Un dato dovrebbe essere scontato e invece pare una novità: la mafia usa i telefonini criptati, acquista sul darkweb, ma è ancora radicata nel territorio. Nella storia delle idee di mafia ha sempre dominato la polarizzazione: tra mafia vecchia e mafia nuova, mafia come subcultura senza organizzazione e poi organizzazione che avrebbe archiviato i vecchi codici subculturali. Un aut-aut che dovrebbe essere sostituito da un et-et.
Nella relazione della Dia del 2002 si leggeva: «Le mafie sono capaci di rigenerarsi continuamente, in quanto hanno a loro disposizioni tecnologie e tecnici di altissima specializzazione… esse operano sempre più sul web e nel metaverso». A quanto pare, la tecnicizzazione si è diffusa, non è più monopolio di tecnici iperspecializzati, ma c’è, per fortuna, un certo grado di dilettantismo: nel ripristinare una chat due mafiosi hanno sciorinato i nomi degli interlocutori, credendo di non essere intercettati.
Dall’inchiesta che ha portato agli arresti risulta che i terreni su cui si ricostruisce l’economia mafiosa sono in gran parte quelli tradizionali: droga ed estorsioni, con significativi cambiamenti: le droghe sintetiche, il commercio online che convive con quello di mano in mano di Ballarò, la produzione nei laboratori e quella del crack confezionato nelle case di Brancaccio, a gestione familiare, con i bambini che non si limitano a guardare. La procuratrice dei minori all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha parlato di spacciatori di dieci anni.
L’estorsione, lo ripetono continuamente gli animatori di Addiopizzo, più che imposta legata all’intimidazione, è una sorta di tassa per ottenere vantaggi e convenienze, dal recupero crediti e di beni rubati, alla garanzia che non nasceranno esercizi commerciali o imprese in concorrenza, e ciò spiega il diminuito numero delle denunce. Secondo un luogo comune la mafia ha archiviato la violenza e ricorre sempre di più alla corruzione, ma c’è ancora un tribunale mafioso, anch’esso ammodernato, che propina sanzioni tutt’altro che nonviolente, come pestaggi e minacce. Come quelle che colpiscono Salvo Palazzolo.
Il carcere pare tornato ad essere un territorio sotto controllo mafioso, grazie all’uso di mezzi di comunicazione sofisticati.
E qui ritorna il problema di un sistema penitenziario che troncherebbe relazioni e correità, sulla carta ma non di fatto. Ma il problema delle carceri non riguarda solo i mafiosi. L’uscita dal carcere dei boss, che riprendono o cercano di riprendere il ruolo che avevano all’interno dell’organizzazione, ha causato qualche frizione ma non conflitti, preludi di guerre. Accanto ai vecchi ci sono dei giovani: la fascinazione continua perché gli interessi sono forti. C’è pure una donna, ma anche questa non è una sorpresa. Nel sistema relazionale figura un avvocato che passava informazioni riservate. Con l’arresto di Messina Denaro si era scoperchiato un sistema di complicità e interazioni, e si è recuperata una teorizzazione non nuova: la “borghesia mafiosa”.
Se si guarda alla mappa di Cosa nostra, non ci sono cambiamenti: in città ci sarebbero 7 mandamenti e una trentina di famiglie. Non c’è la cupola, perché i tentativi di ricostituirla sono stati vanificati. Il merito di questo colpo inferto alla mafia è tutto di una magistratura e di un sistema investigativo che, nonostante vuoti d’organico, riesce a seguire i movimenti all’interno del mondo mafioso. La premier si ascrive il grande successo, ma intanto si attacca l’indipendenza della magistratura, si limitano le intercettazioni, si mette il bavaglio ai giornalisti che possono fare solo il riassuntino delle ordinanze, e poi ci sono il Pnrr con la cascata degli appalti, la follia del Ponte che sarà una bella occasione per speculatori, mentre le strade sono inghiottite dalle frane.
Si dice: Palermo è una città malata di mafia. Direi che è una città mafiogena, con un’economia legale debole, il precariato e il lavoro nero, e un’antimafia che non si pone il problema di coinvolgere gli strati popolarie. Un progetto di rinnovamento richiede una conoscenza adeguata, un’inchiesta che individui problemi e priorità. Bisogna “sapere Palermo” se si vuole cambiare Palermo. E tra le priorità metterei la condizione giovanile, con un’aggressività frequente di gruppi che simulano le baby gang o fanno i tirocinanti per l’ingresso in mafia. All’Ars è stata varata la legge «Dalla dipendenza all’interdipendenza«, frutto dell’elaborazione di docenti universitari, associazioni e genitori di tossicodipendenti. Ora si attendono i decreti di attuazione. Se non ci sarà una mobilitazione adeguata, passeranno anni e i servizi essenziali resteranno sulla carta.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link