Sono 700mila, stando all’allarme lanciato dal Copasir, i migranti pronti a mettersi in viaggio dalle coste del Nord Africa per raggiungere l’Italia, unico Paese disposto ad accogliere chiunque senza protestare più di tanto. Un ruolo a cui il nostro Paese si è rassegnato e a cui esso, erroneamente, si ritiene votato a causa della sua posizione geografica, essendo collocato nel cuore del mare Mediterraneo e non troppo lontano dal continente africano. Settecentomila clandestini che si preparano ad assalirci in un lasso di tempo alquanto breve, giungendo a raffiche, costituiscono senza dubbio una minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico, in quanto si tratta di masse non controllabili di individui senza documenti che arrivano e pretendono assistenza, incidendo quindi notevolmente anche sulle casse dello Stato e sul nostro sistema di Welfare. Va da sé che, davanti a una situazione tanto preoccupante, è necessario ricorrere a misure di urgenza, addirittura eccezionali, in quanto il compito principale di un governo è la tutela del popolo e della Nazione, specifico: del suo di popolo.
Questa attività non configura un abuso, un crimine, ma rientra nei doveri essenziali di un buon governo. L’esecutivo Meloni, da quando si è insediato, si è impegnato nel contrasto efficace al fenomeno della immigrazione illegale, conseguendo anche risultati notevoli, ovvero una diminuzione degli sbarchi e dunque pure dei morti in mare. Tuttavia, esso ha incontrato un ostacolo non da poco nell’attuazione di quei provvedimenti predisposti allo scopo di regolare una situazione fuori controllo, ereditata da lustri di politiche di accoglienza, scellerate e pericolosissime. Tale ostacolo è rappresentato da una magistratura, evidentemente politicizzata, che si diverte questa è l’impressione collettiva, non soltanto la mia a mettere i bastoni tra le ruote a Meloni poiché è Meloni. E questa è la ragione fondamentale per la quale il protocollo con l’Albania non ha incontrato piena attuazione.
Cosa fare allora? È questa una domanda essenziale. Insomma, cosa fare davanti alla minaccia di uno tsunami di arrivi e a fronte di una magistratura che non collabora al bene del Paese costringendoci ad accogliere pure chi non ha diritto di asilo e di protezione umanitaria?
Ebbene, io direi che è ora di rispolverare il cosiddetto «blocco navale», ovvero di tornare a quella idea originaria, reputata troppo forte e inattuabile, che abbiamo abbandonato, in quanto ci siamo forse fatti persuadere che sia irrealizzabile.
Invece no. E vi spiego.
Realizzare il blocco navale per respingere le migrazioni di massa irregolari per via marittima è alquanto complesso, in quanto la materia si interseca con la disciplina del mare territoriale e delle acque internazionali e con la tutela dei diritti umani, ma è fattibile. La soluzione sarebbe più semplice qualora le operazioni fossero condotte dalle organizzazioni internazionali (Ue e Onu), ma scarto a priori questa ipotesi, essendo allo stato poco realistica. Innanzitutto, cos’è il blocco navale? Il blocco navale è un’azione militare diretta a impedire l’entrata o l’uscita delle navi dai porti o dal territorio di uno Stato. Si tratta di un vero e proprio istituto giuridico, contemplato dal diritto bellico marittimo, ammesso (oltre che per legittima difesa) solo in occasione di conflitti armati. Le operazioni marittime di contrasto al trasporto illegale di migranti non rientrano nel concetto di blocco navale. Pertanto l’espressione va intesa in senso a-tecnico, per designare l’attività volta a impedire il passaggio di imbarcazioni cariche di extracomunitari che risultino univocamente dirette a raggiungere il territorio di un altro Stato, in violazione delle norme sull’immigrazione. Del resto, il traffico e trasporto illegale di migranti è punito gravemente dal T.U. immigrazione, in particolare nell’ipotesi di cui all’art. 12-bis, che prevede un reato universale (punibile, cioè, ovunque commesso). Ciò che interessa è stabilire quali siano i poteri dell’Italia (quale Paese di destinazione) di impedirlo, e quali siano gli obblighi degli Stati costieri dell’Africa (quali Paesi di provenienza) di non consentirlo. Ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Unclos): «La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne a una fascia adiacente di mare, denominata mare territoriale».
Inoltre, «Il passaggio nel mare territoriale è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero». Suddetta Convenzione specifica che «il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività: il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero». Ai sensi dell’art. 25 della Convenzione: «Lo Stato costiero può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo». Dunque, lo Stato costiero ha il potere di impedire il transito di una nave straniera che trasporti persone per favorirne l’ingresso nel suo territorio in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione e, a maggior ragione, di impedirne l’ingresso nei porti o nelle acque interne. Anche in alto mare lo Stato costiero ha taluni poteri. Le sue navi, ad esempio, sono autorizzate a esercitare il diritto di inseguimento in alto mare nei confronti di una nave che sia sospettata di agevolare l’immigrazione illegale. Il blocco può essere realizzato dallo Stato di destinazione o al confine con le proprie acque territoriali o all’interno delle acque territoriali dello Stato di provenienza o in alto mare.
L’ipotesi più ragionevole è, a mio avviso, quella di un blocco operato in acque internazionali, ma in prossimità dello Stato di partenza: più il natante si trova a breve distanza dalla costa da cui è partito e meno è il tempo trascorso dalla partenza, maggiore sarà la probabilità che l’imbarcazione o i suoi passeggeri non versino in quello stato di pericolo che fa scattare l’obbligo di soccorso. Il governo italiano potrebbe decidere di adottare questa misura per contrastare la potenziale «minaccia umana» provocata dall’esodo di milioni di africani verso l’Europa e, in primo luogo, verso l’Italia.
Il mancato contrasto ai movimenti migratori di massa ha portato in questi anni a un incremento di tale fenomeno, tanto da essere ormai da lustri incontrollabile e ingestibile. L’art. 42 della Carta Onu prevede che, in caso di minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione «se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di membri delle Nazioni Unite». L’art. 51 della Carta fa salvo, negli stessi casi, il diritto di autotutela individuale e collettiva dei singoli Stati. Le norme in questione non sono certamente applicabili all’immigrazione clandestina, ancorché gestita da organizzazioni criminali. Tuttavia nei casi in cui un’immigrazione di dimensioni tali da mettere a rischio le strutture sociali del Paese di arrivo sia deliberatamente consentita o addirittura incoraggiata dagli Stati di partenza, l’azione dello Stato di arrivo potrebbe essere inquadrata, in base a un’interpretazione estensiva del concetto, quale atto di aggressione o atto terroristico. In quest’ottica il blocco navale, ossia il respingimento, si sostanzierebbe in una forma pienamente legittima di difesa preventiva, secondo la dottrina Bush, nata dopo gli attentati dell’11 settembre.
In sostanza, in caso di migrazioni di tale portata da mettere in pericolo la sicurezza e la tenuta sociale dell’Italia, ed è questa la situazione in cui versiamo, il blocco è ammissibile anche unilateralmente, ossia attuato senza la collaborazione degli altri Stati membri dell’Ue.
Ho il sospetto che non ci resti altra soluzione. E presto ne prenderemo amara coscienza, purtroppo.
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