“Salari e pensioni migliori non sono un miraggio, lotta e coraggio” recitava lo striscione in testa alla manifestazione per la Festa dei lavoratori dello scorso 1° maggio, ed è così che il segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini sceglie di riassumere non solo il bilancio d’attività del sindacato nel 2024 – presentato mercoledì a Bellinzona – ma anche le sfide che si delineano per il 2025. «Le maggiori soddisfazioni sono state le tre votazioni sul sistema pensionistico, che abbiamo vinto anche se non era assolutamente scontato. Ciò dimostra che quando si hanno dei messaggi chiari ed efficaci, quando si è presenti sul terreno e quando si fa un lavoro capillare – con i lavoratori, con i volantinaggi e i dibattiti – si vince». Sul piano politico la vittoria alle urne dell’iniziativa per una 13esima AVS, la bocciatura dell’iniziativa dei Giovani PLR per l’innalzamento dell’età pensionabile e la riforma del secondo pilastro rinfrancano lo spirito e rappresentano un dato politico importante, ma non mancano note dolenti sul terreno dell’impegno quotidiano del sindacato nelle trattative per garantire ai lavoratori condizioni d’impiego più vantaggiose. «Se da una parte siamo riusciti ad ottenere delle migliori pensioni, non siamo riusciti ad ottenere anche migliori salari. Sappiamo che la battaglia per portare i livelli dei salari ticinesi verso quelli del resto della Svizzera sarà lunga. In alcuni settori siamo riusciti ad ottenere dei miglioramenti, in altri no. Questo dovrà quindi essere, ancora una volta, un tema prioritario per quest’anno».
Salari migliori, lotta alla precarietà e tutele dal licenziamento
Il 2025 si annuncia battagliero anche nei tre principali rami dell’industria: abbigliamento, orologeria e metalmeccanica. «Quest’anno, con un anno di anticipo per volere della parte padronale – spiega il Responsabile Industria Vincenzo Cicero – si rinnoverà il Contratto collettivo nel settore dell’abbigliamento, per il quale puntiamo soprattutto a un aumento dei salari e dei giorni di vacanza. Poi c’è l’orologeria, altro ambito nel quale in Ticino, quest’anno, andremo probabilmente a scontrarci per quanto riguarda i livelli salariali». Nel settore metalmeccanico, invece, a tenere banco sarà soprattutto la campagna nazionale per la protezione dei lavoratori che fanno parte delle Commissioni di fabbrica: ad essere centrale sarà il tema della partecipazione e della tutela dei rappresentanti dei lavoratori (che siano affiliati al sindacato o no), sempre più esposti a pressioni o al rischio di licenziamento. «È un argomento che riguarda anche altri settori, oltre a quello industriale: pure nel terziario, oggi, i lavoratori che si ingaggiano nella tutela dei propri diritti e di quelli dei propri colleghi sono maggiormente messi sotto pressione», prosegue Cicero, che sottolinea la necessità di garantire ai lavoratori, in ogni ambito professionale, la protezione necessaria per svolgere un lavoro di rappresentanza. «Non solo i sindacalisti di professione, ma anche i militanti all’interno delle aziende devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere il loro ruolo. Ad esempio, rafforzando il diritto di svolgere attività sindacale e vietando il licenziamento dei rappresentanti delle Commissioni di fabbrica, nonché introducendo l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento abusivo. Ad essere precari non sono solo i delegati sindacali, ma tutti i lavoratori, perché con tre mesi di anticipo, e senza dover fornire grandi spiegazioni, il datore di lavoro può lasciare a casa chiunque. Di questo, il sindacato deve fare un problema sociale: la democrazia sul posto di lavoro in Svizzera non esiste e sempre più, se un lavoratore si fa valere, rischia di essere licenziato». Questo nell’industria come nel terziario (settore in espansione dato anche il recente sbarco di Uber a Lugano), nel quale il sindacato si sta sviluppando e nel quale recluta un numero di soci sempre maggiore. «È un settore però poco coperto dalla contrattazione collettiva – spiega Gargantini –, nel quale c’è anche poca tradizione sindacale. Oggi, in questo ambito, siamo confrontati con nuove frontiere dello sfruttamento, note a livello mondiale ma ancora inedite per la realtà ticinese. Per un sindacato come il nostro, che vuole partire dal contatto regolare con i lavoratori, queste sono nuove sfide, che ci interrogano su come costruire quel contatto nel contesto del lavoro tramite piattaforma, dove non c’è più il ritrovo fisico – il magazzino, il cantiere o l’azienda – e dove quindi è più difficile sviluppare il lavoro sindacale. Se questa forma di lavoro si estendesse, come già avvenuto altrove, anche ai settori più tradizionali del lavoro (come l’artigianato), le conseguenze a livello di società potrebbero essere estremamente gravi e, a oggi, ancora difficilmente valutabili».
Bilaterali III e le linee rosse
Ancora difficili da valutare, poi, sono i termini dell’Accordo raggiunto tra Confederazione e Unione Europea nell’ambito dei Bilaterali III, accordo che arriverà sui banchi del Parlamento probabilmente nel 2026 e attorno al quale, già da ora, il dibattito è infiammato. Il sindacato riafferma la volontà di partecipare costruttivamente alle trattative, con però delle chiare linee rosse: «Per quanto ne sappiamo ora, ci sono dei passi indietro nella protezione dei salari e del servizio pubblico», riprende Gargantini. «Penso ad esempio alla questione della liberalizzazione delle tratte del traffico ferroviario e del mercato dell’energia elettrica, che avrebbero un impatto estremamente negativo sul paese. Il Consiglio federale vuole arrivare a firmare questi accordi, la destra ha già detto chiaramente che non li firmerà mai, quindi il Consiglio federale deve per forza ottenere il sostegno del sindacato. Oggi diciamo: ‘convinceteci, mettete sul tavolo le misure che abbiamo presentato pubblicamente all’assemblea dei delegati USS, sulle quali vogliamo dei passi avanti importanti’». Anche altre misure riguardanti il mercato interno svizzero sono definite dal sindacato come cruciali e potrebbero svolgere un ruolo chiave nel sostegno all’Accordo con l’UE, in particolar modo le condizioni per decretare l’obbligatorietà generale dei CCL – ossia quella che fa in modo che le condizioni stabilite dai Contratti collettivi non valgano solo per chi li firma ma per tutti i lavoratori di un settore professionale. Sempre Gargantini rileva la difficoltà crescente nell’ottenere l’obbligatorietà generale, non solo perché sempre più spesso la parte padronale vi si oppone, ma anche per i quorum imposti dalla legge, ritenuti ormai troppo elevati: «Facilitare le dichiarazioni di forza obbligatoria è una delle nostre rivendicazioni, legata al quotidiano lavoro di negoziazione del sindacato. La difesa del servizio pubblico e la possibilità per lo Stato di intervenire a sostegno del servizio pubblico, come detto, sono a loro volta dei temi centrali. La riflessione è ancora in fase di costruzione: vogliamo leggere l’integralità di questa documentazione per avere un’idea più precisa. Quella che poniamo sulla questione salariale è una linea rossa, ma non sarà l’unica».
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