Morosin: contro l’Autonomia, dalla Consulta una sentenza politica che riscrive la Costituzione

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L’avvocato Alessio Morosin, di Indipendenza Veneta, già consigliere regionale del Veneto, è uno dei padri del referendum per l’Autonomia che si svolse in Veneto nel 2017 e che vide il trionfo dei Sì.

Morosin, a che punto siamo, dopo la sentenza della Corte Costituzionale?

“Con la sentenza n. 192 del 2024 della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata ha vinto il peggior centralismo. La prima vittima è il Popolo Veneto, il cui voto referendario sull’autonomia del 22.10.2017 (con il risultato bulgaro del 98,1% di SÌ) è stato spudoratamente calpestato e umiliato. La seconda vittima è la stessa Costituzione, che all’art. 5 recita che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali” e “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. La Consulta ha detto l’esatto contrario.

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Palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale (foto di Jastrow, PD)

La legge quadro Calderoli è stata impallinata…

“Se si voleva applicare la Costituzione, non serviva alcuna legge quadro. L’art. 116, comma 3, prevede che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia…, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Così dice la Costituzione: e l’aggettivo “interessata” (al singolare) è ripetuto due volte a significare che non tutte le Regioni sono obbligate, o hanno interesse, ad avere maggiore autonomia.

Quindi la maggiore autonomia non deve necessariamente riguardare tutte le Regioni?

No. La Costituzione prevede che attribuzioni di specifiche materie e relative funzioni possono avvenire solo per quella Regione che lo richiede e che ha volontà, capacità, mezzi, organizzazione, presupposti e ragioni storiche, economiche, identitarie e di specificità tale da giustificare una assunzione di responsabilità per meglio governare quelle materie, in ossequio alprincipio di sussidiarietà.

E con questo passaggio di poteri, non si arricchiscono Regioni avanzate, impoverendo le altre?

Per nulla: le Regioni governano le materie e funzioni affidate, usando le stesse risorse che per quelle materie impiegava lo Stato, ovvero a “invarianza di bilancio”. E poi l’autonomia differenziata sicuramente non interesserà mai le Regioni più piccole, che non hanno i presupposti oggettivi (strutture, organizzazioni, apparati tecnici e amministrativi, et cetera), né interesse pratico a farsi carico della gestione di materie che, per ovvie ragioni, lo Stato può meglio curare e sostenere.

L’autonomia differenziata non è quindi per tutti…

Non può esserlo: il Molise ha meno di 290 mila abitanti; la Basilicata circa 540 mila; l’Umbria 855 mila circa. Meno di province venete  come Padova o Verona. Il Veneto da
solo ha un P.I.L. più grande di 10 paesi europei e un “peso” in Europa assai rilevante. L’Italia ha la sua ricchezza storica, culturale ed economica proprio nelle preziose e diverse realtà territoriali.

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Quelle che la sentenza della Consulta, di fatto, svuota di senso…

L’Italia più creativa nell’arte, nell’economia, nelle scienze è quella del Rinascimento, non quella del Risorgimento e dell’unità forzata. E l’omologazione identitaria non può
avvenire per sentenza, così come, con disarmante aridità culturale e con violenza da
legibus solutus, hanno decretato i giudici della Consulta, con una sentenza firmata da un Presidente 86enne, il professor Augusto Barbera, che due settimane dopo è andato in pensione e fu parlamentare per cinque legislature nelle fila del Pci e poi del Pds. Una sentenza vergognosa, ove le garanzie ed i principi costituzionali vengono piegati e traditi alla visione politica di una vecchia sinistra, ammuffita e maleodorante, sostenitrice di un neocentralismo ottocentesco e prepotente.

Una sentenza vergognosa?

Non trovo altro termine per definirla. Vi sono forzature da Stato etico prevaricatore, di hegeliana memoria, ove le Comunità territoriali vengono spogliate della loro millenaria
identità e storia. Tutti gli osservatori ed intellettuali più onesti riconoscono che l’autonomia
differenziata era stata pensata proprio per il Veneto, trattandosi di un territorio e di un
popolo dalla forte identità storica, con legittime aspirazioni di autogoverno sovrano,
atteso che si è retto come Repubblica indipendente e sovrana per 1100 anni.

E in Veneto è nata la legge regionale per il referendum di autodeterminazione..

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Tutto ha avuto avvio quando, su iniziativa di Indipendenza Veneta, fu presentata la proposta di legge veneta n. 342/2013 per un referendum per l’indipendenza, di cui sono stato coautore, cui seguì, subito dopo, la proposta di legge n. 392/2013 per un referendum sull’autonomia. Entrambe le proposte sfociarono nelle due leggi venete del 12.06.2014 e
precisamente la n. 15/2014 per un referendum sull’autonomia e la n. 16/20214 per un
referendum sull’indipendenza.

Ci fu, già allora, una grande battaglia alla Consulta.

