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L’Indice di Percezione della Corruzione (IPC) 2024 mette in evidenza come, in più di un decennio, la maggior parte dei 180 Paesi monitorati abbia fatto pochi progressi nell’affrontare la corruzione. È questa una delle risultanze della presentazione dell’Indice di Percezione della Corruzione 2024, elaborato annualmente da Transparency International ed ormai diventato il principale indicatore globale della corruzione nel settore pubblico, che si è svolta ieri, presso lo spazio pubblico nel centro di Roma, gestito dall’Ufficio in Italia del Parlamento europeo e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea.
L’Indice di Percezione della Corruzione, liberamente scaricabile dal sito di Transparency International Italia, nasce nel 1995 e assegna un punteggio a 180 Paesi e territori di tutto il mondo in base alla percezione della corruzione nel settore pubblico, utilizzando dati provenienti da 13 fonti esterne.
François Valerian, Presidente di Transparency International ricorda che
«La corruzione è una minaccia globale in evoluzione che fa molto di più che minare lo sviluppo: è una causa chiave del declino della democrazia, dell’instabilità e delle violazioni dei diritti umani. La comunità internazionale e ogni Paese deve fare della lotta alla corruzione una priorità assoluta e a lungo termine. Questo è fondamentale per respingere l’autoritarismo e garantire un mondo pacifico, libero e sostenibile. Le pericolose tendenze rivelate dall’Indice di Percezione della Corruzione di quest’anno evidenziano la necessità di intraprendere subito azioni concrete per affrontare la corruzione globale».
Transparency International Italia, branca italiana dell’ONG Internazionale, ha curato la presentazione del Rapporto. Il Presidente, Michele Calleri, e Iole Anna Salvini, Delegata alle Relazioni Istituzionali, hanno presentato, commentandolo, il Rapporto 2024, dedicando un particolareggiato esame di quanto emerge, relativamente alla percezione della corruzione, nei Paesi della UE e ovviamente, di quanto il fenomeno corruttivo sia percepito nel nostro Paese.
All’iniziativa ha partecipato, oltre al numeroso pubblico presente in Sala, anche una vasta platea, collegata in streaming, di esperti, dirigenti di azienda e rappresentanti della Società civile.
Di particolare valore l’intervento di Giuseppe Busia, Presidente dell’ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha svolto un significativo quanto appassionato discorso conclusivo, una riflessione di ampio respiro sulla necessità di migliori misure di trasparenza e maggiore cultura dell’integrità.
La prima cosa interessante da ricordare è che l’Indice CPI non si basa sulla conta delle indagini aperte nei diversi Paesi da parte della magistratura o da altre autorità istituzionali. Men che meno è il semplice conteggio dei risultati finali dei processi che da tali indagini siano poi scaturiti.
Per sua natura, proprio per la difficoltà a svolgere indagini in ambienti in cui corrotti e corruttori, concussi e concussori, sono spesso legati da complicità inestricabili, il fenomeno corruttivo il più delle volte finisce per sfuggire a specifici interventi repressivi, quando non viene addirittura considerato un elemento sgradevole, ma alla fin fine utile alla “animazione economica” soprattutto in Paesi ricchi di risorse naturali, ma con Istituzioni fragili, soggette a pressioni di tipo internazionale da chi punta ad accaparrarsele e in cui, per farlo, non disdegna di far apparire come aiuto allo sviluppo quello che spesso è soltanto un sostegno ai gruppi che quei Paesi, spesso del tutto provvisoriamente, governano.
Né la misurazione della corruzione può essere affidata solo alle opinioni di una generica opinione pubblica che, come abbiamo imparato anche in Italia, può essere convinta a passare, anche in brevissimi lassi di tempo, dal sostegno agli atteggiamenti più forcaioli alla più spudorata richiesta di condoni per sé e per chi ha tollerato, collaborato o finanche organizzato i fenomeni di corruzione, ad iniziare da quelli volti ad ottenere benefici di carattere fiscale, edilizio, ecc.
