La Consulta: giusti i tagli alle pensioni più alte

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Doccia gelata per i pensionati che percepiscono gli assegni più «ricchi» e che magari potevano sperare di ottenere un reintegro dei loro assegni. E semaforo verde per il governo Meloni che con la manovra di due anni fa ha portato a casa risparmi (tagli) per un importo che a regime arriva a 37 miliardi di euro. Secondo la Corte costituzionale, infatti, la legge di bilancio per il 2023 che ha introdotto misure di «raffreddamento» della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps (quest’anno pari a 2.394,44 euro), «non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici». E pertanto le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti come quella della Toscana e della Campania, sono state dichiarate «non fondate».

La sentenza è stata subito duramente contestata dalla Cgil che ha espresso «preoccupazione» per gli effetti che un atto del genere può produrre. Secondo la Corte, «il meccanismo legislativo non è invece irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione».

Le scelte del legislatore, spiega ancora la Consulta, «risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti».

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Il peso del tagli

Nel suo dispositivo la Consulta ricorda che in base alla legge i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo sono stati rivalutati del 47%, del 37% quelli superiori a otto volte il minimo e del 32% quelli complessivamente superiori a 10 volte il predetto trattamento minimo. Secondo le stime della Cgil il taglio nel 2023 partiva da 351 euro e raggiungeva 1.768 euro lorde, per pensioni di importo superiore a cui poi nel 2024 si osno aggiunti tagli comrsi tra 611 e 3.081 euro lordi. Sommando le perdite ottenute con il taglio nel 2023 e nel 2024, si otteneva così una perdita totale nel biennio pari a 962 euro lorde (nette 585), per una pensione lorda di euro 2.300 (1.786 euro nette), mentre, raggiunge 4.849 euro lorde (nette 2.769) per un importo di pensione pari a 3.840 euro lorde (2.735 euro nette).

Protesta la Cgil

Secondo la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione e il segretario nazionale Spi Cgil Lorenzo Mazzoli, «pur comprendendo la necessità di tutelare i pensionati con assegni più bassi, non possiamo ignorare che questo sistema comporta un’erosione del potere d’acquisto per centinaia di migliaia di pensionati, senza alcuna garanzia di recupero futuro. Non si può far cassa sulle pensioni, giustificando tagli con la necessità di politiche economiche di emergenza che si trasformano poi in misure strutturali» hanno dichiarato i due sindacalisti. «La Corte sostiene che delle perdite subite si potrà tenere conto in eventuali future manovre, ma questa non può essere considerata una garanzia», sostengono i due sindacalisti ricordano come «il meccanismo della mancata piena rivalutazione colpisce in particolare i pensionati che hanno lavorato per una vita, versando contributi importanti, pagando le tasse e mantenendo il nostro sistema di welfare e servizi, e che ora vedono ridursi progressivamente il valore delle proprie pensioni. Con una inflazione cumulata che negli ultimi anni ha raggiunto il 17% – sottolineano Ghiglione e Mazzoli – si sta programmando la riduzione generalizzata del potere d’acquisto: succede con il rinnovo dei contratti di lavoro quando è il Governo a dover decidere, come per quello delle Funzioni centrali, e vale per le pensioni». Inoltre, proseguono i rappresentanti di Cgil e Spi: «é inaccettabile che si chiedano sacrifici ai pensionati mentre 100 miliardi di euro circa all’anno vengono sottratti alle casse dello Stato a causa dell’evasione fiscale e contributiva».

«Avanti con le cause»

Per questo sia la Cgil che lo Spi annunciano che continueranno a battersi per difendere i diritti dei pensionati e per questo ritengono «comunque ancora valido il contenzioso che abbiamo portato avanti in diversi tribunali d’Italia, che ha come obiettivo anche quello di chiedere l’applicazione della medesima percentuale di rivalutazione calcolata per fascia di importo e non per l’intero trattamento, così da ripristinare un principio di equità, attraverso criteri di proporzionalità e progressività».

«Credo che questa destra stia gettando le basi per una generazione di pensionati poveri. Tutte le leggi che sono state messe in campo vanno nella direzione di un impoverimento del lavoro» ha commentato il deputato Pd, Arturo Scotti secondo cui «basta guardare alcuni dati che sono impressionanti, l’occupazione cresce ma crescono i lavori part time intermittenti, diminuiscono le ore lavorate soprattutto tra i giovani e le donne. e i livelli degli stipendi non sono mai stati cosi’ bassi, 7 milioni di persone sotto i 1.000 euro mensili, 3,5 milioni di lavoratori sotto i 9 euro lordi l’ora e si ostinano a dire no al salario minimo».



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