Intervista a Giulia Novajra, nuova direttrice dei Vini del Piemonte: “L’estero fa la differenza e così noi aiutiamo i piccoli a emergere” – Virtù Quotidiane

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Personaggi 14 Feb 2025 09:03

Giulia Novajra

TORINO – Notizia di pochi giorni fa il cambiamento alla direzione de I Vini del Piemonte, con il passaggio da Daniele Manzone a Giulia Novajra. Il Consorzio nato nel 2010, che organizza eventi all’estero (di cui il Barolo & Friends Event è il format principale), incoming in Piemonte, attività di formazione e consulenza per l’accesso a contributi di promozione, ha come principale obiettivo quello di favorire l’inserimento delle aziende vinicole piemontesi nel mercato estero.

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Al posto di Manzone, che lo ha fondato insieme ad alcuni produttori, dopo quindici anni si è deciso di puntare sulla continuità, con il passaggio di consegne alla vicedirettrice Novajra, che collabora con il Consorzio dal 2019.

Direttrice, come è entrata nel mondo del vino e del Consorzio?

Dopo una prima esperienza nell’azienda di mio padre, un’azienda artigiana che faceva disegni, ho deciso di formarmi sul mondo della comunicazione Nel frattempo ho iniziato il corso Ais, continuando il mio lavoro, e iniziando sempre più a fare piccole collaborazioni, redazione di testi e a qualsiasi cosa legata alla comunicazione. Sono poi entrata ne I Vini del Piemonte, iniziando dal basso, organizzando eventi, e pian piano ho preso sempre più responsabilità, avendo sempre più di spazio e autonomia fino ad arrivare alla direzione.

I vini del Piemonte nasce nel 2010 con Manzone, adesso ha oltre 250 aziende associate.

Premesso che il nostro statuto impone che siano solo aziende produttrici, il nostro focus sono le piccole medie imprese. Da un’analisi recente, circa 1/5 produce oltre 300.000 bottiglie, e in questo caso le consideriamo già “big”, ma chiaramente è una classificazione molto legata alla situazione del Piemonte. La porzione più consistente (circa il 50% dei nostri consorziati) è rappresentata dalle aziende con una produzione tra le 50 e le 300.000. Poi, quando si parla di grandi fa un po’ sorridere visti i numeri, ma stiamo sempre parlando di un grande parametrato al Piemonte e al nostro Consorzio.

Gli obiettivi sono rimasti quelli del 2010?

Fondamentalmente si, aiutare le aziende a promuoversi in mercati nuovi o a vendere di più dove già presenti. I bandi sono una via strumentale, da una parte ci sono quelli di cui siamo percettori come Consorzio e poi altri che invece vanno a vantaggio diretto dell’azienda, come gli Ocm. In ogni caso si porta un vantaggio all’azienda, perché il sistema associativo permette l’accesso a queste risorse. La grande innovazione è stata quella di portare fuori il Piemonte attraverso le fiere, da qui il nome Barolo & Friends, ben sapendo che il Barolo fosse già certamente una denominazione di traino.

Con ‘portare in giro il Piemonte’, si intende soltanto l’estero?

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Sì, l’attività è sempre stata rivolta al 99% all’estero. Il Covid aveva un po’ cambiato le cose, perché la chiusura dei mercati aveva reso necessario riportare lo sguardo all’Italia, e l’abbiamo fatto per un anno e mezzo con soddisfazioni alterne, perché era un ambito per noi nuovo, perché non avevamo una rete di contatti costruita, e non facevamo eventi da anni, quindi si inseriva in un panorama comunque estremamente competitivo. Tendenzialmente tutte le aziende vendono in Italia, e c’è meno necessità da parte loro. In più c’è una rete di distribuzione attiva, capillare, che fa i propri eventi, quindi l’abbiamo fatto in un momento in cui le aziende avevano bisogno e penso che sia stato d’aiuto, poi abbiamo deciso di ritornare alla nostra mission, perché è all’estero che noi facciamo la differenza.

È un po’ un controsenso il fatto che in Italia non si faccia lo stesso lavoro che si fa all’estero?

