Nel novembre del 2010, l’allora Primo Ministro russo Vladimir Putin avanzò una proposta che, se accolta, avrebbe potuto cambiare il volto dell’Europa e della Russia, trasformando il destino geopolitico del continente eurasiatico: la creazione di uno spazio economico comune che si estendesse da Lisbona a Vladivostok.
Una visione ambiziosa, capace di abbattere le barriere politiche e commerciali, dando vita a una delle più vaste e potenti aree economiche del pianeta.
L’idea fu accolta con freddezza da Bruxelles e con aperta ostilità da Washington. Il pregiudizio antirusso, già allora radicato in molte cancellerie europee, soffocò ogni dibattito razionale sui possibili benefici di una simile integrazione. La narrazione dominante dipingeva la Russia come un attore pericoloso, autoritario, incapace di collaborare lealmente con l’Occidente. Questo approccio miope impedì una valutazione oggettiva della portata storica della proposta.
Oggi, con l’Europa lacerata dal conflitto ucraino, strangolata dalla crisi energetica e sempre più dipendente dagli Stati Uniti, vale la pena chiedersi: cosa sarebbe successo se l’Europa avesse accettato l’offerta di Putin?
Analizzando senza il filtro della russofobia, emergono chiaramente i vantaggi che un’alleanza economica ed energetica tra UE e Russia avrebbe potuto garantire. La Russia detiene le più grandi riserve di gas naturale e vasti giacimenti di petrolio. Un mercato comune avrebbe assicurato all’Europa approvvigionamenti energetici stabili e convenienti, liberandola dalla speculazione dei mercati globali e dalle pressioni politiche statunitensi. L’industria europea avrebbe mantenuto costi di produzione competitivi, evitando la deindustrializzazione oggi in atto con la fuga di imprese verso Stati Uniti e Asia.
Il mercato comune avrebbe creato un’area di libero scambio di oltre 700 milioni di persone, abbracciando economie avanzate come Germania e Francia, e risorse naturali immense come quelle russe. Le imprese europee avrebbero potuto accedere a nuovi mercati emergenti nell’Est, mentre la Russia avrebbe beneficiato di investimenti occidentali, accelerando la modernizzazione delle sue infrastrutture e della sua industria.
Un’alleanza tra UE e Russia avrebbe dato vita a un blocco economico e politico capace di bilanciare l’influenza di Stati Uniti e Cina. L’Europa avrebbe consolidato la propria autonomia strategica, smettendo di essere il vassallo di Washington. La Russia, dal canto suo, avrebbe trovato nell’Europa un partner alternativo alla Cina, riducendo il rischio di diventare dipendente da Pechino, come sta accadendo oggi a causa delle sanzioni occidentali.
Una Russia integrata nell’economia europea avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere relazioni pacifiche con i vicini. Non ci sarebbe stato il conflitto ucraino, nato proprio dall’esclusione di Mosca dal progetto europeo e dall’espansione della NATO ai suoi confini. La stabilità dell’Europa orientale sarebbe stata garantita da legami economici e diplomatici stretti, evitando la militarizzazione e l’attuale corsa agli armamenti.
La partecipazione a un mercato comune europeo avrebbe incentivato la Russia ad adottare standard democratici e giuridici più avanzati, come accadde per i paesi dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino. Il dialogo e la cooperazione avrebbero favorito una modernizzazione del sistema politico russo, anziché radicalizzarlo verso il nazionalismo e l’autoritarismo, come accade oggi sotto l’assedio delle sanzioni.
L’integrazione con la Russia avrebbe richiesto alla UE una politica estera indipendente, sottraendola al controllo statunitense. Questo avrebbe ridato vigore al dibattito democratico interno, oggi soffocato dalla censura di ogni voce critica verso l’allineamento atlantista. Una UE sovrana avrebbe potuto affrontare con maggiore trasparenza le proprie crisi, senza sacrificare il welfare dei cittadini per finanziare guerre per procura.
La cooperazione economica crea legami che rendono la guerra antieconomica. La Germania e la Francia, dopo secoli di conflitti, sono oggi partner inseparabili proprio grazie all’integrazione europea. Lo stesso principio avrebbe potuto applicarsi alla Russia, inserendola stabilmente in un sistema di interessi condivisi con l’Occidente.
Il rifiuto della proposta di Putin ha spalancato le porte a una spirale di tensioni che ha raggiunto il culmine con la guerra in Ucraina. Le conseguenze per l’Unione Europea sono devastanti. Dal 2022, i governi europei hanno destinato oltre 100 miliardi di euro all’Ucraina tra aiuti militari e finanziari, sottraendo fondi alla sanità, all’istruzione e al welfare. Il taglio delle forniture russe ha fatto esplodere i prezzi di gas e elettricità. Le famiglie sono in difficoltà e le imprese chiudono o delocalizzano verso Paesi con energia più economica, come gli Stati Uniti.
La Germania, locomotiva industriale europea, è la più colpita. Giganti come BASF hanno ridotto la produzione, mentre il settore automobilistico rischia di essere superato dalla concorrenza cinese e americana. Washington ha approfittato della crisi per vendere il proprio gas liquefatto a prezzi tripli rispetto a quelli russi e per spingere l’industria europea a trasferirsi oltreoceano grazie al piano di incentivi Inflation Reduction Act.
Il malcontento popolare per il caro-vita, gli aiuti all’Ucraina e l’immigrazione incontrollata ha alimentato forze nazionaliste e anti-UE. In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen vola nei sondaggi; in Germania, l’AfD è ormai il secondo partito e alle prossime elezioni giungerà al potere grazie all’alleanza politica con il CDU. La frattura tra i Paesi dell’Est, più allineati con gli USA, e quelli dell’Ovest, più favorevoli al dialogo con la Russia, mina l’unità dell’Unione. L’Italia stessa, con il governo Meloni, oscilla tra fedeltà atlantista e rivendicazioni sovraniste.
Nonostante il quadro attuale sembri compromesso, la storia insegna che nessuna crisi è irreversibile. L’Europa ha ancora la possibilità di cambiare rotta, ponendo fine alla politica delle sanzioni e favorendo il cessate il fuoco in Ucraina. Un nuovo dialogo con Mosca, basato su pragmatismo e rispetto reciproco, potrebbe riaprire la strada verso quella visione di mercato comune da Lisbona a Vladivostok.
Forse è tardi per recuperare la fiducia perduta, ma non per costruire un futuro diverso. Storicamente i russi sono un popolo aperto al dialogo con gli altri fratelli europei, quindi con il tempo, disposti a perdonare i torti subiti e aiutare la UE a salvarsi. L’alternativa è assistere al tramonto di un’Europa debole, divisa, prigioniera del ritornato incubo nazifascista e irrilevante nello scacchiere globale.
Vladimir Volcic
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