Giovani e social: a Milano un centro per curare il disagio digitale

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Un centro dedicato al recupero terapeutico delle vittime e degli autori di violenza online, occupandosi a 360 gradi dei principali disturbi che oggi determinano il disagio giovanile. Psicoterapia, terapia di gruppo, laboratori e percorsi riparativi nell’ambito delle attività di messa alla prova per la sospensione dei processi penali nei confronti di minorenni. Ad annunciarlo in occasione dell’evento Non è il safer internet day a Milano è Fondazione Carolina.

Il Centro Re.Te., che aprirà i battenti a marzo 2025 nel cuore di Milano, rappresenta una risposta concreta all’allarmante aumento dei casi di violenza online registrati negli ultimi anni. L’iniziativa arriva in un momento cruciale, come evidenziato da recenti dati che mostrano come l’82% dei giovani trascorra in media cinque ore al giorno davanti agli schermi, con conseguenze preoccupanti in termini di dipendenza, perdita di concentrazione, privazione del sonno e deprivazione sociale.

Lo studio

Secondo una recente indagine di Fondazione Carolina che ha coinvolto 946 ragazzi tra i 15 e i 25 anni, emerge un quadro complesso del rapporto tra giovani e mondo digitale. Se da un lato i social media vengono percepiti come un supporto importante per creare legami e fornire sostegno emotivo nei momenti di difficoltà, dall’altro si evidenziano problematiche significative legate all’accettazione del proprio corpo e di sé stessi, con un impatto particolarmente marcato sulle ragazze.

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Il Centro Re.Te. si propone come una “casa”, uno spazio fisico dove curare, accogliere e accompagnare sia le vittime che gli autori di violenza online. Un approccio innovativo che va oltre la semplice prevenzione, offrendo un supporto concreto attraverso percorsi terapeutici personalizzati e attività di gruppo. La struttura si inserisce in continuità con il già esistente Pronto intervento Cyber (Rescue Team), ampliando l’offerta di servizi e il raggio d’azione.

L’iniziativa si inserisce in un contesto più ampio di interventi, che vede la collaborazione di istituzioni, esperti e big tech nella ricerca di soluzioni efficaci per proteggere i giovani dai rischi del mondo digitale. Un approccio multidisciplinare che riconosce la necessità di andare oltre i semplici divieti, puntando invece sulla costruzione di una vera e propria “cultura digitale” che coinvolga scuole, famiglie e istituzioni.

Trovare soluzioni collaborando

Al giorno d’oggi sensibilizzare i giovani sul corretto utilizzo del Web e dei social appare un’impresa sempre più ardua. I ragazzi minorenni riescono sempre meno a darsi un freno nella loro attività sui social network, anche spesso per colpa dei genitori poco attivi nel controllare la situazione. E le grandi aziende tecnologiche fanno il resto, garantendo un accesso al web praticamente istantaneo. Tutto ciò incentiva di riflesso anche l’aumento dei casi di bullismo e cyberbullismo.

Limitare l’uso dei social per bambini e adolescenti e responsabilizzare le famiglie sull’argomento appaiono dunque due necessità non più procrastinabili. Questo è stato il tema centrale dell’evento “Non è il safer internet day”, organizzato da Famiglia Cristiana, Fondazione Carolina, Cisf (Centro internazionale Studi Famiglia) e Ucsi (Unione Cattolica della Stampa Italiana).

All’evento dal lato politico, sono intervenuti l’onorevole Devis Dori e la senatrice Lavinia Mennuni, promotori di leggi e proposte di legge utili per combattere il bullismo, il cyberbullismo e l’utilizzo dei social da parte dei minori. “Il bullismo non si risolve con la bacchetta magica – commenta Dori – La legge da sola non basta. Serve parlare nelle scuole, dialogare con i giovani, organizzare eventi di sensibilizzazione per i genitori. Il coinvolgimento delle famiglie è fondamentale. Spesso i familiari di chi subisce atti di bullismo non scoprono a lungo il fatto”.

A Dori ha fatto eco Mennuni, promotrice della proposta di legge volta ad introdurre l’innalzamento a 15 anni di età per quanto riguarda l’accesso ai social media: “È necessario regolamentare l’uso dei social, per permettere un corretto sviluppo psicologico del minore. Le famiglie non vanno lasciate sole, perché rischiano di commettere errori. Notiamo infatti come i genitori ora regalano il telefono ai figli già dopo la prima comunione. Anche la scuola infine deve fare la propria parte. Serve una collaborazione complessiva, l’intervento del singolo non basta”.

Non proibire, ma educare

Evitando però di demonizzare in toto social network e digitale: “Internet non è solo uno strumento, ma un luogo, inteso come nuovo spazio della scrittura globale. Dove, se non a scuola, introdurre nel modo corretto le nuove generazioni nel mondo digitale? A fronte di 600 milioni di euro dei fondi Pnrr dedicato al Piano scuola digitale, la politica spinge per il divieto degli smartphone nelle scuole. Istituzioni e giovani rischiano di non parlare più la stessa lingua. Invece di vietare, bisogna promuovere la cultura digitale nell’Istruzione. Una sorta di ‘vaccinazione digitale’, più efficace di una mera proibizione. Una logica, quella della limitazione che, paradossalmente, andrebbe applicata e disciplinata all’interno delle famiglie, dove la relazione genitori-figli è indebolita da un utilizzo eccessivamente precoce delle nuove tecnologie, soprattutto dei social”, dice Paolo Ferri, professore ordinario di Teoria e tecniche dei nuovi media e tecnologie per la didattica all’Università Bicocca.

Serve però innanzitutto comprendere le varie fasce evolutive di crescita di un bambino: “Ogni fase porta le sue problematiche da affrontare. È giusto educare i bambini all’utilizzo del digitale, ma serve anche sviluppare in loro un buon linguaggio e un pensiero critico. Solo con questi ultimi elementi i giovani possono affrontare le sfide del mondo online. Il bambino per crescere bene ha bisogno di sviluppare tutti i sensi. I media e i social sviluppano solo l’aspetto sensoriale visivo, trascurando gli altri sensi e l’aspetto motorio”, aggiunge la neuropsichiatra infantile Mariolina Migliarese.

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All’evento erano presenti anche dei rappresentanti delle big-tech: Martina Colasante per Google, Costanza Andreini per Meta e Luana Lavecchia per TikTok. “Google ha l’obiettivo costante di offrire esperienze online adatte alle esigenze dei minori. In Italia il 78% dei ragazzi tra 12 e 13 anni usano tecnologia ogni giorno. Abbiamo una grande responsabilità nei loro confronti”, ha spiegato Colasante. Anche Andreini si è schierata sulla stessa linea: “La tecnologia va capita, nelle modalità e nelle conseguenze. I nostri account per adolescenti sono pensati per offrire maggiore protezione. E per evitare che i minori abbiano troppi contatti online con gli adulti e con contenuti pericolosi. Il genitore poi può e deve decidere come gestire questi account. Il controllo della famiglia deve essere centrale”.



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