Per questo il CPI costruisce l’indice della percezione della corruzione nel settore pubblico, utilizzando dati provenienti da 13 fonti esterne, valutati da esperti indipendenti, assegnando un punteggio a 180 Paesi e territori di tutto il mondo. Il punteggio finale è determinato in base ad una scala che va da 0 (alto livello di corruzione percepita) a 100 (basso livello di corruzione percepita).
Tornando ai risultati oltre 120 Paesi coperti dal CPI, ovvero più di due terzi del campione, ottengono ancora un punteggio inferiore al punto medio della scala (50 su 100) e la media globale per i 180 Paesi è pari a 43. Si evidenzia il netto contrasto tra nazioni con istituzioni forti e indipendenti e con istituzioni libere, ed eque elezioni, e quelle con regimi autoritari repressivi. Le democrazie “piene” hanno una media CPI di 73, mentre le democrazie “imperfette” hanno una media di 47 e i regimi non democratici solo 33.
Va sottolineato come la Danimarca ottenga, anche nel 2024 (per il settimo anno consecutivo!) il punteggio migliore: 90/100, seguita da vicino da Finlandia 888/100) e da Singapore (84/100).
Sebbene alcuni Paesi non democratici possano essere percepiti come in grado di gestire alcune forme di corruzione, il quadro più ampio mostra che un ordinamento democratico ed istituzioni solide sono fondamentali per combattere la corruzione in modo completo ed efficace. Allo stesso modo, e questo è addirittura più interessante, i Paesi in cui lo spazio civico è garantito e protetto, tendono a controllare meglio la corruzione. I Paesi in cui le libertà di espressione, di riunione e di associazione sono debitamente tutelate, tendono a ottenere un punteggio relativamente buono nell’IPC, mentre quelli in cui mancano queste libertà hanno punteggi molto bassi
Il peso della corruzione nella lotta al cambiamento climatico
Se è ormai evidente come la corruzione continui ad essere una sfida globale che rovina le esistenze e indebolisce i diritti umani, il Rapporto di quest’anno, mette in evidenza un ulteriore elemento di gravità che spesso viene sottovalutato: la corruzione sta indebolendo l’azione per il clima in tutto il mondo. È la corruzione ad ostacolare in modo notevolissimo gli sforzi per affrontare adeguatamente il cambiamento climatico; addirittura è proprio la corruzione a contribuire direttamente, in diversi modi, alla crisi climatica. In particolare, essa, nell’intento di difendere interessi specifici e posizioni di potere, mina lo sviluppo e l’applicazione di politiche climatiche e ambientali critiche, ostacola gli sforzi per implementare regolamenti rigorosi, ridurre le emissioni e promuovere iniziative di energia pulita.
Transparency International ricorda, nel Rapporto 2024, come
«Per decenni, i lobbisti di potenti industrie – in particolare le aziende produttrici di combustibili fossili e le case automobilistiche, – hanno indebitamente influenzato i politici per far deragliare gli sforzi di riduzione delle emissioni di gas serra. Questa politica di cattura, unita al fatto che i responsabili delle decisioni hanno conflitti di interessi e che si muovono attraverso porte girevoli tra impieghi nel settore pubblico e privato, crea ostacoli significativi a una governance climatica significativa in tutto il mondo. L’influenza indebita sulle politiche climatiche si verifica sia nei Paesi con alti che con bassi livelli di corruzione. Tuttavia, è nei Paesi ricchi e sviluppati che questa interferenza mina maggiormente il progresso globale. Queste nazioni hanno la responsabilità maggiore di guidare gli obiettivi climatici ambiziosi, ridurre le emissioni su scala mondiale e costruire la resilienza in tutto il mondo. Quando un’influenza indebita distorce le loro politiche, ritarda le azioni critiche, indebolisce la cooperazione internazionale e ostacola la lotta globale contro la crisi climatica».
Ma non si tratta solo di questo. La corruzione favorisce, anzi prospera a fianco ed insieme ai crimini ambientali.
