ASIA/COREA DEL SUD – Padre Vincenzo e le piaghe di Cristo ai bordi di Seoul
di Pascale Rizk
Seongnam (Agenzia Fides) – L’amore gratuito è disarmante, e attraversa la prova del tempo. Così gli aveva detto papà Angelo, il giorno in cui il figlio Vincenzo era diventato un sacerdote cattolico, nell’aprile del 1987: “Come l’oro non muta nel tempo, così sarà il nostro amore per te”. Padre Vincenzo Bordo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, oggi con lo stesso amore continua ad ‘amare fino all’ultimo’. Lo fa sin da quando è arrivato in Corea del Sud, e saranno 35 anni il prossimo maggio.
In Corea del Sud oggi tutti conoscono col nome di Kim Ha-jong Shinbunim lo “strano straniero” cresciuto nel Viterbese, con la solida tempra umana degli agricoltori, animato dal forte desiderio di ‘amare e servire gli ultimi’ sin da quando era ragazzo.
Affascinato dall’Oriente e dagli studi orientali, era partito in Corea con padre Mauro Concardi, suo confratello. Oggi lo si può incontrare spesso alla “Casa di Anna”, collocata a Seongnam, seconda città più grande del Gyeonggi-do dopo Suwon, a 28km circa dal centro di Seoul.
La zona era da tempo il posto ideale per i senza tetto: vicino a un grande mercato, e dentro un intreccio di metropolitane e linee di autobus che facilitavano i loro spostamenti. Per questo la sua opera è cominciata là, e lui continua a portarla avanti con gli occhi limpidi e il grembiule di lavoro addosso.
La Corea tra passato e presente
La Corea che l’ha accolto tre decenni fa non è più la stessa. Sviluppo economico impressionante, rapidi cambiamenti, tensioni internazionali e tumulti politici anche recenti. “Quando sono arrivato qui, la parola più usata in coreano era 우리(noi). La “nostra famiglia”, la “nostra parrocchia”, la “nostra Chiesa”, la “nostra Patria”, il “nostro quartiere”. Il senso di appartenenza era molto forte. Oggi, la parola più usata è IO” racconta Bordo, e aggiunge: “si è passati da una dimensione comunitaria molto forte, alcune volte anche troppo forte, all’opposto, a un io egocentrico, in una città auto-centrata. La società abituata a prendersi cura dei parenti, dei genitori, della comunità, è diventata una società dove muore la persona a fianco e non si sa, perché le persone che vivono da sole stanno aumentando in maniera impressionante”.
Rispetto al tempo dei suo arrivo in Corea, le figure dei mendicanti che chiedevano l’elemosina sono scomparse. La “nuova povertà” si manifesta nella vita di chi non “ha una mente intelligente, complessa, articolata” e non riesce a seguire la società “moderna, ricca, veloce, intelligente, articolata, complessa”, spiega Padre Vincenzo.
Arrivata l’ora del pasto serale, colpisce il numero di cinquantenni e persone più anziane che arrivano e si mettono in fila per mangiare. “A parte le pensioni date dalle grandi aziende come Samsung o Hyundai” racconta padre Vincenzo “non esisteva nessuna forma di previdenza sociale per la gente negli anni Novanta. Oggi esiste un minimo di pensione, un sistema di aiuto alle persone in grave difficoltà, un minimo anche per garantire il servizio sanitario”.
La nuova povertà e i Senza Niente
I “nuovi poveri” che frequentano la Casa di Anna fanno parte della categoria di persone che non riescono ad entrare in questo sistema di welfare sociale. Sono persone senza fissa dimora. Una condizione esistenziale che non viene considerata nelle statistiche sul numero dei senza tetto che vivono per strada. “Ma anche chi dorme sul sottoscala è un “senza tetto” spiega Padre Vincenzo, e aggiunge: “le ultime statistiche che abbiamo elaborato mostrano che il 35% degli anziani che frequentano la Casa di Anna sono homeless, ‘senza tetto’ in senso pieno, mentre il 33% sono ‘sulla soglia’. Questi ultimi hanno pochi soldi e possono avvantaggiarsi del sistema che permette loro di affittare una stanza a 300.000 won, pari a 200 euro circa. Quindi non dormono per strada, ma fanno sempre parte di chi non ha una fissa dimora”.
In Corea del Sud, la povertà non è la conseguenza della mancanza del lavoro. Il lavoro in Corea c’è, ribadisce continuamente lo “Chef per amore”, come viene chiamato il missionario nel libro pubblicato nel 2021 per rispondere all’urgente bisogno di raccogliere fondi (vedi Fides 21/10/2023). Anche oggi la Casa di Anna opera al 40% con i fondi dello Stato e al 60% grazie a donazioni.
