Anche a Brescia «è guerra» tra clan per le fatture false: in cella 12 persone

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di
Mara Rodella

Operazione della Guardia di Finanza: disposti sequestri da 8,5 milioni

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Il «carattere mafioso» della nuova consorteria sviluppata attorno all’ideatore — Giovanni Natalino «Lino» Cambareri, 55 anni, nato a Scilla, Reggio Calabria, e di casa in città — non si fonda solo sul fatto che «la sua formazione sia stata appoggiata, garantita e voluta da una persona già riconosciuta come affiliata alla ‘ndrangheta», il fratello Domenico. Ma «su solidi punti di riferimento», quali: il vincolo associativo, la minaccia di un male ingiusto, la fama criminale del gruppo, il ricorso alle armi (e alle intimidazioni), la privazione dei beni. Oltre un milione e mezzo di euro. Perché «è guerra. Punto». E l’alternativa, alla «guerra» è solo l’assoggettamento.

Stando alle indagini coordinate dalla Dda — la pm Roberta Panico, con le colleghe Erica Battaglia e Benedetta Callea —, condotte dalla Guardia di Finanza e durate oltre quattro anni, la «guerra», anche qui, a Brescia e lungo l’asse con Mantova, sarebbe stata tra «clan» di stampo ‘ndranghetista. E tra cugini. Per aggiudicarsi con ogni mezzo «il monopolio nella gestione del sistema di fatture per operazioni inesistenti». Grazie a 32 cartiere — in Italia, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Svizzera e Croazia — ne avrebbero emesse per 365 milioni di euro di imponibile. Il giudice ha disposto ne siano sequestrati 8,5.




















































Su disposizione del gip Alessandro D’Antilia, in carcere sono finiti in dodici (71 in tutto gli indagati): rispondono a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso e una moltitudine di reati tributari. Cinque i bresciani, di origine o residenza, in cella (25 gli indagati), oltre a «Lino» Cambareri, presunto leader: Vincenzo Cacciola, 52 anni, calabrese di casa a Lumezzane; Liguan Hu, 48enne cinese residente a Capriano del Colle; Simone Iacca, 39enne di Desenzano e Giuseppe Zeli, 48 anni, di Brescia.
Le indagini partono dal fallimento della Bsc Group di Torbole Casaglia: tra il 2017 e il 2019 fattura quasi 8,7 milioni. Per gli inquirenti altro non era che una società «filtro» per le operazioni inesistenti, grazie alle fatture emesse da imprese bulgare. Nel 2017 nasce la prima associazione criminale, con sede operativa alla Dante srl, di cui la Bsc aveva acquisito il controllo: a Torbole (poi nel Mantovano) venivano quindi realizzate tutte le operazioni relative alle frodi fiscali, core business dell’associazione. Le cartiere, le imprese filtro, i conti esteri e i cinesi a garantire la monetizzazione delle finte fatturazioni, con la restituzione del denaro contante agli imprenditori bresciani che del servizio godevano, previa provvigione, dal 3% all’8%.

Tre anni dopo, nel 2020, però, Lino Cambareri esce dal sodalizio. Ma «continuerà a monitorarne le attività illecite grazie ai suoi fedelissimi». Con un obiettivo preciso: indebolire gli ex soci, estrometterli dagli affari e con il fratello — già condannato a Reggio Calabria e riconosciuto affiliato come reggente della locale di San Roberto — «diventare il punto di riferimento dell’imprenditoria bresciana interessata a fruire dei benefici connessi ai “servizi fiscali” resi». Lo farà. Primo passo: nel luglio 2020 inscenare una rapina, con alcuni complici, ai danni dell’ex sodale Mario Oliveri, incaricato da Humg Vu e Giuseppe Zeli (altra figura ritenuta ai vertici) di ritirare 433 mila euro per monetizzare le fatture da referenti cinesi a Milano, ma vengono sequestrati in flagranza. Sarebbero serviti per capitalizzare la seconda consorteria, senza dimenticare le minacce e i riferimenti agli «amici» in Calabria pronti a salire: lo faranno, nel tentativo di mediare. 

Nel mezzo: le minacce («o continui a lavorare per noi o entriamo in guerra»). E le riunioni nel locale e ristorante Reverso Tower, in città, presunta nuova base dell’altrettanto neonata consorteria — che ne aveva alcune quote — con la Star Service srl di Roncadelle. Nuovi contatti, nuovi conti correnti oltreconfine, non prima di aver ripulito — grazie alle credenziali dell’home banking — quelli dell’associazione precedente, per circa 1,2 milioni. Indebolire per prevaricare, senza risparmiare le minacce di morte, tanto che Zeli, terrorizzato, deciderà di seguire «Lino» e abbandonare i suoi cugini, mentre Hu viene costretto ad allontanarsi da Brescia, destinazione Bulgaria.

Cinque i passaggi della mega frode fiscale: la prenotazione del denaro cash da parte dei «clienti», la creazione di fatture false grazie alle cartiere e alle società filtro, i bonifici al cliente e l’approvvigionamento dei contanti dai cinesi del Nord Italia (a loro volta rimborsati via bonifico ad altre cartiere), fino alla consegna delle banconote agli imprenditori dagli intermediari.

«Questa indagine conferma che la ‘ndrangheta si fa imprenditrice al nord, ma nel sottobosco dell’illegalità, fornendo servizi fiscali a imprenditori reali: fatture false, per frodare l’Erario grazie all’evasione o all’ottenimento di finanziamenti pubblici non dovuti», commenta il procuratore capo di Brescia, Francesco Prete. Che su un aspetto è tranchant: «La narrazione va cambiata. Abbiamo imprenditori alleati con la ‘ndrangheta, non più vittime. Cercano aiuto e insieme agli ‘ndranghetisti truffano lo Stato compiendo un’azione a tenaglia particolarmente pervicace e un sistema di fatturazioni che sconfina all’estero e arriva in Cina per nascondere la ricostruzione dell’intero flusso di denaro».

«Siamo di fronte a una joint-venture» riflette il generale della Finanza Antonio Nicola Quintavalle Cecere: «La ‘ndrangheta fornisce le cartiere e ostenta disponibilità di armi mantenendo i legami con la Calabria per arrivare all’egemonia delle fatture fittizie utili al nero per gli imprenditori, sfruttando i soldi forniti dai cinesi che, grazie al metodo Fei ch’ien — denaro volante— passano da uno Stato

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