Non si tratta di affare di poco conto: il crimine ambientale é oggi la quarta forma di criminalità organizzata, che genera profitti annuali per le reti criminali stimati tra gli 82 e i 238 miliardi di dollari. E naturalmente i difensori dell’ambiente sono molto più a rischio di violenza, intimidazione e omicidio nei Paesi con alti livelli di corruzione. Quasi tutti i 1.013 omicidi di difensori dell’ambiente dal 2019 sono avvenuti in Paesi con punteggi CPI inferiori a 50.
In aggiunta alle attività tese ad ostacolare l’introduzione di leggi e controlli più rigorosi, la corruzione rappresenta una minaccia diretta per i fondi stanziati per mitigare gli effetti del riscaldamento globale.
Sebbene l’importo attualmente investito in misure di mitigazione e adattamento sia solo una frazione di quanto stimato dalle Nazioni Unite (ONU) come necessario per affrontare questa sfida, la corruzione – favorita dalla mancanza di trasparenza – può minare l’efficacia di questi fondi, deviandoli dal loro scopo. A ciò si aggiunga che alcuni Paesi continuano ad essere vaghi sui propri Impegni a difesa dell’ambiente e del clima a causa di una preoccupante mancanza di informazioni sui fondi effettivamente erogati e sui progetti realizzati.
Proprio nei Paesi più a rischio di drammatici sconvolgimenti climatici, le persone emarginate sono spesso la stragrande maggioranza. Esse hanno, di solito, scarsissime opzioni per adattarsi autonomamente alle condizioni climatiche estreme e all’inquinamento, per cui sono esse ad avere più bisogno del sostegno del governo. Tuttavia, poiché la corruzione dirotta fondi verso tasche private, sono proprio i più poveri quelli che rimangono particolarmente esposti agli effetti del cambiamento climatico a causa di infrastrutture inadeguate, scarsa preparazione ai disastri e altre forme di negligenza.
La corruzione peraltro mina gravemente l’effettiva applicazione delle leggi e delle politiche ambientali, indebolendo il controllo normativo.
Corruzione e tangenti, quasi sempre per iniziativa ed a favore di grandi potentati economici del mondo sviluppato o delle grandi potenze emergenti – tutti interessati a sfruttare le risorse di questi Paesi, al costo più basso possibile e con il minimo di controlli sul proprio operato, sono largamente usati affinché funzionari pubblici, forze dell’ordine, agenti doganali, autorità portuali, enti di rilascio delle licenze ed enti regolatori ignorino le violazioni ambientali o, associati ai corruttori, ne traggano direttamente vantaggio.
La situazione dell’Europa Occidentale
Il rapporto contiene una messe davvero impressionante di dati, alla lettura dei quali rinviamo i nostri lettori. Vorremmo invece soffermarci brevemente sulla situazione dell’Europa Occidentale e, in particolare, del nostro Paese.
Da un lato possiamo rallegrarci che quest’area del mondo rimane quella che, globalmente, mantiene la media più alta, ma non possiamo ignorare come, per il secondo anno consecutivo, la media regionale dell’Europa occidentale e dell’Unione Europea sull’Indice di percezione della corruzione è scesa, raggiungendo la non eccellente cifra di 64/100.
Dei 31 Paesi di quest’area, valutati dal Rapporto, solo sei hanno migliorato i loro punteggi, mentre 19 sono diminuiti.
Economie importanti come la Germania (punteggio CPI: 75) e la Francia (67) sono in calo, e anche i Paesi nordici tradizionalmente forti come la Norvegia (81) e la Svezia (80) hanno registrato i punteggi più bassi di sempre. Altri come la Slovacchia (49), Malta (46) e l’Ungheria (41) sono scesi a causa del crollo dello Stato di diritto.
