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Berna dice stop alle perdite alimentari evitabili. La ristorazione riduce i buffet. Tanti attori, un obiettivo: dimezzare gli sprechi. Ecco chi fa cosa
Berna dice stop alle perdite alimentari evitabili. La ristorazione riduce i buffet. Tanti attori, un obiettivo: dimezzare gli sprechi. Ecco chi fa cosa
Ogni famiglia elvetica (di 4 persone) spende in media 2mila franchi l’anno per cibo che poi finisce nella spazzatura. Il portafoglio ne risente, l’ambiente ne soffre, poco cambia. Le cifre sono impressionanti. Quasi un terzo degli alimenti prodotti in Svizzera (circa 2,8 milioni di tonnellate di cibo l’anno) viene gettato via, sprecando preziose risorse e causando problemi anche di smaltimento. La Confederazione 3 anni fa ha tirato il freno a mano, ponendo un obiettivo: dimezzare le perdite alimentari evitabili entro il 2030 (rispetto al 2017). Per arrivarci, l’obiettivo intermedio è una riduzione del 25% a fine 2025. C’è un piano di azione e degli attori – ossia il settore alimentare, dalla produzione alla vendita – con cui Berna ha stipulato nell’aprile 2022 un accordo: i firmatari devono impegnarsi a misurare gli sprechi, fornire le cifre e agire. Tra qualche mese si vedrà se tutti hanno fatto i compiti, se le misure messe in campo hanno portato a risultati. Solo slogan politici o sta cambiando davvero qualcosa? Ne parliamo con Claudio Beretta, ricercatore in scienze ambientali alla Scuola di scienze applicate di Zurigo e presidente di foodwaste.ch. Beretta è nel team che analizza le cifre sugli sprechi inviate dal settore alimentare. Sono la base per le prossime decisioni dell’Ufficio federale dell’ambiente e del Consiglio federale.
Berna vuole dimezzare lo spreco alimentare del 25% entro fine 2025 e della metà entro il 2030. Il tutto rispetto al 2017. Ce la facciamo?
Dipende da settore a settore. Il primo passo è capire dove si spreca cibo, perché e come porvi rimedio. Ad esempio, alcuni attori dell’industria alimentare stanno studiando come riutilizzare ogni scarto, trasformandolo, se possibile, in un nuovo prodotto, che possa restare nel circuito alimentare. È un processo che richiede tempo ma porta risultati. Probabilmente quest’anno siamo lontani da una riduzione del 25%, perché gli effetti di tante misure in corso li vedremo più in là. Per il 2030 sono più fiducioso. Ce la faremo solo se la Confederazione supporta effettivamente lo sviluppo con incentivi e altre misure.
Dalle statistiche, sembra che il commercio al dettaglio sia virtuoso. Nell’industria della trasformazione, ristorazione o economie domestiche le perdite
sono decisamente più alte. Supermercati fanno tutto bene?
Sulle quantità di cibo gettato nei negozi, sembra di sì: abbiamo le prime statistiche affidabili su cibo venduto, non venduto e donato. Evidenziano una riduzione degli sprechi. Però il commercio al dettaglio influenza sia produttori sia consumatori. Ad esempio, c’è molto da fare sulle rigide norme estetiche di frutta e verdura. Un tema su cui la Confederazione pianifica gruppi di lavoro intersettoriali. Mentre una misura efficace è il prolungo delle scadenze di molti prodotti. Invece di buttarli via si può donarli, venderli scontati, sensibilizzando nel contempo i consumatori sul vero significato delle scadenze.
Nuove linee guida federali permettono di allungare di un anno la vita di molti alimenti poco deperibili (come riso, cereali…): negozi e supermercati vendono pasta scaduta?
Vediamo qualche raro caso virtuoso, come ad esempio il supermercato Spar che da alcuni mesi vende prodotti scaduti, come la pasta. Quasi tutta la grande distribuzione applica queste nuove norme solo quando dona il cibo, non quando lo vende. Il punto è che non tutte le filiali collaborano con associazioni come Tavolino Magico o Tavola Svizzera. Vendere prodotti scaduti sarebbe invece una soluzione per chi non li dona.
