A voler essere ottimisti il mercato invernale 2025 della Lazio ha segnato un elemento di novità: la foglia di fico! Che, però, ammettiamolo, è comunque un segno di discontinuità: o almeno prendiamolo per tale.
Negli ultimi anni il mancato arrivo di calciatori nella finestra di mercato di gennaio – o l’arrivo di perfetti sconosciuti sotto le mentite spoglie di “investimenti per il futuro” – , è stato giustificato da argomenti come la completezza della rosa, l’esigenza di non destabilizzare gli equilibri della squadra, la carenza di profili utili a metà campionato, fino alla più sofisticata ma efficace retorica dell’indisponibilità a muoversi in un mercato falsato, gonfiato da logiche speculative, estranee al decantato codice etico di cui la società Lazio sarebbe portatrice esclusiva. Anziché no!
Motivazioni che sono diventate, paradossalmente, anche le parole d’ordine di una parte della tifoseria.
Pochi o tanti che siano, nell’universo Lazio, non manca chi offre incondizionatamente sponda alle strategie societarie, sia per non dare all’esterno segnali di frattura, sia perché si crogiola nell’ideale del noi contro tutti, sia per una certa prossimità con il milieu lotitiano: la conseguenza è un ambiente confuso, le cui divisioni restano sotto il tappeto fino a quando la barca va, ma che riemergono nei passaggi critici della stagione.
Tutto ciò al netto di quelle che la società ha sempre inteso veicolare come “occasioni”.
Se si eccettua l’inverno del 2010, quando per invertire l’andamento da retrocessione si ricorse a Biava, Dias e Floccari (che finirono per coprire anche lo stravagante caso Golasa e l’indimenticato acquisto di Hitzlesperger!), i nomi sono questi: Sculli nel 2011, Alfaro e Candreva (allora tra le riserve del Cesena) nel 2012, il mancato arrivo di Anderson per colpa del fax malfunzionante del 2013, Helder Postiga e Kakuta nel 2014 (mentre due giorni prima della scadenza veniva ceduto all’Inter Hernanes, che lasciò Formello in lacrime), Caceres nel 2018, Romulo nel 2019, Kamenovic e Musacchio nel 2021!
Una vera e propria lista dell’orrore da serie minore che, insieme alle altre insensatezze del mercato, il tifoso laziale finisce per scorrere quando sale su una certa auto-ironia che si fa cinica e diventa l’unico rimedio contro lo sconforto.
Una tradizione negativa che si mantenne anche nella stagione più promettente della lunga presidenza Lotito, ossia quella del 2019-2020, quando, prima che il Covid e il conseguente lockdown portassero alla sospensione delle competizioni, la Lazio si era ritrovata sorprendentemente tra le candidate al titolo!
Nella stele commemorativa di quel gennaio 2020 si staglia ancora l’enigmatico volo di Tare Igli a Londra: che fosse un tentativo estremo e velleitario di convincere Giroud a vestire la maglia biancoceleste resta solo un’ipotesi, seppure romantica: alla ripresa del campionato, quella Lazio priva di ricambi scivolò fino al quarto posto e poco ci mancò che una scialba Roma riuscisse a rimontarci.
Il dressing dei mancati arrivi
Una cronaca grigia, dunque, quella dei calciomercati – invernali e non – della Lazio a cui non si è sottratto neanche quello che ci siamo lasciato alle spalle 13 giorni orsono, senza nemmeno rinunciare allo schema delle cinque fasi con cui la SS Lazio ripropone la storia della volpe e l’uva:
Fase 1: mancato arrivo, due giorni prima della scadenza, del calciatore-obiettivo, seguito per settimane.
Fase 2: in extremis, brusca virata su un altro giocatore presentato come più funzionale, ma in verità più abbordabile, presentato come piano B, anche se il dubbio è che sia sempre stato l’effettivo piano A!
Fase 3: la comunicazione autoassolutoria, che affida a narrazioni fantasiose, se non grottesche, il fallimento della trattativa (dal fax che non funziona, all’errore sul fuso orario per il mancato arrivo come per Greenwood, passando poi per le assurde pretese dei procuratori e i capricci del sedicente gioiellino, fino a insinuare manovre di palazzo ostili a Lotito e alla Lazio, in complotto con altre società più contigue al sistema).
Fase 4: il ridimensionamento del calciatore che, a breve giro, passa da oggetto del desiderio a ipotesi remota, distrattamente vagliata, ma gonfiata ad arte dai media.
Fase 5: la decantazione, finalizzata a raffreddare gli animi e attuata deviando l’attenzione su altri temi, come il nuovo stadio, la ricorrenza, il ricordo delle vecchie glorie, la nuova e tanto attesa falconiera, confidando sul fatto che le partite e gli arbitraggi smagnetizzino definitivamente le tensioni e si torni a parlare di campo!
E’ così che Casadei Cesare è diventato l’inconsapevole feticcio dei laziali nel gennaio 2025: con la casacca granata dimostrerà tutta la sua inconsistenza e inutilità a fronte delle magnifiche sorti e progressive della SS Lazio in questa, come nelle prossime stagioni!