L’impatto della corruzione sulle misure di salvaguardia del clima
Le lacune nell’integrità danneggiano la risposta alle crisi climatiche Le recenti catastrofi indotte dal clima, come le inondazioni in Spagna (56) e le ondate di calore nell’Europa meridionale, evidenziano la necessità di dare priorità all’integrità negli sforzi per il clima. Tuttavia, le lacune nei quadri di integrità rendono l’azione climatica vulnerabile alle lobby aziendali, che sovvertono la politica climatica per i propri interessi. Ciò è stato reso esplicitamente chiaro dall’azione dei giganti del petrolio, che hanno subito l’obbligo di ridurre gli obiettivi di emissione di CO₂ in Europa: una rete di 50 organizzazioni ha avuto a disposizione ben 64 milioni di euro per amplificare la propria attività di lobbying sul Green Deal dell’UE, sollevando interrogativi sugli standard di trasparenza in tutta Europa. Esempi di questo tipo abbondano anche nei contesti nazionali.
Le lobby aziendali hanno svolto un ruolo significativo nel mitigare le ambizioni della legge sul clima 2021 della Francia (67) consultata dai cittadini, come dimostra l’attenuazione dei divieti sui voli nazionali.
Il Ministero dei Trasporti tedesco ha licenziato il suo responsabile politico a causa di uno scandalo di nepotismo nei finanziamenti per l’idrogeno, mentre i ritardi nella legge federale sulla trasparenza hanno ostacolato gli sforzi per la trasparenza e l’apertura dei dati.
Tuttavia, c’è qualche motivo di ottimismo.
Il nuovo registro delle lobby della Germania (75) richiederà alle aziende produttrici di combustibili fossili di rivelare le attività di lobbying sul clima, impedendo l’influenza delle aziende, anche se la richiesta di un’impronta completa delle attività di lobbying ne aumenterebbe ulteriormente l’efficacia. A fronte di questa situazione, Maíra Martini, Direttrice Generale di Transparency International, ha dichiarato:
«Dobbiamo sradicare con urgenza la corruzione prima che faccia deragliare del tutto un’azione significativa per il clima. Governi e organizzazioni multilaterali devono incorporare misure anticorruzione negli sforzi per il clima per salvaguardare i finanziamenti, ricostruire la fiducia e massimizzare l’impatto. Oggi, le forze corrotte non solo modellano, ma spesso dettano le politiche e smantellano i controlli e gli equilibri, mettendo a tacere giornalisti, attivisti e chiunque si batta per l’uguaglianza e la sostenibilità. La vera resilienza climatica richiede di affrontare queste minacce in modo diretto e deciso. Le persone vulnerabili in tutto il mondo hanno un disperato bisogno di questa azione».
Gli appalti pubblici restano un punto debole persistente
La debolezza della trasparenza e della responsabilità negli appalti pubblici, compresi quelli che coinvolgono i fondi dell’UE, rimane una delle principali preoccupazioni, che apre le porte alla corruzione ed erode la fiducia dei cittadini nell’erogazione dei servizi pubblici. Secondo la Corte dei conti europea, la concorrenza per gli appalti pubblici è peggiorata. In risposta, le revisioni previste dalla Commissione alla direttiva UE sugli appalti pubblici del 2014 rappresentano un’opportunità per colmare le lacune in termini di trasparenza.
La corruzione sistemica negli appalti pubblici persiste in diversi Paesi dell’UE. A Malta (46), l’ex primo ministro ed ex ministri e funzionari stanno affrontando accuse penali relative alla corruzione per il trasferimento di tre ospedali pubblici a una società privata in un affare stimato a 4 miliardi di euro. In Ungheria (41) il capo di gabinetto del primo ministro Antal Rogan è stato recentemente sanzionato dal governo degli Stati Uniti per aver distribuito appalti pubblici a compari fedeli a lui stesso e al partito politico Fidesz. In Croazia (47), il ministro della Sanità è stato licenziato perché sospettato di aver accettato tangenti in cambio dell’approvazione dell’acquisto di attrezzature mediche robotiche da una specifica azienda a prezzi gonfiati per diversi ospedali pubblici. Nella Repubblica Ceca (56), il potere incontrollato del presidente dell’Ufficio antimonopolio e l’insufficiente trasparenza espongono gli appalti pubblici a un’influenza indebita. La Procura europea ha indagato su un’amministrazione aggiudicatrice per aver truccato le gare d’appalto per la fornitura di attrezzature mediche. È sorprendente che gli offerenti privilegiati avessero accesso al sistema di gestione degli appalti per confrontare le offerte.
