Salvini scongiura l’uscita dalla maggioranza nel Lazio. Ma la crisi strisciante è ben lungi dall’essere risolta

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La coda è lunga, sono centinaia i leghisti romani e laziali in attesa. Alcuni con l’Alberto di Giussano in bella vista, altri di verde vestiti. Matteo Salvini è in arrivo, in ritardo, alla sede della Regione Lazio. La calca è giustificata: il Carroccio ha minacciato l’uscita dalla giunta di Francesco Rocca. Il presidente non ha battuto ciglio (“Me ne farò una ragione”), salvo poi parlare di “chiarimento” col leghista. La crisi serpeggiante in regione, tra il pressing di Forza Italia per un assessore in più e i malumori salviniani per la scarsa considerazione, viene rimandata: “Con Rocca non abbiamo litigato,”, dichiara Salvini sfoggiando la cravatta rosso “Trump”.

La giostra della politica, anche nazionale, si sposta per un pomeriggio di pioggia alla Garbatella, davanti alla sede della regione Lazio. Nell’edificio vetrato, tra le altre cose sede cinematografica della Megaditta dell’ingegnier Fantozzi, Salvini entra con il presidente del Lazio Rocca. L’occasione è un convegno sul “Decreto salva casa”. In platea ci sono sindaci, attivisti, funzionari del mondo laziale.

Tartine, flûte (in plastica) per il prosecco. L’atmosfera sembra amichevole, non lo è. Nell’aria c’è ancora la fuoriuscita dalla giunta minacciata dall’unica consigliera leghista dopo che è stata avanzata una proposta di legge sulle case popolari a firma di Giancarlo Righini, assessore al Bilancio di Fratelli d’Italia. Uno schiaffo a uno dei due assessori leghisti, Pasquale Ciacciarelli, che ha la delega all’urbanistica. Per lui arrivano gli applausi più convinti. Anche Rocca si spertica in elogi nei suoi confronti.

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Parlano anche le deputate del Carroccio Simonetta Matone e Giovanna Miele. Con l’arrivo di Salvini viene certificato il peso nazionale della parata leghista, organizzata dal colonnello laziale Claudio Durigon, il sottosegretario all’Economia con i galloni di vicesegretario federale. La Lega potrà vantare anche solo un consigliere, ma occhio a farla innervosire: è il senso dello show a cui stiamo assistendo. 

Negli ultimi giorni la Lega regionale aveva convocato una riunione “urgente” con Salvini. Un comunicato era già pronto: l’oggetto recitava: uscita dalla giunta di centrodestra. Rocca, con piglio spavaldo, aveva derubricato tutto con un’alzata di spalle: “Il ritiro degli assessori della Lega? Me ne farò una ragione”. Poi ha capito l’antifona e ha teso la mano a Salvini: “Ci siamo chiariti”. Oggi ha parlato di “polemica sul nulla”. 

Rocca e Salvini si erano visti già ieri, al vertice di maggioranza, a Palazzo Chigi. Oggi, un saluto caloroso. Non si poteva far altro, sembrerebbe. Il vicepremier, in vista del congresso federale annunciato per la primavera, ha voluto blindare le sue truppe in Lazio. Ora dice che con Rocca fila tutto liscio: “Non abbiamo litigato – spiega Salvini – non c’è nessuna rivendicazione di posti. Abbiamo cultura, storia e politica per essere protagonisti del rinascimento della regione Lazio”. Poi il messaggio mandato più che a Rocca alla premier Giorgia Meloni: “Mi trovo benissimo da numero due, anche se l’obiettivo, diciamolo sottovoce, è darsi il cambio e tornare a essere numeri uno”.

Torniamo in regione, dove il malcontento leghista è solo l’ultimo scossone interno alla giunta Rocca. Il primo mal di pancia era venuto ai consiglieri del Carroccio per la gestione dei nuovi vertici delle Asl, dove su cinque nomine da fare, il governatore aveva riconfermato quattro direttori scelti dal suo predecessore, Nicola Zingaretti. Uno sgarbo alla Lega, che si aspettava “discontinuità”. 

D’altronde, in regione la crisi nella giunta Rocca è un ritornello vecchio quanto la sua elezione. Le recriminazioni sono iniziate con Forza Italia, che aveva eletto tre consiglieri e che in breve tempo ne ha acquisiti altri quattro, più il consigliere in quota Noi Moderati. Con sette consiglieri e solo due assessori il partito di Antonio Tajani si è sentito sottodimensionato. Per questo, dopo la campagna acquisti gestita da Lotito (“Rocca non me po’ trattà come ‘n cameriere”, aveva sbottato il patron della Lazio), gli azzurri avevano chiesto più spazio. Più poltrone. Rinviate le promesse di rimpasto, Rocca sembra aver mandato un messaggio a Lotito&co anche questo pomeriggio: “Squadra che vince non si cambia, ho già detto no a chi con giochi di palazzo voleva un assessore in più degli altri”.

Al di là delle smancerie di questa sera, la smargiassata di Rocca contro la Lega è matematicamente comprensibile. Anche se uscisse l’unica consigliera leghista, la giunta non subirebbe alcuno smottamento interno. Il presidente può vantare 22 consiglieri di FdI, 7 di Forza Italia più uno di Noi Moderati, e l’esponente della lista civica Rocca. Senza Lega, Rocca avrebbe una maggioranza comunque solida. Il problema è, però, politico. Ora Rocca, “l’accentratore” come lo bolla anche qualcuno della maggioranza, dovrà tender la mano a Salvini non per il Lazio, ma per Giorgia Meloni. I riverberi della crisi regionale potrebbero altrimenti arrivare a Palazzo Chigi. Non oggi però: “Mi dicono che tra poco gioca la Roma, taglio”. Applausi, Salvini se ne va.



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