Raphaël Glucksmann, eurodeputato francese del gruppo S&D: «L’Unione è divisa in tre blocchi: i filorussi come l’Ungheria, i veri amici di Kiev come i Baltici, e poi molti esitanti. Come noi»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI – «Per l’Ucraina e per l’Occidente è una catastrofe, perché a Trump interessano solo le terre rare dell’Ucraina ed è pronto a cedere alle richieste di Putin. A Monaco il vicepresidente americano Vance incontrerà Zelensky, ma i giochi sono già fatti. La conferenza di Monaco ha la forza del simbolo: una resa, come nel 1938. È la fine dell’Occidente per come lo conosciamo», dice Raphaël Glucksmann, deputato a Strasburgo e grande protagonista a sinistra della politica francese, da sempre impegnato a favore dell’Ucraina e contro l’imperialismo del Cremlino.
L’Unione europea riuscirà a fare intendere la sua voce?
«Lo spero, ma i dirigenti europei non hanno ancora preso la misura di quello che è accaduto a Washington con Trump alla Casa Bianca. Ursula von der Leyen sarà a Monaco e dovrebbe fare sentire un messaggio europeo forte, malgrado le divisioni tra Stati membri. Ma è sotto choc, paralizzata, la sua formazione di cristiano-democratica all’antica la fa ragionare sempre sulla base dell’alleanza irrinunciabile con gli Stati Uniti, unica garanzia di democrazia per lei e per gran parte della classe dirigente tedesca…».
E gli altri Paesi europei?
«Sta prendendo forma una divisione in tre blocchi. Da una parte i Paesi chiaramente filo-russi, l’Ungheria di Orbán e la Slovacchia di Fico; dall’altra i baltici, gli scandinavi e la Polonia, gli unici che aiutano davvero l’Ucraina e che si stanno già preparando a una nuova guerra, sul suolo dell’Unione europea, nei prossimi anni; e poi coloro che esitano, la Germania ma anche l’Italia e la Francia, che ripetono le formule sulla vicinanza all’Ucraina ma nel concreto fanno ben poco».
Eppure, Emmanuel Macron un anno fa proponeva di inviare truppe.
«Sì ma al di là dei proclami la Francia non ha impedito che TotalEnergies continuasse a essere il primo investitore al mondo nel gas naturale liquefatto russo, e ha lasciato la francese Framatome collaborare con i russi nel nucleare civile nell’Europa dell’Est; e poi la Francia non ha inviato abbastanza armi all’Ucraina, l’unica cosa che ci chiedeva Kiev. La Danimarca ha quasi sguarnito il proprio esercito pur di aiutare gli ucraini. I grandi Paesi europei hanno fatto molto meno».
La prospettiva di un allargamento della guerra in Europa non è paradossale, adesso che si parla di negoziati per una imminente fine del conflitto?
«No, perché Putin è incoraggiato ad andare avanti. Tutti i servizi di sicurezza europei, da Riga a Berlino, dicono la stessa cosa: Putin metterà alla prova direttamente le nostre difese nei prossimi anni. Ascoltiamoli!».
Trump sembra riprendere le tesi del Cremlino. «Trump fa propria una propaganda putiniana che dura da anni.
«Dal riferimento ai morti della Seconda guerra mondiale, al concetto di “buon senso” ai toni rispettosi riservati a Putin. Che differenza con il disprezzo usato nei confronti degli alleati della Nato, dal Canada che deve diventare il 51° Stato americano alla Danimarca alla quale vuole sottrarre la Groenlandia. In sostanza, Trump pretende che Zelensky finanzi l’aiuto americano, e non quello futuro ma quello già stanziato, cedendo le terre rare. Putin, purtroppo, sta ottenendo uno straordinario successo».
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Successo anche militare?
«No, quello è l’unico che sfugge alla Russia. Putin non ha vinto sul campo di battaglia, nonostante le zone occupate e i pochi chilometri rosicchiati mese dopo mese. Da un punto di vista militare la situazione è ancora aperta. Putin ha vinto dal punto di vista politico».
Dividendo l’Occidente?
«Sì, Putin sta riuscendo nell’obiettivo storico dell’Unione sovietica e poi della Russia, ovvero separare gli occidentali, e in particolare l’Europa dall’America. È una conquista inestimabile. Quando si è accorto che non riusciva a prendere Kiev in tre giorni, Putin è passato alla guerra di attrito, confidando nel fatto che gli occidentali non avrebbero tenuto. Gli ucraini al fronte continuano a resistere, al prezzo di enormi sacrifici. Siamo noi, nelle retrovie, ad avere mollato».
Che cosa succederà ora? Che cosa potrebbe fare l’Europa in risposta a Trump?
«Siamo al momento di svolta. I dirigenti europei potrebbero scuotersi dal loro torpore, per esempio destinando immediatamente all’Ucraina i 200 miliardi di beni pubblici russi congelati nelle nostre banche. I Paesi baltici, gli scandinavi e la Polonia sanno di essere in prima linea e cominciano a prepararsi. Se gli altri Stati europei ignorano il pericolo, Putin avrà centrato l’obiettivo totale, dividere non solo gli europei dagli americani ma anche gli europei al loro interno».
All’inizio della guerra si parlava della salute precaria di Putin, poi c’è stata l’insubordinazione di Prigozhin a capo del gruppo Wagner… Ora invece il potere del Cremlino sembra saldo e incontestato.
«E lo sarà sempre di più, se Putin verrà premiato per avere invaso l’Ucraina. Sono le sconfitte militari a fare cadere i dittatori, ricordiamoci di Hitler, Mussolini o Milosevic. Non importano le sofferenze del popolo, non importa quante centinaia di migliaia di ragazzi russi Putin abbia mandato a morire al fronte. Trump gli sta dando ragione, Putin sarà ancora più forte davanti alla sua opinione pubblica. E, se non facciamo qualcosa, non si fermerà».
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