E con la sentenza 118/2015 la Corte Costituzionale, in presenza di un solido fronte
politico veneto di rivendicazioni, con ben due leggi referendarie, decise di concedere almeno che si tenesse il referendum consultivo sul tema della autonomia differenziata. E in Veneto, al referendum del 2017, vi fu una partecipazione straordinaria al voto, e un risultato che stupì tutti gli avversari e gli scettici dell’autonomia differenziata.

Ma da allora sono trascorsi quasi otto anni.

Purtroppo vi sono state – o per colpa dei politici veneti temporeggiatori o incapaci, o
per tornaconto e calcolo di qualche politico inadeguato – delle concessioni temporali
che sono state fatali. Nel febbraio 2018, a soli 4 mesi dal referendum, si era giunti ad una cosiddetta “pre-intesa quadro” tra Veneto e Governo Gentiloni, assai interessante, sia perché realizzata in applicazione diretta dell’art. 116 comma terzo Costituzione, .-che prevede l’intesa diretta tra Stato e Regione interessata, sia perché larga parte degli esperti riteneva che non fosse necessaria una legge di “principi e modalità procedurali” quale è stata poi la Legge Calderoli), voluta da una sinistra venduta al peggiore neocentralismo e accettata da una parte del centrodestra che al suo interno aveva, ed ha, gli stessi interessi centralisti della sinistra.

La sentenza della Consulta è la tomba dell’autonomia differenziata?

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Questa sentenza è un atto squisitamente politico, non una pronuncia coerente con i princìpi e le garanzie scritte nella Costituzione. Contro le decisioni della Corte Costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione” recita l’art. 137 della Carta. Sopra i giudici della Consulta, come suol dirsi, c’è solo Dio, e spero che sia magnanimo e li perdoni. Sono convinto tuttavia che il giudice più severo contro questa sentenza sarà la storia.

Perché?

Perché la decisione della Consulta contro l’autonomia poggia sul peggior statalismo etico e autoritario, secondo il quale – è scritto nella sentenza – le “norme generali sull’istruzione” devono essere funzionali ad “assicurare la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale…” per garantire “l’identità culturale del Paese…” e per il “mantenimento dell’identità nazionale”. Il programma di un vero e proprio Minculpop. Il “fascismo degli antifascisti” descritto da Pier Paolo Pasolini.

La sentenza però non cancella il principio di sussidiarietà che è alla base di ogni impianto federalista o autonomista.

Ma nella sentenza, il “principio di sussidiarietà” viene coniugato con un “giudizio di
adeguatezza” che è poi il pensiero dei giudici stessi, che con forzature linguistiche davvero acrobatiche, arrivano a stravolgere e alterare anche il senso letterale delle parole, per cui, per esempio, “le materie” che la Costituzione elenca come trasferibili in toto alle Regioni, diventano soltanto “funzioni concernenti le materie”.  Questa sentenza scolpisce lo sfondo pseudogiuridico necessario per assicurare nel tempo, e quindi in modo imperituro, il centralismo della forma di Stato unitario e pseudodemocratico.

L’Italia una e indivisibile…

L’articolo 5 della Costituzione non dice affatto che l’Italia è una e indivisibile, ma che ad essere una e indivisibile è la Repubblica, cioè la forma repubblicana e democratica di Stato. Con questa sentenza si va molto oltre. Si afferma addirittura che “Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali…”. E’ la sentenza di una Consulta politicizzata e vestita di rosso sinistro, che riscrive e stravolge la Costituzione.

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Proviamo a leggerla, questa nuova Costituzione riscritta e stravolta dai giudici?

Di fatto, si stabilisce che l’iniziativa legislativa per l’autonomia differenziata non va intesa come riservata solo al Governo, che la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa raggiunta con la Regione, com’è invece scritto nella Carta. Si stabilisce poi che i LEP – dei quali nell’articolo 116 non si fa cenno – possono essere richiesti anche per le 9 materie “no LEP”, individuate dalla commissione dei saggi presieduta dal Prof. Sabino Cassese. Si contraddice poi la clausola di “invarianza finanziaria” prevedendo che eventuali risparmi ottenuti dalla Regione virtuosa nella gestione delle materie ex statali potrebbe essere previsto che siano riversati nelle casse dello Stato centrale, vanificando chiaramente l’interesse, l’impegno e l’assunzione di responsabilità della Regione virtuosa.

Ma questo fa a pugni con la Costituzione.

C’è perfino di peggio: la sentenza afferma esplicitamente che tra le materie elencate dall’articolo 116 della Costituzione come trasferibili alle Regioni, “vi sono delle
materie alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile”. In pratica, i giudici della Corte  si arrogano diritto di correggere la Costituzione, dichiarando impraticabili le norme che a loro non piacciono…

Ma il Parlamento è tenuto a obbedire a questa Costituzione mai approvata, riscritta ex novo dai giudici costituzionali?

La sentenza, se questo non avvenisse, minaccia esplicitamente in anticipo il Parlamento. Testualmente: “le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie (es. commercio estero, energia, …) potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale”. Scrutinio stretto, capito? Roba da autocrazia! O da Stato centralista di polizia! Noi Veneti e la nostra richiesta di autonomia, veniamo trattati come una colonia!



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