Queste guide federali permettono anche di salvare cibo deperibile (come la carne). Se viene congelato prima della scadenza resta commestibile per altri 90 giorni. C’è chi ha iniziato a farlo?
Qualcosa si muove, anche se dipende ancora troppo dalla sensibilità dei singoli responsabili. Ad esempio Denner congela questi prodotti deperibili, poi li dona a Caritas. Soprattutto carne e pesce, alimenti con un grande impatto ambientale. Da qualche mese Coop salva la carne congelandola e la vende a prezzo ribassato. Dopo qualche investimento e test a Basilea, la soluzione antispreco sembra convincere.
Quali altre misure antispreco si consiglia ai supermercati?
Vendere più prodotti di seconda scelta o di dimensioni diverse. Così anche i clienti capiscono che un ortaggio fuori norma può essere buono e non va scartato, come ad esempio patate deformate o carote a due gambe. Anche ottimizzare il management dei prodotti, evitare sovraordinazioni, accettare che non tutti i prodotti stagionali sono sempre disponibili, offrire più prodotti sfusi o in confezioni più piccole. Così i clienti possono fare acquisti basati sulle loro reali esigenze.
Che cosa stanno facendo invece comuni, città, cantoni?
Anche qui, molto dipende dalla sensibilità dei singoli. Varie città organizzano pranzi ‘food save‘ dove rinomati cuochi cucinano in piazza menù con cibo buono che era destinato al macero. Il canton Argovia ha invece collaborato con due villaggi dove per un mese le economie domestiche hanno misurato e analizzato il loro pattume in un’ottica di salvare più cibo possibile. Ci sono poi autorità che intervengono sulle mense di scuole, case anziani e altre imprese pubbliche per ridurre gli sprechi.
Le aziende alimentari stanno cercando soluzioni antispreco?
Tra le imprese che hanno firmato il piano d’azione c’è chi fa notevoli passi avanti e chi ha difficoltà a soddisfare i requisiti minimi dell’accordo. Dipende non solo dai processi di elaborazione e dalla vendibilità dei prodotti secondari da valorizzare, ma anche dalla motivazione e dal potere di chi porta avanti questi progetti dentro l’azienda.
Altro punto: gli sprechi nella ristorazione. Si sta agendo?
Abbiamo visto imprese con tanti ristoranti dimezzare gli sprechi in 2 anni. Quindi è possibile fare grandi passi in poco tempo. Un punto critico sono, ad esempio, gli avanzi del buffet. Spesso aiuta la regola: “Meno è meglio”. In altre parole: porzioni più piccole, piatti più piccoli e menù che si possono riutilizzare. Meglio servirsi una volta in più anziché riempire subito il piatto con una porzione troppo abbondante. Meglio riempire il cestino del pane con poche fette anziché buttare via gli avanzi. Misure di questo tipo stanno portando risultati. Occorre coinvolgere anche i ristoranti di medie e piccole dimensioni per ridurre in modo efficiente le perdite di cibo. Su 30mila imprese gastronomiche in Svizzera solo alcune centinaia, le più grandi, si stanno impegnando.
Abitudini da cambiare dalla spesa al piatto
Molti non sanno che lo spreco alimentare è responsabile di un quarto dell’impatto ambientale totale in Svizzera. Col cibo non consumato gettiamo via anche risorse preziose come acqua, energia usati per produrlo. Anche il suolo ha un ruolo: servirebbe una superficie grande quanto la città di Zurigo per produrre tutto il cibo scartato in Svizzera (secondo l’Ufficio dell’ambiente del canton Basilea). Il sistema alimentare inquina più della mobilità. Si spreca cibo dal campo al piatto. Tutta la filiera è coinvolta. E a ogni fase della catena di lavorazione e trasporto, l’impatto ambientale aumenta. Tanto per capirci, una cipolla dimenticata nell’orto inquina molto meno di quella gettata via a domicilio e acquistata al supermercato. Al primi posti degli alimenti più gettati via ci sono pane e verdure: entrambi si consumano solo freschi e sono abbastanza deperibili.
Costi ambientali sul prezzo del cibo
Ai primi posti degli alimenti più gettati via ci sono pane e verdure: entrambi si consumano solo freschi e sono abbastanza deperibili. «I costi ambientali non gravano sul prezzo degli alimenti, altrimenti faremmo più attenzione a non sprecarli», precisa Beretta.
