la partita dell’Europa (e la nostra)

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È una partita estremamente complicata quella che si sta aprendo con l’avvio di un confronto diretto tra Donald Trump e Vladimir Putin sul come porre termine alla guerra in Ucraina. Come in tutte le grandi questioni diplomatiche, e questa lo è, c’è una scena e c’è un retropalco. Entrambi hanno il loro significato e solo col tempo si potrà veramente valutare verso quale futuro ci stiamo dirigendo. La scena rappresenta un ritorno al passato, alcuni hanno parlato di una riedizione (vedremo se non si tratterà piuttosto di una parodia) degli accordi di Yalta che segnarono la fine della Seconda Guerra Mondiale: America e Russia si spartiscono il mondo in termini di “sfere di influenza”. Allora la grande assente fu proprio l’Europa.

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Può oggi sottovalutare questo quadro? Riteniamo di no. Certo si riapre una partita complicata, perché, per mantenere il paragone con Yalta (ben sapendo che come tutti i paragoni zoppica), non può veder risorgere un sistema di stati spinti al vassallaggio umiliante con gli Usa nella parte occidentale e a quello ancor peggiore con Mosca nella parte orientale. Certo, come sempre, nella prima fase ai vassalli sarà forse offerto qualche riconoscimento, ad alcuni un po’ più che ad altri giusto per dividerli fra loro, ma si sarà imboccata una strada pericolosa per tutti. Per l’Europa si tratta allora di mostrare tutto il suo valore. L’Italia può avere un ruolo importante in questo contesto sapendo giocare con grande coesione nazionale.

Siamo un Paese che può far ragionare sulle asperità della storia senza suscitare il timore di esaltazioni sovraniste (chi le propone, della storia non ha capito nulla), che si colloca come terra con un passato e un presente di incroci e di tradizioni culturali, che ha capacità creative nella sfera economica sempre in un’ottica di scambi e commerci come le suggerisce anche la sua collocazione e conformazione geografica.

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Nel caso di Yalta quell’Europa, che le guerre mondiali aveva scatenato, uscì da quegli accordi ridotta al rango di due dipendenze: più dignitosa quella nell’impero americano (con la Gran Bretagna che per un po’ si illuse di essere alleato sullo stesso piano), più rapidamente ridotta ad un brutale vassallaggio per chi finiva sotto l’impero sovietico.

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Certamente il mondo di oggi è cambiato, non fosse altro perché c’è in campo un terzo impero, quello cinese, che probabilmente il Presidente e lo Zar pensano di tenere buono concedendogli una sua sfera asiatica con qualche propaggine verso l’Africa. Con uno sguardo ottimista si dovrebbe dire che il contesto è cambiato perché adesso è tornata anche l’Europa, quella occidentale, che economicamente aveva ritenuto di essersi messa quasi alla pari con gli Usa, e quella orientale che da non molto si è in parte almeno liberata dall’egemonia russo-slava e non vuole tornare ad essergli soggetta.

Quello che si è detto più volte, che l’Ucraina è emblematica di una nuova frontiera imperiale, è particolarmente vero se lo si esamina sotto questo punto di vista: territorio storicamente con molti legami con la storia dell’Oriente slavo, ha ritenuto di poter prosperare non come appendice di questo, ma come componente della terza ipotetica potenza, la nuova Europa post 1989.

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Putin l’ha invasa perché non voleva concederle questo sbocco, ritenendo, comprensibilmente nella sua esaltazione, che non si ricostruisce la potenza di un impero consentendo che il suo tradizionale blocco geografico possa riconfigurarsi fuori di esso. Fino a poco fa era sembrato che l’Europa ex dipendenza americana (e parliamo di Europa e non di Ue perché c’è in partita, pur con ambiguità, anche la Gran Bretagna) fosse decisa a contrastare il ritorno dell’imperialismo russo percependo il pericolo che rappresentava per lei. Contava su un appoggio americano nella convinzione che a Washington esistesse ancora la vecchia strategia di essere e mantenersi come l’unica superpotenza che però permetteva all’alleato europeo di giocare la sua partita.

Con l’arrivo di Trump lo scenario è cambiato. Sembra che ora una parte almeno dei gruppi dirigenti statunitensi si siano convinti che per fare l’America di nuovo “grande” sia necessario accettare una nuova forma di “coabitazione” con qualche altro impero. Meglio con lo zar di Mosca, che tutto sommato è più debole, in vista di tenere molto a bada l’imperatore di Pechino. In questo quadro l’Europa è un impiccio: non ha abbastanza “potenza” per mettersi su un piede di quasi parità e lo ha dimostrato sostenendo sì la resistenza ucraina, ma sempre nei minimi termini possibili nel terrore di scatenare una reazione nucleare russa a cui non si sentiva di far fronte. Gli Usa perciò vogliono farle toccare con mano i suoi limiti, la Russia vuole umiliarla non concedendole di espandersi ad Est in Ucraina.

In questo quadro però né a Trump, né a Putin conviene che si vada avanti con una guerra molto costosa da tanti punti di vista e che se non si chiude impedisce ad entrambi di riorganizzare i rispettivi imperi, siano essi prevalentemente economici come si pensa a Washington (vedi i dazi), oppure tradizionalmente territoriali come si ragiona a Mosca. In questo ridisegno degli equilibri nella sfera tradizionalmente occidentale in cui torna ad entrare la Russia, che in Asia non può espandersi perché non può permettersi il confronto con la Cina, l’Europa va disarticolata come terzo inutile ingombro.

Per rompere questo disegno l’Europa ha bisogno del ruolo dell’Italia che deve essere abile nel non suscitare nei partner gelosie che minerebbero le potenzialità di tutti, deve muoversi con cautela, un tempo si sarebbe detto con spirito di servizio, così da contribuire a quella affermazione della nuova Europa, che è altra cosa non solo da quella che fu oggetto di spartizione a Yalta, ma anche da quella che si è cullata per troppo tempo nell’illusione di una fine della storia in una specie di pace perpetua. C’è una grande sfida di fronte all’Italia e all’Europa di cui è parte costitutiva e dobbiamo affrontarla per non esserne travolti e marginalizzati.

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