Sul taccuino degli arrivi, leggiamo invece Ibrahimovic Arijon, Provstgaard Oliver (almeno il nome non richiede il copia e incolla da wikipedia!) e Belahyane Reda che dovrebbe essere già pronto a interpretare quel mediano gagliardo e tosto, che a questa squadra manca. Sarebbe interessante vederlo all’opera, ma Baroni lo ha escluso dalla lista Uefa e ha rinunciato a farlo entrare perfino contro il Monza. Scelte tecniche, si dice in questi casi e l’allenatore lo sta provando in allenamento, facendo attenzione a non intaccare la delicata trama che è andato intessendo in questi mesi, ma sarebbe un guaio se dovesse servire e non avesse ancora calpestato l’erba di altri campi se non quello di Formello!
Sulle prime due creature non spenderei inchiostro, prima di vederli calcare un campo di serie A.
Puntiamo l’indice contro l’indice di liquidità?
Ma cosa c’è dietro? C’è un modello di gestione semplicistico che si fa ogni anno più inadeguato rispetto a una squadra del livello della Lazio, per blasone, per storia, per la grandezza del bacino di tifosi, per il contesto sportivo e sociale che gli sta intorno e dunque da ciò che una squadra, questa squadra, rappresenta in una città come Roma.
Poi ci sono le norme di controllo a cominciare da quella più evocata ogni volta che si parla di calciomercato, ossia l’indice di liquidità.
Dal 2015, questo parametro economico-finanziario pone precisi paletti di spesa, a garanzia della capacità di solvenza a breve termine dei club di calcio e lo fa fissando un rapporto (deciso ogni anno) tra le attività e le passività correnti iscritte nel bilancio annuale. La sua inosservanza può portare al blocco per una finestra di calcio mercato, ma dal 2024 è diventato una condizione per l’iscrizione al campionato.
Senza entrare troppo nel dettaglio diciamo che le attività correnti sono costituite da due macro-voci: le disponibilità liquide e i crediti esigibili entro l’anno solare; analogamente rientrano nelle passività correnti le obbligazioni e i debiti che hanno scadenza nello stesso anno.
In poche parole se nel bilancio societario compaiono modeste disponibilità liquide che non vengono incrementate, le perdite devono essere, più o meno compensate dagli incassi: se non vendi non acquisti.
Con riferimento alla Lazio questo significa che, vista l’indisponibilità da parte di Lotito a immettere denaro e la rinuncia a altri mezzi di finanziamento le uniche entrate sono gli incassi da vendite che allargherebbero le opportunità di acquisto.
Per superare questa situazione, la SS Lazio procede da anni con la formula dei “pagherò”, prendendo giocatori in prestito che potranno – o dovranno – essere riscattati in un momento successivo, diventando, quindi, passività correnti solo in un bilancio futuro. Ovviamente questo rende la Lazio un negoziatore molto debole e restringe le possibilità di cogliere opportunità, sia perché le società che vendono possono aver bisogno, per lo stesso motivo, di mettere subito a bilancio l’incasso da vendita (o almeno un anticipo), sia perché non sono ben disposte quando il vantaggio diventa unilaterale per la sola Lazio. Da qui negoziati, lunghi, tortuosi, difficili da seguire in cronaca, che spesso finiscono male e costringono la Lazio a deviare verso obiettivi più aderenti alle effettive disponibilità.
Ma la narrazione corrente, anche in questi giorni su media nazionali è piuttosto quella di vedere il bicchiere mezzo pieno , per cui la Lazio di Lotito avrebbe fatto del prestito con obbligo di riscatto (o con diritto di riscatto) un vero e proprio modello per aggirare le strettoie dell’indice di liquidità e aprirsi opportunità per plusvalenze.
Il vantaggio sarebbe quello per cui la Lazio sapientemente punta su calciatori con buone prospettive di crescita, per prenderli in prestito e alla scadenza esborsare quanto stabilito al momento della stipula del prestito (sia che ci sia un obbligo, sia esercitando eventualmente un diritto di riscatto); nel frattempo il valore di mercato di quei calciatori è presumibilmente aumentato, superando il valore del prestito, di modo che una loro eventuale cessione consentirebbe di realizzare cospicue plusvalenze, che potrebbero tradursi in investimenti.
E qui casca l’asino, perché la macchina di Lotito è poco avvezza agli investimenti: è tutto qui lo spazio di manovra che Lotito concede e in virtù di future strette sull’indice di liquidità, il futuro non sembra davvero roseo.
Il prossimo giugno arrivano a scadenza i prestiti di Tavares (5 mln), Dele Bashiru (3,7 mln), Rovella (17 mln), L. Pellegrini (4 mln) e Gigot (0,5 mln + 3 di bonus), più le scadenze contrattuali che, attenendoci alle valutazioni di transfer Market del dicembre 2024, sono quelle di Marusic (4 mln), Vecino (2,5 mln) e Pedro (1 mln): ballano insomma più di 40 di mln. e anche per questo la qualificazione in Champions diventa una variabile fondamentale.
