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Tanto caos popolare sulla cosiddetta (erroneamente) «autonomia differenziata», seppure in presenza di un articolo della Costituzione (art. 116,3) che ha introdotto nel 2001 il regionalismo asimmetrico. Il silenzio assoluto, invece, sulla verosimile caduta del prodotto Giustizia, con una Carta costituzionale che la difende a denti stretti. Al riguardo, nessuna sommossa sociale.
Invero, la Magistratura differenziata è da ritenersi un pregio nel sistema tracciato nella Costituzione e nei tre gradi di giudizio funzionali ad assicurare un giudicato responsabile. Ma la locuzione magistratura differenziata è da intendersi, per altri versi, anche una prospettiva pessima. Una aspettativa politica della maggioranza che, se tradotta in risultato, sarebbe l’esempio del fallimento della democrazia fondata sulla libertà e sui diritti percepibili uniformemente. Quanto alla sua prima tipologia a presidiarla c’è il progetto dei Padri costituenti fatto di diciotto articoli, uno per la Corte dei conti (100), tredici per la magistratura ordinaria (101-113) e quattro per la Corte costituzionale (134- 137). Essi rappresentano i diciotto pilastri su cui è stata costruita la casa della garanzia della Nazione nei confronti degli altri due poteri: legislativo e esecutivo. Una sorta di garitta della sentinella posta a guardiano dello Stato di diritto.
Da qui, il timore – dopo tre quarti di secolo di governo del Paese – a volerne mettere in discussione l’impianto istituzionale e funzionale. Dopo le diverse incursioni berlusconiane, invero non disinteressate e incomprensibili sul piano della ratio posta a tutela dell’interesse pubblico, si è arrivati ad un attuale che genera una forte preoccupazione sul tema anche delle eguaglianze di fronte alla legge.
La maggioranza di governo mette in gioco tre jolly, qui ordinati seguendo la progressione degli articoli della Carta:
– un ddl ispirato a sgretolare la Corte dei conti, a firma dell’attuale ministro Foti (n. 1621), oggi “arricchito” da uno sconcertante emendamento che insedia un art. 2 bis davvero difficile da concepire per chi ha cultura giuridica di tutela dell’interesse pubblico;
– Un ddl di revisione costituzionale, che attenta dalle fondamenta la magistratura ordinaria attraverso la divisione della carriere;
– Una lunga trattativa aperta da mesi con le opposizioni, intesa a spartire le nomine dei giudici mancanti nella Corte costituzionale, oggi arrivati a quattro, che ha costretto la Consulta a decidere in 11 a causa della ricerca spasmodica dei partiti di rafforzare presenze di affinità politica piuttosto che di alto profilo. Un vulnus risolto dopo mesi con la elezione di tre prestigiosi giuristi: Maria Alessandra Sandulli (per tutti), Massimo Luciani (per le opposizioni) e Francesco Saverio Marini e Roberto Cassinelli (per la maggioranza).
Di tutto questo ragionamento, che preoccupa per la volontà sottostante di arrivare ad una diversa differenziazione della magistratura di quella in Costituzione dal 1948, occorre prenderne atto. Ma farlo con interesse altrettanto differenziato non già per ragioni politiche bensì per una rigorosa attenzione verso l’interesse generale, messo in pericolo da un allargamento delle maglie della tutela sui conti pubblici e un pericoloso disappunto della magistratura verso le forzature imposte dal Governo.
Si dividono le carriere e gli autogoverni della magistratura requirente da quella giudicante. Quest’ultima più preoccupante della prima sul piano della differenziazione degli esiti processuali, spesso difficili da condividersi nel merito e facili a determinare sorpresa sul piano della generosità delle assoluzioni e delle prescrizioni intervenute, prioritariamente in favore del personale prossimo alla politica. Si attenta al sistema requirente e giudicante della Corte dei conti. Con il primo sconvolto da un ridimensionamento delle Procure, riformate per aree geografiche e demolite in quelle ove era molto più corretto rafforzarle. Non solo. Procure che saranno condizionate nell’iniziativa da una incomprensibile obbligatoria condivisione degli atti introduttivi del giudizio contabile, pena la loro nullità, dal benestare del Procuratore generale. Una violazione di autonomia del Giudice difficilmente rintracciabile altrove, se non nelle più vetuste discipline militari di un tempo.
A ben vedere, il periodo non è tra i migliori sotto il profilo dell’organizzazione degli strumenti giurisdizionali posti dalla Costituzione a tutela dello Stato di diritto. Così facendo, si corre il rischio di accentuare la peggiore differenziazione sul piano dell’efficienza e dell’efficacia della magistratura, soprattutto nel Mezzogiorno afflitto da due mali: una maggiore propensione a rendere politico l’operato degli inquirenti e una facile elusione delle leggi e dei principi contabili. Insomma, con questo si lavora per l’opportunità di portare a sistema una magistratura, spesso, non puntuale.
Una istituzione, quella garante della Giustizia, che andrebbe invece rafforzata: con il rientro in servizio di tutti i magistrati in prestito ai ministeri; con sensibili incrementi di organico, maggiormente nelle aree compromesse dalle mafie; con riposizionamento dei valori della funzione inquirente, sia ordinaria che contabile, oggi messa in discussione dalla politica e dalla dirigenza che, forse, ritengono di mantenersi esente dalle indagini, ancorché dovute in presenza di possibili malefatte. A proposito, vale la pena sottolineare che il garantismo corrisponde soprattutto all’eguale trattamento di fronte alla legge.
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