Dopo il primo caso di suicidio assistito in Lombardia, si riapre il dibattito politico sul tema etico. La maggioranza si divide: la Lega ha aperto e il leader Salvini ha lanciato un sondaggio sui social; Fdi e Fi, invece, hanno parlato di “fughe in avanti” delle Regioni. Nei giorni scorsi la Toscana ha approvato una legge che definisce tempi e procedure del suicidio medicalmente assistito: il centrodestra in Consiglio regionale ha presentato ricorso al collegio di garanzia statuaria per la verifica di conformità
Dopo il primo caso di suicidio assistito in Lombardia, si riapre il dibattito politico sul tema etico e il centrodestra si divide. La Lega, capitanata dai governatori Luca Zaia e Attilio Fontana, ha aperto e il leader Matteo Salvini ha lanciato un sondaggio sui social. Fratelli d’Italia e Forza Italia, invece, hanno parlato di “fughe in avanti” delle Regioni. Il riferimento è anche all’approvazione di una legge sul tema da parte della Toscana, che definisce tempi e procedure. Una normativa “che impugnerei, se dipendesse da me”, ha detto il segretario azzurro e vicepremier Antonio Tajani, che sul tema chiede una competenza nazionale e non regionale. Un suggerimento accolto dal centrodestra in Consiglio regionale della Toscana, che ha presentato ricorso al collegio di garanzia statuaria per la verifica di conformità, rispetto allo statuto della Regione, della legge sul suicidio medicalmente assistito e ha messo, così, la legge in standby.
La legge approvata in Toscana
Nei giorni scorsi il Consiglio regionale della Toscana ha approvato – per primo in Italia – la legge di iniziativa popolare “Liberi Subito” sul fine vita, che regola tempi e modalità per l’accesso al suicidio assistito. Il testo prescrive che la procedura per la verifica dei requisiti del malato da parte della commissione multidisciplinare permanente si debba concludere entro 20 giorni dal ricevimento dell’istanza. In caso di esito positivo, si procede all’approvazione o alla definizione delle modalità di attuazione del suicidio medicalmente assistito entro 10 giorni, ed entro altri 7 giorni l’azienda sanitaria assicura il supporto tecnico, farmacologico e sanitario per l’assunzione del farmaco. La norma stabilisce che tali prestazioni siano gratuite e si stanziano 10mila euro all’anno per tre anni.
Il ricorso
Il centrodestra in Consiglio regionale della Toscana, però, ha presentato ricorso al collegio di garanzia statuaria per la verifica di conformità, rispetto allo statuto della Regione, della legge sul suicidio medicalmente assistito. Lo hanno annunciato i capigruppo di Forza Italia Marco Stella, di Lega Elena Meini e di Fdi Vittorio Fantozzi. Il collegio di garanzia ha fino a 30 giorni di tempo per esprimersi: durante questo lasso di tempo la legge non può essere promulgata. I sottoscrittori dell’istanza chiedono “un parere di codesto collegio di garanzia, al fine di conoscere se la legge regionale in materia di assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito – ancorché dichiaratamente recante modalità organizzative -, in assenza di una legge statale che assicuri la necessaria uniformità, risulti conforme allo Statuto della Regione Toscana”.
Legge in standby
“L’effetto immediato – ha spiegato Stella – è che la legge va in regime di standby, non può essere promulgata, non può andare sul Burt. Gli effetti delle legge sono sospesi fino alla decisione del collegio di garanzia. C’è una presa in carico del collegio di garanzia che, nel giro di pochi giorni, decide se il quesito è fondato o no. In caso positivo ha 30 giorni per esprimersi sul fatto se la legge sia conforme allo statuto. Noi siamo convinti di no”. Per Meini “una Regione non può decidere in modo autonomo su un tema come questo. Il Pd si è aggrappato a una sentenza della Corte che però non dice questo”. Per Fantozzi “anche questo è stato un tema votato alla strumentalizzazione delle sirene elettorali presenti in casa del Partito democratico e non solo”. Prima della discussione della legge da parte del Consiglio regionale, il presidente Antonio Mazzeo aveva respinto un’istanza di Stella che chiedeva il parere preventivo al collegio regionale di garanzia.