I rifiuti alimentari domestici rappresentano una percentuale significativa, rispetto a quanto accade nell’intera catena di approvvigionamento. Tra i consigli dell’esperto c’è quello di imparare a conservare gli alimenti. Molti non sanno ad esempio che ci sono verdure e frutti che si influenzano a vicenda. La banana o la mela accelerano la maturazione degli ortaggi, che hanno vicino e li fanno marcire velocemente. «In nessun altro ambito possiamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente con misure così semplici e allo stesso tempo risparmiare soldi. Cominciamo già oggi!», conclude.
«Nessuno vuole gettare via cibo, ma succede purtroppo per vari motivi anche comportamentali. Pianificare e fare la lista della spesa evita ad esempio acquisti impulsivi e in eccesso. È stato appurato che a stomaco vuoto, trasportati dallo stimolo della fame, si rischia di acquistare cibo in grande quantità. Quindi meglio farla dopo aver mangiato», ci spiega la professoressa Pia Furchheim dell’istituto di marketing, psicologia comportamentale e prezzi alla Scuola di scienze applicate di Zurigo. Altro aspetto è imparare a riutilizzare gli avanzi, come facevano le generazioni precedenti. «È una buona pratica avere delle ricette per riutilizzare quello che resta, saper cucinare con quello che c’è nel frigo e fare una sera a settimana dedicata agli avanzi», precisa. In generale, prima di uscire, meglio verificare cosa si ha in casa, pianificare i prossimi pasti e fare la lista della spesa. «Meglio se è mirata, comprando quanto si intende cucinare».
Tornare ad annusare e assaggiare
Diversi studi, continua l’esperta, dimostrano che c’è l’abitudine diffusa a gettare via gli alimenti scaduti ma ancora buoni. Molti non sanno che un alimento oltre il termine minimo di conservazione è ancora buono, magari meno fragrante ma commestibile. Comprendendo meglio i termini di scadenza e tornando a osservare, annusare e assaggiare il cibo, si eviterebbero tanti sprechi. Ci sono poi differenze generazionali nell’approccio alle dosi quando si cucina, l’eccesso di cibo, poi non consumato, porta allo spreco.
«Osserviamo in generale che i giovani hanno la tendenza a portare il cibo al lavoro, dunque cucinano una grande quantità per più pasti. Poi si stufano e gettano via. Mentre le generazioni precedenti, abituate a mangiare ciò che c’è nel piatto, lasciavano meno avanzi», commenta.
Il cuoco in piazza e in classe
La grande sfida è come fare un’efficace sensibilizzazione per raggiungere le economie domestiche elvetiche e cambiare, generazione dopo generazione, delle abitudini consolidate. «Servirà tempo. Si può usare, ad esempio, la leva economica. Molti non sono consapevoli di gettare via 600 franchi a testa l’anno per cibo acquistato e non usato».
L’esperta cita alcune iniziative interessanti portate avanti da città elvetiche per sensibilizzare la popolazione. Come ad esempio cuochi che cucinano in piazza frutta e verdura esteticamente non belle ma buone o insegnano nuove ricette per riutilizzare gli avanzi così non si spreca cibo e si dà più valore al proprio cibo e al proprio denaro. «Andrebbe fatto anche durante le lezioni di educazione alimentare a scuola, così da sensibilizzare i giovani», precisa Furchheim. Infine, in molte città sono spuntati i democratici frigo pubblici, spesso gestiti da gruppi di volontari, dove chiunque può portarvi ad esempio le lasagne o altri prodotti che non consuma o vende più, mettendoli gratuitamente a disposizione di tutti.
Nella Svizzera tedesca, è stata l’associazione ‘Restessbar’ ad aver lanciato il concetto. Nata a Berna nel 2014, l’associazione ‘Madame Frigo’, grazie alla creatività di 4 studenti uniti dal motto “non solo parlare, ma agire”, ha installato il primo frigorifero pubblico nella città di Berna, ora sono 161 in tutta la Svizzera. Tutto ciò che serve è un frigorifero, una posizione ed elettricità e il gioco è fatto.
