«Quando ho letto a proposito del film di Walter Salles che si parlava del quartiere Brás di San Paolo e poi che il nome della protagonista Eunice Paiva da ragazza era Eunice Facciolla, ho avuto come un’illuminazione: Facciolla è un cognome tipico di Polignano e il quartiere è abitato dai polignanesi, discendenti degli immigrati dell’Ottocento. La tempra di questa gente l’ho vista chiara e nitida nella storia di Eunice» . Gianni Torres è il regista di Le mamme di San Vito, documentario che si può vedere free su youtube, proiettato negli Usa e in vari altri paesi che ci svela un collegamento sorprendente con tra la protagonista delle vicende raccontate da Walter Salles e la nostra storia di emigrazione: «Andai a San Paolo a girare Le mamme di San Vito: A San Paolo del Brasile ci sono donne discendenti da immigrati da Polignano alla fine dell’Ottocento che sei giorni su sette alla settimana si ritrovano a preparare e vendere prodotti tipici pugliesi. All’interno di questa operazione cade la festa di San Vito che è la festa del patrono di Polignano a Mare e che alcuni mesi fa il presidente Lula ha dichiarato manifestazione di interesse culturale del Brasile, quindi è diventata un’istituzione del paese. Durante questa festa loro vendono orecchiette, panzerotti, i prodotti tipici, con numeri impressionanti: ottocento focacce a sera, duemila panzerotti, quattromila piatti di spaghetti al sugo. I soldi che raccolgono servono a mantenere un asilo dove sono passati più di ventimila bambini brasiliani poveri dai zero ai tre anni, con cinque pasti al giorno, assistiti da un’infermiera e un medico. «I brasiliani ci hanno aiutato quando siamo arrivati e noi ora aiutiamo loro», dicono quelle donne.
Io sono ancora qui è scritto sulla storia di Eunice. I suoi nonni sono stati tra i fondatori dell’Associazione benefica di San Vito, gli organizzatori della festa, costruttori prima di una cappella, poi della chiesa e poi del palazzone dove i vari piani servivano a formare i nuovi migranti, un piano per le dattilografe, uno per le sarte, uno per l’accoglienza, uno per gli altri mestieri.
Eunice e sua sorella hanno conosciuto, frequentato queste anziane donne, la sofferenza della migrazione, la sofferenza dell’identità perduta con la partenza, la ricostruzione della propria identità con la creazione del quartiere Brás dove l’architettura è identica a quella di Polignano a Mare, dove si mettono con le sedie fuori all’uscio, la sera, quella che puliva i pomodori, quella che faceva il chiacchierino, quella che lavorava a maglia, come fanno le donne al sud.
Eunice è vissuta respirando questa caratteristica della comunità di Polignano con tutta la sua forza che è emersa nella storia del film. Nel film c’è un passaggio chiave che la riporta nella comunità, quando lei dice: «ho affittato questa casa, diventerà un ristorante, torniamo a San Paolo dove i vostri nonni ci aiuteranno». Tornano al quartiere Brás dove Eunice è cresciuta nella comunità di Polignano. Quando lei torna in braccio alla comunità, tutti cercano di aiutarla perché la tragedia che ha vissuto, era stata vissuta dalla gente della comunità stessa in altro modo, morti per incidenti sul lavoro o la malattia. Lei ha fatto la stessa cosa, di fronte al problema è rientrata nella comunità per cercare di andare avanti, si iscrive all’università, perché voleva diventare avvocato e si laurea a quarantotto anni.
Il nonno di Eunice è stato tra i fondatori, il presidente del Banco dei cereali di San Paolo che poi è diventato il Mercado Municipal che è a tutt’oggi il mercato che distribuisce frutta e verdura in tutto il sud America. Eunice ha colto dalle proprie radici quella forza che si coglie nel film e nella sua vita. Questa donna ha avuto la capacità di contrastare la dittatura, di esporsi contro i ladri di terre per gli indios, diventando paladina dei diritti degli indios. Tra l’altro il suo lavoro per gli indios è stato preso dalle Nazioni Unite come esempio da riprodurre per tutte le altre comunità degli indios del mondo, indiani d’America, Inuit in Canada.
Quindi Eunice non solo è stata straordinaria per il temperamento che ha avuto, ma è stata ispiratrice della nascente Costituzione del Brasile per i diritti dei popoli. Tutta questa forza nasce in parallelo a tutto quello che hanno fatto i suoi parenti che l’hanno forgiata. È fatta della stessa pasta delle «Mamme di San Vito» che dal lunedì al sabato vanno a fare orecchiette e taralli, tutto gratuitamente per l’asilo. Lei è rientrata nella comunità per cercare di andare avanti. Sono donne che si portano un bagaglio di sofferenza, di tenacia. Quando partivano c’erano due tipi di persone sulla nave, quelli che guardavano a poppa e quelli che guardavano a prua. Chi guardava a poppa falliva e tornava indietro, chi guardava a prua rimaneva e andava avanti. Chi parte come migrante e continua a guardarsi indietro a quello che ha lasciato, viene divorato quando arriva nella nuova terra. Nel mio film c’è una frase molto forte che dice un signore: «noi siamo la feccia della società perché non siamo riusciti a vivere nel luogo dove siamo nati». I migranti si portano dietro questo bagaglio, hanno sempre pensato che loro erano gli scarti, quelli che non avevano combinato niente nella loro terra.
La comunità di Polignano a differenza di altre comunità non sono andate a sostituire gli schiavi perché loro arrivarono alla fine dell’Ottocento quando in Brasile fu abolita la schiavitù nel 1882, l’ultimo paese al mondo ad abolire la schiavitù. I governi statunitense, argentino, brasiliano, venezuelano, invitavano italiani, giapponesi, tedeschi ad andare a lavorare perché avevano bisogno di manodopera. La comunità di Polignano andò tutta in Brasile e quando arrivarono gli fu offerto di sostituire gli schiavi nei campi. Loro che venivano dalla povertà non accettarono, non andarono nelle fazende e rimasero tutti a San Paolo. Da contadini e pescatori si trasformarono in «cittadini» dando un contributo determinante allo sviluppo della città.
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