Forse sì, nel senso che è giusto che le aziende abbiano un ritorno sul territorio, così come un ritorno all’estero, anche se spesso con una percentuale decisamente spostata oltre confine. Ogni cantina ha la sua policy, ce ne sono alcune che ancora si concentrano solo sull’Italia e non investono sull’estero, quindi chiaramente ognuno sceglie un po’ la battaglia da combattere. Noi abbiamo un’esperienza di diversi anni in Europa, e qui riusciamo a dare un contributo e un supporto a loro. La promozione sul territorio non è la nostra mission, noi le supportiamo nell’internazionalizzarsi, questo è il nostro lavoro fondamentalmente. Le aziende hanno obiettivi ed esigenze molto diversi, e noi cerchiamo di fare qualcosa di più, di diverso, su come aiutare ad espandersi. Il Barolo & Friends è l’evento più democratico, tutte le aziende dal Piemonte possono partecipare, famose o meno famose, e giustamente una buona percentuale di queste dalla zona di Barolo, anche per coerenza al nome. Dopodiché ci saranno attorno altri eventi costruiti durante l’anno che aiuteranno cantine diverse a raggiungere altrettanti target diversi nel paese. Accanto c’è poi sempre il lavoro anche degli importatori, che fanno un’attività diversa, occupandosi delle proprie aziende, ma molto spesso anche il loro interlocutore ha piacere di avere una visione più ampia, e da qui la possibilità di entrare in eventi come questi, per far vedere il Piemonte in un modo ancora più ricco di quello che il suo partner riesce a presentare con il proprio portfolio. È tutto un continuo lavoro di rimescolamento e di continuo monitoraggio, e questo è il valore aggiunto che diamo alle aziende, facendogli da filtro.

È cambiato l’approccio agli eventi?

Sicuramente è cambiato il numero di eventi, perché all’inizio se ne faceva pochi, adesso I Vini ne fa 35-40 all’anno, quindi necessariamente ci sono anche molte più tipologie. Il Barolo & Friends ha conservato la sua natura, è una walkaround tasting e il punto principale è che è incentrato sul Piemonte. È cambiato il mercato. Un esempio: siamo tornati a Bruxelles dopo 6 o 7 anni e quello che era un evento con 400 consumatori, adesso è complicatissimo da raggiungere come numeri, perché i mercati sono cambiati, e di eventi ce ne sono tanti in ogni paese. Quello che è cambiato è che è tutto un po’ più complicato, quindi la nostra dinamicità deve essere ancora più accentuata, non bisogna avere paura di cambiare il modo di fare eventi.

È complicato gestire tutti questi soci?

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Difficile no, o almeno posso dire che la mia percezione non è di difficoltà, perché do moltissima importanza all’ascolto, perché così è anche più facile dare le risposte corrette. Proprio per questo, dopo ogni evento proponiamo un questionario di gradimento, che ci permette di essere molto vicini a loro, capire le difficoltà, e a volte anche le lamentele, anche se devo dire che sono sempre segnalazioni molto rispettose, molto collaborative.

C’è stato anche un riscontro sui numeri che portano questi eventi all’azienda?

Questo tipo di domanda non l’abbiamo mai posta, perché è un po’ più difficile da avere come riscontro. Il commento a caldo che noi richiediamo non è necessariamente rispondente a quello che sarà poi l’efficacia dell’evento, perché non è proprio così automatico. Sicuramente abbiamo aiutato tantissime aziende a entrare nei mercati europei, perché l’azienda poi torna in fiera, magari ha trovato importatore, o altro. Quindi sì, il feedback è positivo.

È cambiata la comunicazione?

