il Veneto al Carroccio, Lombardia ai meloniani

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Troncare e sopire. Prendere tempo, se necessario. Non ci si annoia a Palazzo Chigi in queste settimane. Intrighi e polemiche con le opposizioni sulla sicurezza, duelli a giorni alterni tra toghe e maggioranza, un’agenda politica da far ripartire e in fretta: giustizia, premierato, autonomia. Di tutto ha bisogno Giorgia Meloni fuorché aprire un nuovo fronte con la Lega e Matteo Salvini. Per questo la premier media, cerca di sminare il terreno. Vale anche per la grande battaglia leghista dell’anno che si è aperto, il chiodo fisso di militanti e dirigenti al Nord tutti in attesa di un cenno del “Capitano”. Che ne sarà del Veneto?

L’INCOGNITA VENETA

Meloni ha già detto la sua sul destino della locomotiva del Nord-Est da tre mandati guidata dal “Doge” Luca Zaia. La versione privata, confidata ai suoi, suona più o meno così: «Tocca a noi». Cioè a Fratelli d’Italia che in Veneto, sondaggi alla mano, ancora vanta un bel margine di consenso sul Carroccio e alle politiche di due anni fa ha triplato l’alleato. Per la versione pubblica basta rifarsi alla risposta scandita durante la conferenza stampa di inizio anno: «Io penso che FdI debba essere tenuto in considerazione».

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La sostanza è la stessa, si capisce. E lo sa anche Salvini che negli ultimi mesi è apparso un po’ rassegnato, nei caminetti privati, sul futuro del Leone di San Marco: «La vedo difficile..». Poi una pagina che gira. La speranza che divampa nel cuore della dirigenza leghista e del suo capo, apparso più disteso e ottimista del solito sul punto.

Uno spiraglio. Forse qualcosa di più. «Il Veneto può andare a noi», è il senso delle parole confidate dal segretario a più interlocutori, anche militanti, che lo hanno interrogato sulla vicenda. Come a dire: lei, “Giorgia”, ci darà il via libera. Magari mettendo sul piatto una contropartita di peso, è la tesi del vicepremier: la Lombardia nel 2027 e il Friuli Venezia-Giulia nel 2028. Intanto la priorità è blindare la roccaforte veneta. E qualcosa nella premier ha iniziato a smuoversi, si raccontano (o sperano soltanto?) i vertici del Carroccio in questi giorni. Di certo c’è che Meloni e Salvini ne hanno parlato. Non sono mancate occasioni ultimamente. Due settimane fa è stato lui, “Matteo”, a porre il tema sul tavolo in un vertice di maggioranza: «Io devo andare avanti». Deve chiedere il Veneto, ha chiarito, perfino abbracciare in pubblico una battaglia in cui non crede davvero, cioè il terzo mandato per Luca Zaia, l’eterno governatore che sogna un nuovo round e attende un segnale da Roma. Ma soprattutto che è in grado di spostare gli equilibri, con o senza una vera e propria discesa in campo. Con una sua lista civica, sono le stime interne al partito di via Bellerio (e sottoposte agli alleati di via della Scrofa), la Lega può superare il tetto del 40 per cento.

Meloni e Salvini si parlano. Una telefonata venerdì scorso. Per chiarirsi e scacciare le ombre di un rapporto personale antico, non solo politico, incappato sulle chat private di Fratelli d’Italia riportate dal Fatto Quotidiano, tra sberleffi e insulti della pattuglia meloniana (risalenti agli anni scorsi) nei confronti dell’alleato. «Non sarà certo qualche polemica forzata e strumentale a scalfire il nostro rapporto» ha tagliato corto la premier con tanto di foto insieme all’alleato, sorridenti sul lago di Como. Infine il vis-a-vis martedì mattina, a Palazzo Chigi.

IL VENTO DEL NORD

Salvini è convinto che la premier stia valutando se aprire un varco alla candidatura di un leghista per guidare il Veneto il prossimo ottobre. Magari avocando al suo partito i portafogli di peso in Regione. Per poi puntare all’obiettivo Lombardia, trofeo ambitissimo dalla classe dirigente di Fratelli d’Italia che conta pesi massimi in Regione – su tutti, il presidente del Senato Ignazio La Russa – e non intende restare alla finestra per altri cinque anni.

Calcoli ancora scritti a matita, certo. Ma Salvini ha urgenza di capire. Spera di poter sfoderare la carta veneta al Congresso nazionale di aprile per placare i malumori interni e blindare la leadership per gli anni a venire. Meloni lascia fare. Non dà garanzie, ma non chiude e smina il terreno. Cartelle esattoriali? «Studiamo, valutiamo». La riforma dei medici di famiglia? Idem. E l’autonomia si farà, è nel programma, ha risposto a Salvini e al governatore leghista Fedriga nel vis-a-vis di martedì. Troncare e sopire. È un (nuovo?) inizio.

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