Le due fasi del piano governativo
Incentivi per i virtuosi o sanzioni per i negligenti
Tante dichiarazioni di buona volontà saranno sufficienti per dimezzare gli sprechi o sarebbe meglio sancire apposite leggi, incentivi o sanzioni? È la domanda che tanti si pongono.
«In questa prima fase si punta su soluzioni intersettoriali e si misurano i risultati. In altri Paesi, come la Norvegia, questo approccio tra impegno volontario dei vari settori e stretta collaborazione con l’autorità si è rivelato vincente per ridurre lo spreco alimentare», risponde l’esperto Claudio Beretta. Dopo il 2025, il Consiglio federale potrà adottare ulteriori misure, a seconda dei risultati raggiunti. Ma lo farà? «Spero che il Consiglio federale si assuma la responsabilità di adottare misure con un impatto sufficiente per dimezzare lo spreco. Se saranno necessarie regole, sarà importante coinvolgere i vari settori, perché se vengono calate dall’alto rischiano di avere un impatto per qualche anno ma non cambiare la mentalità dei management». E questo è proprio il punto: cambiare la mentalità e le abitudini radicate di buttare via troppo cibo.
Si allunga la vita di molti alimenti
La strada da fare è lunga. Ma si fanno passi avanti. Qualche anno fa, il gruppo di lavoro nazionale ‘foodsave 2025’ (composto da ricercatori, industria alimentare, organizzazioni caritatevoli) ha elaborato in collaborazione con l’Ufficio federale della sicurezza alimentare delle soluzioni per ridurre gli sprechi alimentari evitabili. In pratica, è stata analizzata la vita di tutti gli alimenti poco deperibili come riso, pasta, cioccolata, farina, cereali, succhi di frutta… Risultato: quegli alimenti con scritto “da consumare preferibilmente entro…” sono ancora buoni da 6 fino a 360 giorni a dipendenza del prodotto.
Se qualche anno fa un chilo di riso o dei cioccolatini scaduti da una settimana venivano gettati via, ora la loro vita si è allungata di un anno. Anche i prodotti confezionati con una data “da consumare entro…” possono venir congelati entro la scadenza della data, rietichettati e poi immessi sul mercato congelati per altri 90 giorni. Misure che permetterebbero alla grande distribuzione di salvare ogni anno circa la metà delle loro 100mila tonnellate di alimenti commestibili scartati. Sulla base di dati scientifici l’associazione foodwaste.ch ha elaborato una toolbox per la grande distribuzione su come mettere in pratica le nuove soluzioni (disponibile in italiano su www.foodwaste.ch). «È importante che tutti gli attori remino nella stessa direzione», commenta Beretta, che ha curato le nuove direttive con le autorità federali.
Scadenze, che confusione!
Certo è che le scadenze sono spesso assai complicate per i consumatori, molti sono confusi. Infatti ogni anno nelle economie domestiche elvetiche si gettano via 700-800mila tonnellate di cibo. «In un caso su 5, il motivo è proprio un’errata interpretazione delle scadenze. Nell’Unione europea si discute per avere sugli alimenti solo la data di produzione lasciando decidere ai consumatori, usando i sensi, quando un prodotto è commestibile o meno. La comunicazione deve essere più trasparente», consiglia Beretta.
Per limitare le perdite alimentari, il settore alimentare si è organizzato nella piattaforma ‘United Against Waste’, che mira a dimezzare gli sprechi entro il 2030, collegando fra loro le aziende del settore alimentare e fornendo loro informazioni e consulenza. La piattaforma conta circa 190 membri, tra cui Coop e Migros, due realtà che hanno un ruolo decisivo nel mercato alimentare svizzero.
La multa può accelerare i cambiamenti
Ma se ai proclami non seguissero altrettanti fatti, quale via potrebbe decidere la Confederazione? Multe per chi spreca cibo o incentivi per chi è virtuoso? «Gli incentivi per aiutare a cambiare i processi e ridurre gli scarti possono essere molto utili, specialmente se serve un investimento iniziale per trovare una soluzione che è finanziariamente vantaggiosa a lungo termine». Anche la sanzione può funzionare in casi specifici. «Ad esempio, sarebbe semplice sanzionare imprese che buttano via prodotti a causa del termine minimo di conservazione. L’effetto sarebbe molto più veloce di altre misure», conclude Beretta.
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