba la Cpi, le opposizioni e le toghe

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Ci sarebbe una mozione di sfiducia delle opposizioni che si discuterà martedì 25 febbraio. Ci sarebbe la Corte penale internazionale che incombe con le sue richieste di spiegazioni. E ci sarebbero pure i magistrati che il giovedì 27 febbraio sciopereranno con la riforma che porta il suo nome. Ma Carlo Nordio non pare particolarmente impensierito da queste cose. È in Turchia il Guardasigilli, e parla di tutt’altro. Davanti alla comunità d’affari italo-turca, oltre alla solita difesa della separazione delle carriere che, a suo dire, completerebbe la riforma del codice di procedura penale del 1989, il ministro si è lasciato andare a qualche considerazione anche sul vero problema della giustizia, cioè il suo funzionamento. «Una giustizia al servizio delle imprese e dell’economia è quello che ha contraddistinto la mia azione sin dall’avvio del mio mandato nell’ottobre 2022», ha detto Nordio, che poi si è vantato del calo dei tempi dei processi. Un merito che non è certamente suo, come spiegato all’apertura dell’anno giudiziario tre settimane fa da tutti i presidenti delle Corti d’appello. Che avrebbero pure espresso lamentele sulla cronica carenza di personale e sull’enorme mole di lavoro che ogni giorno transita per i tribunali.

UN PROBLEMA che in via Arenula di certo conoscono ma che non è esattamente in cima alla lista delle priorità. In questi giorni i magistrati e i funzionari in servizio da quelle parti sono al lavoro per capire come smorzare la palla avvelenata lanciata dall’Aja con l’apertura di un procedimento sull’Italia per il bizzarro modo con cui è stato gestita la faccenda del torturatore libico Osama Elmasry. Se in un primo momento l’idea di tutto il governo era di alzare i toni della discussione fino ai confini dello scontro frontale con i giudici della Corte penale internazionale, negli ultimi giorni sta cominciando a prevalere la linea opposta: stemperare, alleggerire, spiegare. Un po’ è la linea dell’avvocata Giulia Bongiorno – chiamata peraltro a difendere Meloni, Piantedosi, Mantovano e lo stesso Nordio davanti al tribunale dei ministri -, e un po’ è una scelta tattica della premier, che sul fronte della giustizia propenderebbe per un cessate il fuoco. Quantomeno fino all’incontro, fissato al 5 marzo, con il nuovo presidente dell’Anm Cesare Parodi, esponente di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice che in passato ha visto tra i suoi maggiori esponenti proprio Nordio e Mantovano. La situazione dovrebbe rimanere più o meno stabile fino al giorno dello sciopero delle toghe (la mozione di sfiducia preoccupa tra il poco e il niente): un’adesione di massa sarebbe una conferma della «linea dura» contro la riforma e una conferma dell’unità dell’Anm, secondo lo «spirito del 15 dicembre» (data dell’assemblea, l’ultima dell’era Santalucia, in cui è stata varata l’astensione). Se invece i numeri non dovessero essere soddisfacenti, tutto tornerebbe in gioco, perché significherebbe che il lavoro del governo ai fianchi della magistratura organizzata ha sortito qualche effetto.

GIÀ, perché questa apertura di Meloni alla trattativa sulla riforma, sin qui si configura soprattutto come elemento di disturbo del dibattito, in assenza di elementi concreti per poter esprimere valutazioni compiuti. Dalle parti della maggioranza, al massimo, si parla dell’eventualità che il futuro sorteggio dei consiglieri del Csm venga «temperato», ma non risultano passi concreti in questo senso. Così come non si registrano passi indietro sulle altre questioni aperte: sulle deportazioni di migranti in Albania sarebbe allo studio un nuovo piano per rispondere alle bocciature dei tribunali; sul pm di Roma Francesco Lo Voi – atteso al Copasir la settimana prossima per dire la sua sull’uscita dalle carte dell’Aisi nel caso Caputi – continua a piovere fango; sulla riforma Nordio ripete che si andrà avanti senza tentennamenti (lo ha detto anche in Turchia). E per le toghe il segretario di Area democratica per la giustizia Giovanni Zaccaro è da un po’ che chiarisce i reali termini della questione: «Non esiste una trattativa». Perché la riforma non è un tema sindacale, ma un tema che riguarda la Costituzione. E in certi casi si può solo stare da una parte o dall’altra della barricata.

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