Nello scenario peggiore, qualche nome importante, che ha valore di mercato, dovrà essere sacrificato: Mandas? Rovella? Gila? Dele Bashiru? Salteranno i rinnovi di coloro a cui scade il contratto?
Se si vendesse per poi re-investire nell’acquisto di calciatori che, almeno sulla carta, abbiano lo stesso livello dei ceduti, sarebbe normale: così fan tutti!
Così fan tutti, tranne noi!
La nostra anomalia sta nel fatto che Lotito, non rimette nel mercato quanto incassa: di conseguenza non possiamo che volare a bassa quota! Perché possiamo solo confidare sul fatto che i nuovi arrivi non siano “malaccio” e che consentano alla Lazio di continuare a stare all’interno di quel range, dove pendoliamo da decenni.
Tanto più se i nuovi parametri dell’indice di liquidità dovessero essere modificati secondo un modello europeo e risultare ancora più stringenti, come si vocifera.
Futuro? “Niente di nuovo sul fronte occidentale”
Alla Lazio mancano capacità manageriali. In più di vent’anni di presidenza, non abbiamo mai assistito a un salto di qualità che portasse la Lazio con una certa continuità almeno in zona Champions, figuriamoci a giocarci qualcosa di importante.
Più che un vero e proprio obiettivo la Champions sembra un’eventualità e la domanda che sorge spontanea è quanto sia compatibile questo modello, con le aspirazioni della nostra tifoseria.
Affidata a un assetto organizzativo basico, destrutturato, personalistico, la Lazio è povera sotto tanti punti di vista: dall’insensata assenza di strategie comunicative, al mancato rilancio dei settori giovanili, dalla rinuncia alla sponsorizzazione tecnica, alla carenza di policies di merchandising e in generale di branding.
E poco vale che questa Armata Brancaleone faccia “rosicare” gli altri, “i secondi” della capitale, che maneggiano cifre decisamente più alte: perché se è vero che in campionato negli ultimi anni valgono quanto noi, in Europa godono di un ranking alto e negli ultimi anni hanno comunque vinto una Conference e perso una finale di Europa League ai rigori!
Allora se le cose procedessero secondo senno, la proprietà avrebbe già capito che questa modalità di gestione ha fatto il suo tempo: accettabile quando c’era da ripianare il debito monstre con il fisco, intollerabile quando ormai l’ambiente si aspetta un cambio di passo e vorrebbe tornare a entusiasmarsi e aspirare a traguardi più grandi, cioè fare il famoso salto di qualità.
E’ evidente che Lotito si sia lanciato nel 2004 a gestire una realtà che ormai non è più alla sua portata: lui è un personaggio da penna di Vanzina che si muove a cavallo degli anni ottanta e novanta nella Roma capitale del pentapartito, dove non ci sono industrie e strategie industriali, ma ci sono gli affari e le occasioni dove entra e gioca un ruolo primario la politica, le relazioni che contano, i giri di riferimento.
E la Lazio sull’orlo del precipizio dove l’ha condotta Cragnotti dieci anni dopo è proprio l’affare che lo porta sulla sponda biancoceleste: a certe condizioni e con una tifoseria tra le più numerose, basta poco per sopravvivere alla grande e non farsi nemmeno sfiorare dall’idea di cedere quote.
Forse sono questi i motivi per cui non ha mai sviluppato quella dimensione imprenditoriale necessaria a far crescere la Lazio, se pensiamo che ancora oggi la principale – per non dire l’unica – modalità di fare profitti nel ducato di Formello è la pura speculazione delle plusvalenze, quando invece volgendo lo sguardo altrove, non mancano modelli alternativi, come quello dell’Atalanta, dove la mentalità manageriale dei Percassi ha saputo potenziare al massimo un’esperienza calcistica in una città che conta meno abitanti dell’VIII municipio e che ormai si colloca stabilmente ai primi posti nelle competizioni nazionali e partendo dalla provincia è riuscita a ottenere un’impressionante visibilità nel calcio internazionale, investendo seriamente nello scouting e nella valorizzazione dei settori giovanili in molte realtà italiane, anche lontane da Bergamo.
In questo modo, nel giro di dieci anni la Dea ha incrementato il suo valore di 50 volte, fino a essere valutata per un valore di 500 milioni di euro, diventando estremamente attrattiva, come dimostrato dall’entrata in società della cordata americana guidata da Stephen Pagliuca che un paio di anni fa ha acquistato il 55% dell’Atalanta Bergamasca Calcio, versando una cifra di oltre 270 milioni: Percassi che, rimasti nei rispettivi ruoli, hanno compreso come un vero salto di qualità richieda anche il sacrificio di un passo indietro.
Ma nel nostro orizzonte allora?
Dunque vediamo… Una nuova falconiera, ovvio!
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