L’indagine per una presunta bancarotta fraudolenta da 320 milioni, i nomi e le accuse: «Consoli pagato nonostante il dissesto»
Dieci faldoni, quasi undicimila pagine. Sono questi i numeri dell’indagine per una presunta bancarotta fraudolenta da 320 milioni di euro che ha coinvolto i vertici di Veneto Banca. L’inchiesta, chiusa oltre un anno fa, segna ora un passo in avanti decisivo. La Procura di Treviso ha infatti emesso la richiesta di rinvio a giudizio per dieci delle dodici persone che erano state originariamente indagate.
Chi sono i 10 coinvolti
Oltre a Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato prima e poi direttore generale dell’istituto di credito, nel mirino dei pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama sono finiti Mosè Fagiani, condirettore e responsabile commerciale fino al 2014, gli ex presidenti Flavio Trinca e Francesco Favotto, il vice presidente del comitato crediti Romeo Feltrin e Daniele Scavaortz – che faceva parte dello stesso comitato – l’avvocato Pierluigi Ronzani, professionista molto noto nella Marca ed ex senatore della Lega a cui sarebbe stata pagata una ricca parcella per un lavoro inutile.
Rischiano il processo anche Michele Stiz, componente del collegio sindacale, Mauro Angeli, amministratore unico della Vimet, colosso dell’industria orafa vicentina fallita nel 2017 e creditrice «illustre» di Veneto Banca e Attilio Carlesso, componente del consiglio di amministrazione della stessa società e anche della banca. Sono stati invece prosciolti – perché non vi è la prova che fossero a conoscenza delle pratiche di Veneto Banca – Michele Barbisan, responsabile di direzione territoriale e Roberto Mascalchin, che faceva parte del comitato crediti.
Le ipotesi di reato
L’indagine era stata avviata nel giugno del 2018 quando la ex popolare era stata dichiarata insolvente. A quella data i liquidatori della ex popolare si sarebbero trovati con una montagna di denaro praticamente impossibile da recuperare, finito tutto come credito incagliato. In alcuni casi le perdite sarebbero arrivate a circa il 45% del denaro prestato. L’ipotesi della Procura è quella della bancarotta fraudolenta per distrazione e dissipazione: centinaia di migliaia di euro sarebbe stati «sottratti» dalla massa a disposizione dei creditori della banca attraverso erogazioni di prestiti, mutui e fidi dati a società che però non avrebbero avuto i fondamentali per accedere alle linee di credito oppure dati sulla base di garanzie inesistenti o addirittura ampiamente sopravalutate. In particolare sono una trentina le situazioni finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti anche grazie all’ausilio di una consulenza durata oltre un anno e affidata dalla Procura al docente universitario Andrea Perini.
Il capo di imputazione di questo terzo troncone d’indagine – quello sulle truffe ai privati, è finito in prescrizione mentre il procedimento contro Consoli per ostacolo alla vigilanza attende la chiamata della Cassazione – è stato poi integrato con la contestazione, rivolta ai soli Trinca e Consoli, di tre milioni e seicento mila euro che sarebbero stati corrisposti proprio al manager quando oramai lo stato di dissesto di Veneto Banca era sotto gli occhi di tutti ed era noto in seguito ai pesanti rilievi emersi nel 2013 dall’ispezione della Banca d’Italia.
L’esposto al guardasigilli
Secondo le ipotesi accusatorie, nel 2014 Trinca avrebbe sottoscritto un accordo transattivo che prevedeva l’erogazione a Consoli di somme che erano più basse rispetto agli undici milioni e 202 mila euro che Consoli avrebbe dovuto ricevere in quanto amministratore delegato; ma le lettere che impegnavano la banca sarebbero state sottoscritte dall’allora presidente senza farle esaminare dal consiglio di amministrazione. Intanto l’avvocato Sergio Calvetti, che rappresentava una buona fetta dei clienti «truffati» dalla ex popolare, ha annunciato che presenterà un esposto al guardasigilli Carlo Nordio perché vengano coinvolti nell’indagine anche i revisori dei conti.
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