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Il primo caso di suicidio assistito in Lombardia
La discussione sul fine vita si è riaccesa anche in Lombardia. Il primo caso di suicidio assistito nella regione riguarda una donna cinquantenne affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni: è morta nelle scorse settimane nella sua casa, dopo l’auto-somministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, insieme alla strumentazione necessaria, dopo 9 mesi dalla richiesta. La donna è stata la sesta persona in Italia ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta con la sentenza 242/2019 sul caso “Cappato/Antoniani”, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale.
Il dibattito in Lombardia
“Regione Lombardia ha fornito l’aiuto medico per la morte volontaria perché era suo dovere farlo. Se fosse stata in vigore la nostra legge di iniziativa popolare ‘Liberi subito’, la donna avrebbe potuto seguire una procedura chiara e definita invece di dover affrontare, insieme al personale sanitario, una corsa a ostacoli durata 9 mesi”, hanno detto Filomena Gallo e Marco Cappato, segretaria nazionale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni (che ha assistito la donna). Hanno anche puntato il dito “sull’irresponsabile decisione” del Consiglio regionale che aveva approvato una pregiudiziale di costituzionalità sostenendo che la competenza fosse dello Stato ed evitando così la discussione in Aula del progetto di legge sul fine vita. Cappato ha anche chiesto alla Lombardia di ritornare sulla materia emanando un atto di giunta come quello di Zaia. Cosa che in realtà non serve, secondo l’assessore lombardo al Welfare Guido Bertolaso, che ha fatto notare come la Lombardia ha “seguito il dettame della Corte costituzionale” senza il bisogno di una legge. Il gruppo di FdI in Lombardia ha ribadito il suo “no alle scorciatoie” e tramite il consigliere Matteo Forte è andato all’attacco di Bertolaso annunciando un’interrogazione sul “grave” caso lombardo. “Noi non abbiamo fatto altro che trovare delle linee di condotta che verranno estese a tutta la Regione”, ha rivendicato il governatore Attilio Fontana, evidenziando che, comunque, una legge nazionale “resta opportuna”.
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Il Veneto
Da sempre aperto sul tema, anche il governatore del Veneto Luca Zaia è tornato alla carica auspicando una legge nazionale. In Veneto, ha spiegato Zaia, l’intenzione è quella di adottare una circolare “che dovrebbe fissare delle regole” per il fine vita in base alla sentenza della Consulta del 2019. La sentenza stabilisce che un malato terminale può fare domanda se sono rispettati questi quattro requisiti: diagnosi infausta, mantenimento in vita da supporti, grave sofferenza fisica e psichica, libertà di scelta. Gli stessi che hanno guidato la Lombardia nella scelta di accompagnare verso il suicidio assistito la donna di 50 anni.
Le altre Regioni
In attesa di una decisione a livello nazionale, sono dieci le Regioni in cui si attende la discussione della legge: in Valle D’Aosta, Lazio, Campania, Sardegna, Abruzzo, Liguria e Sicilia è depositata in attesa di inizio iter; depositate proposte simili a “Liberi Subito” in Calabria, Puglia, Marche.
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Le posizioni politiche
La politica, sul tema, si divide. “La nostra posizione è chiara, non può esserci una competenza regionale, deve essere nazionale”, ha dichiarato il leader di Forza Italia Tajani. Sulla stessa lunghezza d’onda FdI, con la responsabile Famiglia Maddalena Morgante che ha ribadito la centralità “del principio della difesa della vita in ogni fase e condizione”. Confidano in un intervento nazionale i governatori del Lazio, Francesco Rocca, e della Liguria, Marco Bucci. Mentre la Lega lascerà libertà di coscienza sull’argomento. Matteo Salvini ha lanciato un sondaggio sui social per sondare gli umori, trovando nei commenti anche il favore dei suoi follower, tra chi ritiene una regolamentazione “indispensabile” e chi si spinge a dire che “sarebbe un grande atto di civiltà”. Alcune divergenze ci sono anche nell’opposizione. Nel Pd sono emersi i dubbi dell’ala cattolica, anche se il responsabile dem per i diritti Alessandro Zan ha subito ribadito l’urgenza di un intervento nazionale atteso “dalla stragrande maggioranza degli italiani”.
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