«Abbiamo soltanto applicato la sentenza della Corte Costituzionale». «Si conferma la totale perversione in atto del Servizio Sanitario Nazionale». Sta in queste dichiarazioni, rispettivamente del governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana e del presidente dell’Associazione “Pro vita e famiglia”, Antonio Brandi, il perimetro del dibattito sul “suicidio assistito”, scatenatosi dopo la notizia che, nelle scorse settimane, una cittadina lombarda di 50 anni, chiamata per convenzione “Serena”, affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni, è morta a seguito dell’autosomministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio Sanitario Nazionale. Per porre termine alla vita di “Serena”, è stato applicato – per la prima volta in Lombardia e la sesta in Italia – il protocollo indicato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242/2019 sul cosiddetto “caso dj Fabo”, dopo che sono stati rilevati i quattro requisiti ritenuti necessari dalla Consulta: capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dal richiedente, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.
Così, a pochi giorni dall’approvazione della legge regionale della Toscana, il dibattito sul “suicidio assistito” subisce un’ulteriore accelerata e si infiamma su una legge nazionale in grado di regolamentare la materia, che ancora manca. Una norma sollecitata dalla stessa Corte Costituzionale, ma sulla quale il Parlamento non si è ancora espresso e che, invece, è ritenuta «opportuna» dal presidente della Lombardia Fontana. Che adesso si ritrova tra le mani un dossier incandescente, dopo che, nei mesi scorsi, la questione era stata dibattuta anche dal Consiglio regionale. Nell’occasione, la maggioranza di centrodestra – sostenendo che la competenza fosse dello Stato – aveva presentato e approvato una pregiudiziale di costituzionalità e, alla fine, il progetto di legge sul “fine vita” non era stato discusso dal Consiglio.
Ora, anche alla luce del “caso Serena”, il Governatore non ha cambiato idea. «Nessun cambio di rotta», taglia corto Fontana. Che ricorda: «Che si debba essere una legge nazionale è un conto, che si debba rispettare la sentenza della Corte è un altro». Per il Governatore la Corte Costituzionale «ha dettato linee guida ben precise a cui tutto il Servizio Sanitario nazionale si deve attendere». Compreso quello della Lombardia. Linea che, però, non piace agli alleati di Fratelli d’Italia che, tramite il consigliere regionale, Matteo Forte, fa sapere che presenterà un’interrogazione scritta all’assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso. Per i meloniani, quello che è successo a “Serena” è «molto grave» è «contraddice quanto dichiarato dalla stessa Direzione del Welfare». «Ad oggi – ricorda Forte – non esiste alcuna competenza del Servizio sanitario. Né la Corte , né il Parlamento – aggiunge – hanno riconosciuto un diritto a morire che comporti la possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito con farmaco letale fornito dal Servizio sanitario».
Scettico, sul fronte dell’opposizione, anche il capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino, che annuncia la presentazione di un accesso agli atti «per fare chiarezza sulla procedura seguita per il primo caso di suicidio assistito in Lombardia, visto che, per scelta della maggioranza, la Lombardia non ha una legge che regolamenta la procedura stessa». Per Majorino infatti «non si può continuare a operare caso per caso, in assenza di una normativa di riferimento», mentre per il capogruppo M5s, Nicola Di Marco, «il completarsi del percorso di suicidio assistito richiesto e ottenuto da una cittadina lombarda, attraverso il Servizio sanitario nazionale è, purtroppo, l’esempio di quanto la politica non sappia o non voglia dare risposte».
Alla politica, soprattutto al centrodestra di governo, si rivolge direttamente il presidente di Pro Vita & Famiglia Brandi, che accoglie con «rammarico e tristezza» la notizia della morte di “Serena”, ricordando che «lo scopo del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe essere quello di curare e alleviare le sofferenze e non di creare procedure per eliminare i sofferenti, inducendoli così a sentirsi un peso inutile». Da qui, l’appello alle istituzioni: «Ci auguriamo che il centrodestra, che guida la Lombardia e altre regioni che nei prossimi mesi saranno chiamate a esaminare la stessa proposta di legge recentemente approvata in Toscana, non ceda alle sirene dell’ideologia radicale e nichilista, ma si adoperi per incentivare e promuovere un sistema diffuso ed efficiente di cure palliative, assistenza domiciliare e servizi di prossimità alle famiglie dei sofferenti», conclude Brandi.
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