Sei settori strategici di intervento e ai primi due posti «le risorse idriche» e le «infrastrutture per il rischio idrogeologico e il rischio idraulico e per la protezione dell’ambiente». È quanto previsto da una delle più importanti novità introdotte dalla legge di riforma della Politica di Coesione, varata lo scorso anno su iniziativa dell’allora ministro Raffaele Fitto. Per la prima volta, con un apposito decreto, si è stabilito che i fondi della Coesione, uno dei pilastri della politica comunitaria, non potevano più essere utilizzati, per così dire, in ordine sparso ma seguire criteri e priorità uguali per tutti i soggetti destinatari, dai ministeri alle Regioni, dalle Città metropolitane ai Comuni, alle Province autonome.
Decisione inedita, come detto, ma soprattutto inevitabile alla luce dei pesanti ritardi accumulati nella spesa in ogni ciclo di programmazione. Fu proprio Fitto, come si ricorderà, a rendere noto a fine 2023 che l’Italia nel suo complesso era ferma appena al 34% a ottobre 2022, pari a 46,1 miliardi dei 126 assegnati complessivamente al Paese per il periodo 2014-2020, tra Fondi strutturali europei e Fondo sviluppo e Coesione. Un ritardo enorme, che ha pesato soprattutto sul Mezzogiorno, al quale per legge dev’essere comunque riservato l’80% delle risorse nazionali della Coesione, e ha reso ancora più urgente la svolta legislativa e soprattutto operativa della Riforma.
GOVERNANCE
La Coesione è stata di fatto allineata anche in termini di governance alle modalità di gestione del Pnrr, con l’obiettivo di evitare duplicazioni di spesa, regolamentare gli interventi in base a precise priorità (i sei ambiti di cui si parlava in precedenza), definire un cronoprogramma adeguato alla portata dei singoli progetti ammessi, con la possibilità di interventi sostitutivi da parte del Governo in caso di mancato rispetto delle scadenze concordate. Una prova del fuoco per il Sud, soprattutto, alla luce dei limiti strutturali della macchina amministrativa in particolare dei Comuni, chiamati nello stesso contesto ad accelerare gli iter procedurali delle opere del Pnrr finanziate e da realizzare entro giugno 2026 (salvo proroghe).
Ma nessun passo indietro da parte del Governo. Niente più ritardi o rallentamenti, insomma, niente nuovi casi di opere infinite, come la bonifica di Bagnoli a Napoli o la stessa attivazione della diga di Campolattaro a Benevento, pur nella consapevolezza che al momento sono le opere del Piano nazionale di ripresa e resilienza a meritare la massima attenzione, considerata la ristrettezza dei tempi. Che quella tracciata è una strada senza ritorno lo dimostra non solo la forte sollecitazione alle Regioni per la firma degli Accordi di Coesione, un pacchetto di 30 miliardi circa condiviso sul piano delle scelte con Palazzo Chigi, ma anche l’impegno della stessa premier Meloni per verificare come e quante delle risorse messe in campo sempre con la Coesione sono state effettivamente già impegnate, specie al Sud.
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Il Presidente del Consiglio, come si ricorderà, aveva annunciato a dicembre scorso l’avvio di un monitoraggio concernente soprattutto il Mezzogiorno, avendo tenuto per sé la delega territoriale. Quella verifica, relativa in particolare alle misure di co-finanziamento nazionale dei fondi della Coesione, tradizionale tallone d’Achille della spesa al Sud, è praticamente pronta e dovrebbe essere ufficializzata a stretto giro. Da essa sarebbe emerso che sono almeno 242 i progetti definiti prioritari dagli enti attuatori, per un ammontare di circa 4 miliardi, sui quali il Dipartimento delle Politiche di Coesione di Palazzo Chigi verificherà il rispetto delle scadenze e lo stato dell’arte di ognuno. Tutti i progetti afferiscono ai sei ambiti prioritari individuati dalla Riforma ma forse sorprenderà sapere che una quota consistente, pari a 1,2 miliardi, riguarda i ministeri.
Di sicuro, la macchina della “nuova” Coesione si è messa in moto e lo confermano le anticipazioni sul budget 2021-27 destinate al Sud rispetto al totale delle risorse disponibili (vi rientrano infatti i 3,5 miliardi per la Decontribuzione Sud e i 2,2 miliardi del credito d’Imposta Mezzogiorno, in entrambi i casi garantiti dalla copertura dell’Fsc). Un recentissimo studio dell’Anci sulla geografia dei fondi di Coesione all’interno dei 23 Accordi siglati dal Governo con Regioni e Province Autonome, ribadisce che un ruolo di primo piano toccherà proprio ai Comuni, titolari insieme alle Città metropolitane di una serie di interventi più, per così dire, visibili per le loro comunità.
Lo studio quantifica in 818 gli interventi delle municipalità, il 36,2% degli oltre 2.500 progetti elencati nei 23 Accordi, per un valore di 4,5 miliardi, e mette la Campania al primo posto della graduatoria per Regioni in base alle risorse assegnate (20,8% del totale), seguita da Sicilia (18,2%), Puglia (15%) e Calabria (8,4%).
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Nella stessa Campania insieme ad Abruzzo, Basilicata, Sardegna e Toscana, il 30% delle risorse è nelle mani dei Comuni e l’elenco dei progetti finanziati dalla Coesione spiega perché il loro impatto sulla vita quotidiana è percepito di più rispetto a quelli più grandi. Napoli, per esempio, che attraverso la Coesione (e non nolo) utilizzerà 1,2 miliardi dei 6 assegnati alla Regione per la bonifica di Bagnoli, spenderà 31,6 milioni soprattutto nell’impiantistica sportiva, dal Palazzetto di via Stadera alla Cittadella di via Ulisse Prota Giurleo. A Bari 88 milioni serviranno per il completamento delle infrastrutture per il rischio idrogeologico del piano di raccolta differenziata dei rifiuti, la realizzazione del Parco del Castello e il recupero dell’area ex Villaggio Azzurro all’aeroporto «Gino Lisa» per la Protezione civile. A Palermo invece l’assegno da oltre 68 milioni sarà utilizzato tra l’altro per la riqualificazione dell’ex fiera del Mediterraneo.
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