Fa da contraltare il dato positivo dell’Estonia (76), che è stata pioniera di una soluzione: il suo registro centralizzato degli appalti elettronici ha migliorato l’accesso pubblico ai bandi di gara, consentendo alla società civile e al pubblico in generale di esaminare le offerte.
Rallentamenti e applicazioni lasciate a metà
Per qualche tempo, le lacune nei quadri giuridici, la scarsa applicazione e la scarsità di risorse hanno frenato i Paesi dell’UE. Ma ora alcuni governi si stanno spingendo oltre, minando o politicizzando i quadri anticorruzione e consentendo l’erosione dello Stato di diritto.
I 15 anni di governo del primo ministro Victor Orbán sono stati caratterizzati da corruzione sistemica e da un continuo declino dello Stato di diritto in Ungheria (41), il cui punteggio CPI è sceso di 14 punti dal 2012. Nemmeno il ritiro di 20 miliardi di euro di fondi UE è riuscito a costringere il regime di Orbán a ripristinare lo stato di diritto e la democrazia. In Austria (67), una commissione indipendente ha trovato prove di influenza politica sulla magistratura nelle indagini di corruzione in corso. Anche la Spagna (56) è scesa di quattro punti, a causa dei continui ritardi nella strategia anticorruzione e nell’approccio globale. Tuttavia, sebbene permangano alcuni problemi di applicazione della legge sulle attività di lobbying della Lituania (63), l’introduzione di un obbligo di dichiarazione incrociata ha aumentato in modo significativo la trasparenza e la responsabilità nei processi decisionali pubblici.
La situazione italiana
Il punteggio dell’Italia nel CPI 2024 è di 54 e colloca il Paese al 52° posto nella classifica globale ed al 19° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Nell’ambito di una tendenza alla crescita, con +14 punti dal 2012, il CPI 2024 segna il primo calo dell’Italia (-2).
Le recenti riforme delle misure anticorruzione stanno tuttavia danneggiando i progressi dell’Italia e, se li si guarda obiettivamente, gli adeguamenti del quadro normativo – dalla restrizione delle definizioni di traffico d’influenza alla depenalizzazione dell’abuso d’ufficio da parte dei pubblici ufficiali – indeboliscono i controlli sui legami tra il settore pubblico e la criminalità organizzata. Persistono lacune nella trasparenza e nell’accesso ai dati per quanto riguarda il monitoraggio di come l’Italia spende i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Rispetto ad altri Paesi europei, poi, esistono lacune di lunga data nella regolamentazione delle attività di lobbying e nella gestione dei conflitti di interesse. In particolare, la questione della ormai pluridecennale mancanza di approvazione di una legge per regolare in modo trasparente le attività di lobbying – negli ultimi 50 anni sono oltre 108 i disegni di legge che non si è riusciti a far tradurre dal Parlamento in una legge definitiva – rappresenta il maggiore elemento critico.
Abbiamo ricordato come la Camera dei Deputati, che pure si è dotata di un “Registro degli ingressi” a Montecitorio, non ha previsto che si registrino gli obiettivi di chi voglia incontrare un Parlamentare e che dell’incontro rimanga un verbale necessario al trasparente controllo di quanto discusso. Bene, al Senato non c’è neppure quello!
La mancanza della legge, da un lato impedisce alle Associazioni dei rappresentanti di interessi legittimi di poter fornire in modo trasparente il proprio contributo di esperienza e di competenza al Parlamento ed al Governo, costringendoli a tortuosi meccanismi per far giungere le proprie opinioni e le loro richieste, attivando anche il necessario confronto tra gli interessi che ciascuno di essi rappresenta e difende; dall’altro, lascia campo libero alle scorribande di chi, grazie al proprio potere economico o per i rapporti opachi che coltiva con singoli membri delle Istituzioni o con i grand commis, riesce ad ottenere di sussurrare all’orecchio dei decisori, senza che l’opinione pubblica possa verificare a chi quei suggerimenti e quelle proposte effettivamente possano giovare.
