La recente sentenza della Cassazione n. 1364/2025 offre l’occasione per una riflessione approfondita sui confini dell’obbligo di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riferimento al riparto degli oneri probatori e alla valutazione della professionalità del lavoratore.
Il caso esaminato riguarda il licenziamento di un dipendente, assunto dalla società Alfa come responsabile vendite per il mercato sudamericano.
La vicenda processuale, particolarmente articolata, ha attraversato diversi gradi di giudizio, culminando in tre pronunce della Corte d’Appello dell’Aquila e altrettante sentenze della Suprema Corte, che hanno progressivamente definito i contorni della fattispecie.
La questione centrale ruota attorno alla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al lavoratore e, in particolare, all’adempimento dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro.
Un elemento di particolare interesse è rappresentato dalla presenza in azienda di un altro dipendente, assunto poco prima del licenziamento di Tizio, con mansioni apparentemente analoghe ma destinate a mercati geografici differenti.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha definitivamente rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto legittimo il licenziamento. Nel farlo, ha affrontato tre questioni giuridiche fondamentali.
La prima attiene ai limiti del giudizio di rinvio e al rispetto del giudicato interno. La Corte ha chiarito che il giudice di rinvio, pur dovendo attenersi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, mantiene il potere di rivalutare i fatti alla luce delle indicazioni ricevute, senza essere vincolato a ipotesi fattuali non definitivamente accertate.
La seconda questione riguarda l’onere della prova in materia di repêchage. Come stabilito da consolidata giurisprudenza, richiamata anche nella sentenza n. 2739 del 30 gennaio 2024, spetta al datore di lavoro dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre posizioni aziendali. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che tale onere fosse stato assolto attraverso la dimostrazione documentale dell’occupazione di tutte le posizioni compatibili con le competenze del lavoratore.
La terza e più innovativa questione concerne i criteri di valutazione della professionalità del lavoratore ai fini del repêchage. La Corte ha elaborato un’interpretazione sofisticata che supera il mero confronto delle mansioni formali per abbracciare una valutazione più ampia della professionalità complessiva. Come evidenziato anche dalla ordinanza n. 6552 del 12 marzo 2024, tale valutazione deve considerare non solo le mansioni equivalenti ma anche quelle inferiori, purché compatibili con il bagaglio professionale del lavoratore.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la professionalità del ricorrente, legata alla vendita diretta nel mercato sudamericano, fosse sostanzialmente diversa da quella richiesta per la gestione dei rapporti commerciali attraverso intermediari nei mercati asiatici, confermando così la legittimità della scelta datoriale.
La sentenza si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale, confermato dalla ordinanza n. 31561 del 13 novembre 2023, che richiede al datore di lavoro di provare l’impossibilità di ricollocazione attraverso circostanze oggettive e verificabili, senza potersi limitare a valutazioni meramente discrezionali.
La pronuncia rappresenta un importante punto di riferimento per la valutazione della legittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, offrendo criteri interpretativi chiari sia per quanto riguarda il riparto degli oneri probatori, sia per la valutazione della professionalità del lavoratore ai fini del repêchage. L’approccio adottato dalla Corte bilancia efficacemente le esigenze di tutela del lavoratore con il riconoscimento della libertà organizzativa dell’impresa, fornendo utili coordinate per la gestione delle riorganizzazioni aziendali.
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