Barolo & Friends quest’anno ha fatto un piccolo restyling estetico, abbiamo cambiato il logo, l’immagine coordinata, perché l’estetica ha sicuramente bisogno di una rinfrescata ogni tanto. La comunicazione proprio da questo punto di vista deve essere fresca, è normale. Dal punto di vista dei contenuti, dipende anche molto dalla pr agency, perché non sempre sono così attente al come comunicare l’evento. Però sai, la cosa principale per noi è la rete dei professionisti, e un buon database di contatti. A volte mi piacerebbe che ci fosse più eco attorno ai nostri eventi, ma ne facciamo tanti, è difficile riuscire a seguire una comunicazione estesa in ogni tappa. Dal punto di vista della comunicazione all’interno dell’evento, ti dico che sì, abbiamo cambiato il modo di comunicare, perché il Barolo & Friends chiaramente è un format di evento più statico, mentre invece sugli altri ci siamo inventati cose molto interessanti e così cerchiamo di aiutare le cantine durante le attività di incoming, soprattutto con giornalisti o sommelier. Tra l’altro, anche come Strada del Barolo abbiamo fatto tante attività per aiutare e stimolare le cantine a comunicarsi meglio, questo vale per tutti i segmenti con cui interagiscono, che sia il privato o il pubblico.

Come sta il vino piemontese in questo momento?

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Diciamo che tiene botta, anche se il primo mercato per molti sono gli Stati Uniti, quindi un po’ di allarme c’è. Tra l’altro stessa situazione di qualche anno fa sempre con il governo Trump, quindi non so in realtà quanto vantaggio porterà ai vini americani questa politica dei dazi. E anche per l’Europa chiaramente non è un momento felice. Noi facciamo sempre un’introduzione al mercato prima di ogni evento, con dati aggiornati e qualche consiglio per i produttori, per aiutarli ad affrontarlo nel migliore dei modi. Il Piemonte ha vitigni unici, territori unici, una storia lunga, vini di qualità, tra l’altro molti vini ad un prezzo accessibile. Credo che questo sia l’elemento che ci aiuta a rimanere ben posizionati sui mercati. Ci sono chiaramente i vini da prezzo che patiscono di più, ma questa è una caratteristica di tutti i momenti di crisi. Guardiamo al vino di qualità, cercando di comunicarlo nel modo corretto, perché se il Piemonte entra sulla battaglia del prezzo ha già perso.

Oggi il mercato cerca uno stile un po’ diverso?

Anche qua dipende chiaramente, il gusto è molto diverso secondo dei mercati. Cresce l’attenzione verso le bollicine, come trend internazionale, ma noi facciamo ancora poche bottiglie tendenzialmente, quindi si posizionano sempre bene. Inizia ad esserci un’attenzione verso i vini con un grado alcolico non esagerato, un gusto territoriale. Interessano i vini del territorio, quelli che hanno delle caratteristiche un po’ uniche, e che hanno una storia da raccontare. Questi interessano anche ai più giovani, quindi bisogna riuscire a raccontarli in uno stile moderno, ed è questa la sfida che ci siamo dati.

Tornando al nuovo ruolo, ogni cambio di direzione porta tendenzialmente delle novità. Sarà così anche in questo caso?

Non ho un elenco. Il passaggio tra me e Daniele non è di netto cambiamento, perché io ho lavorato al suo fianco fino ad oggi, e lui peraltro continua a lavorare al mio fianco. Quindi in realtà è un percorso sinergico, il cambiamento è continuo, quindi sarebbe scorretto dire che da oggi cambia qualcosa, nella pratica faremo quello che abbiamo sempre fatto. Quello in cui io credo molto è proprio il percorso, cercare di riuscire a muoversi mantenendo gli obiettivi che ci siamo dati, e cercare di riuscire a continuare a farlo nonostante tutto. La sfida più grossa è che ogni anno i bandi e le opportunità, i mercati, le sfide, sono differenti, quindi in realtà non è che siamo noi lo stravolgimento. Siamo noi a dover riuscire a trovare la chiave per affrontare quello che si muove intorno, e dare risposte diverse a interlocutori diversi, sia all’interno, quindi ai produttori, sia all’esterno, nelle varie realtà. Cambierà che se arriveranno delle opportunità e riusciremo a investire, o magari in un futuro ci saranno dei fondi che ce lo permetteranno a livello istituzionale, proveremo a lavorare anche sull’extra Europa, però non è prevedibile. Non ci saranno stravolgimenti ma solo tanto lavoro da fare, a cominciare dal prossimo evento di Stoccolma il 17 febbraio, alla settima edizione, e Copenaghen il 14 maggio, che è arrivato alla sedicesima.


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