Se si guarda invece agli ultimi tredici anni, il dibattito su questi temi ha determinato positivi cambiamenti in chiave anticorruzione: dalla Legge anticorruzione 190/2012 alla Legge 179/2017 per la tutela di coloro che segnalano reati o irregolarità (whistleblower) di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro, fino alla trasposizione della Direttiva europea sul Whistleblowing con il D.lgs. 24/2023. Particolarmente importante si è rivelato il ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che, negli ultimi anni, ha rafforzato la disciplina sugli appalti e creato un database pubblico che rappresenta un esempio regionale di rinnovata fiducia nei sistemi di trasparenza. Tuttavia, molti sono ancora i fattori che ancora incidono negativamente sulla capacità del sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico: la mancanza di una regolamentazione in tema di conflitto di interessi nei rapporti tra pubblico e privato, l’assenza di una disciplina in materia di lobbying e il perdurare del rinvio all’implementazione del registro dei titolari effettivi delle Società, che potrebbe limitare l’efficacia delle misure antiriciclaggio.
Gli strumenti per operare contro la corruzione ed il ruolo di Transparency Italia
Concludendo i lavori della giornata e riprendendo quanto emerso dal Rapporto, Michele Calleri, Presidente di Transparency International Italia ha concordato con quanto esposto dal Presidente dell’ANAC, e ha ricordato gli strumenti che Transparency International Italia ha messo in campo per sostenere la lotta alla corruzione, soffermandosi, in particolare, su due punti: l’ALAC, lo strumento per la tutela dei whistleblowing, ossia di coloro che, a schiena diritta, hanno il coraggio di denunciare quello che non va nelle aziende o negli Enti in cui operano e, per questo, rischiano talvolta carriera e posto di lavoro. Calleri ha ricordato come in Italia si è tentato e si tenta di sminuire e calunniare queste iniziative, quasi si trattasse di attentati alla mammella da cui ci si nutre e non, invece, iniziative che possono e debbono servire proprio a quelle aziende ed quegli Enti per migliorare il loro modo di funzionare, nell’interesse dei loro azionisti, dei cittadini che ne utilizzano i servizi o ne acquistano i prodotti e, in senso più generale, dell’intero Paese.
L’altra iniziativa è il BIF – Business Integrity Forum, una rete di aziende impegnate nella promozione etica del modo di fare business, nella individuazione di strumenti per valutare il livello di maturità dei presidi di integrità e anticorruzione al proprio interno e per generare contagio positivo e spirito di emulazione. Il Presidente di Transparency Italia ha ricordato che essa partecipa, quale fondatrice, insieme ad altre Organizzazioni della società civile (Altroconsumo, Antigone, Calciosociale, Cittadinanza Attiva, Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, Cittadini per l’aria, CIWF Italia, Equo Garantito, Fondazione Etica, ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente, LIPU, Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, Slow Food Italia, The Good Lobby) a LOBBY4CHANGE, con l’obiettivo di promuovere l’esame e la rapida approvazione di una legge che regolamenti a livello nazionale l’attività dei portatori di interesse che sia esercitata in piena chiarezza, trasparenza e accessibilità.
Infine, esortando gli intervenuti a diffondere il Rapporto 2024, il Presidente Calleri ha così concluso:
«Prevenzione, regolamentazione e cooperazione sono le parole chiave per un’Europa e un’Italia che mettono al primo posto la lotta alla corruzione a tutti i livelli, a partire da quello culturale. In Europa, la Direttiva Anticorruzione è un’opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire per migliorare gli standard anticorruzione dell’intera regione, delle Istituzioni europee e di ogni Stato membro. In Italia, la regolamentazione di questioni chiave come il conflitto di interessi e il lobbying sono il primo obiettivo di questa nuova stagione di cambiamento».
Mauro Sarrecchia
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