Le ragioni che portano la gente a vivere sulla strada sono di ordine caratteriale, sociale, fisico ed economico. Secondo i dati pubblicati il 3 febbraio 2025 da Statistics Korea e dal Ministero della Salute e del Welfare, il tasso di povertà degli anziani in Corea – che sembrava in calo – sta in realtà peggiorando. Nello specifico, rispetto al tasso di povertà relativa del 9,8% della popolazione sudcoreana in età lavorativa (9,7% per gli uomini e 10,0% per le donne) e al tasso di povertà generale della Corea del Sud (14,9%), quello degli anziani risulta significativamente più elevato. Nonostante fosse diminuita costantemente sin dal 2013 per arrivare al 37.6 % nel 2021, la percentuale di persone dai 65 anni in su che vivono al di sotto del 50% del reddito mediano è giunta nel 2023 al 38,2%. In un Paese che l’anno scorso è stato definito ufficialmente “una società di super-anziani” – poiché questi ultimi occupano il 20% della popolazione totale – il loro tasso di povertà è peggiorato per il secondo anno consecutivo.
Nel percorso della loro vita, coloro che frequentano la Casa di Anna sono di livello medio-basso e il 70% sopravvive con un pasto al giorno, prevalentemente serale. “Magari uno non è psicologicamente fortissimo e non ha una famiglia alle spalle che lo sostiene, lo spinge. La loro solitudine deriva da tante cose: chi non si è sposato, chi ha divorziato e ha abbandonato la famiglia, chi ha fallito nella vita. Come dicevo prima, io parlo di una realtà medio-bassa; quindi, non parlo della Corea in generale, parlo delle persone che vengono a mangiare qua, sono generalmente degli outsiders e non riescono a seguire il passo di questa società”, sottolinea padre Vincenzo.
La Casa di Anna: mangiare ma non solo
Così come si faceva sentire la temperatura torrida del Senegal dove Bordo andò per la prima missione in terra estera, così non mancava il freddo “senza guanti” e “senza giacconi” in Corea del Sud a rendere la vita degli “amati amici di strada” insostenibile. Per questo la Casa di Anna non offre solamente del cibo ma anche i servizi basici per chi sta sulla strada. Nel piano inferiore del palazzo c’è la mensa.
Al primo piano c’è il barbiere, delle docce e dei vestiti per chi ne ha bisogno. Poi al secondo piano ci sono varie forme di sostegno durante la settimana. “Il lunedì, ci sono gli avvocati per chi ha bisogno di consulenza legale, il martedì ci sono i medici di vari tipi: internista, dentista, psichiatra e diamo le medicine gratis. Il mercoledì è una giornata dedicata a chi ha problemi di alcol, facciamo una sensibilizzazione e una formazione sugli effetti dell’uso di alcolici. Il giovedì per coloro che cercano lavoro e il venerdì abbiamo programmi culturali” racconta il missionario degli Oblati di Maria Immacolata, mentre fa da ‘guida’ passando da un piano all’altro. “Cerchiamo di avere un approccio olistico alla persona perché non è uno stomaco da riempire, ma è un essere umano da accogliere, aiutare a crescere e ad uscire eventualmente da questa realtà”.
Al terzo e quarto piano, la struttura offre alloggio a circa 30 uomini senza tetto. Nel tentativo di aiutarli a rifarsi una vita vengono integrati in un programma dove lavorano in una fabbrica di fronte alla Casa (vedi video).
I volontari delle Casa Anna: un dialogo nell’azione
“Guarda qui!” dice padre Bordo, mostrando un pannello appeso al muro dove si riportano i numeri delle persone che “portano avanti la baracca”.
La Casa di Anna è una Onlus riconosciuta dal governo come ente che opera per la gente di strada, e l’edificio dove è collocata la sua sede è riservato agli uomini adulti. Ci sono altre 8 case di accoglienza per famiglie e ragazzi di strada. Gli operatori sociali certificati che lavorano in queste strutture sono 55, ma i volontari che vengono a prestare servizio ammontano a 1500 al mese.
“La maggior parte non ha e non è interessata ad avere una religione di appartenenza. Qualcuno ha radici buddhiste, ma non frequenta i riti. Vengono il sabato perché solitamente non si lavora. Quando chiedo loro perché fanno i volontari, c’è chi dice che fare il volontariato è bello, che condividere è importante, c’è chi crede in una società più giusta, chi sente che amare dona gioia, che condividere fa provare emozioni… Quindi si parla dei valori umani fondamentali. Se tu analizzi queste parole, bello, amore, giustizia, condivisione, sono tutti nomi di Dio. Qui si fa un’esperienza di Dio senza accorgersi.”
“Qualche volta” confida padre Vincenzo “mi capita di parlare dei discepoli di Emmaus. Quando riconoscono Gesù? Stanno con lui ma senza riconoscerlo. Lo riconoscono solo quando lui spezza il pane. Le persone che vengono qua, nel condividere quello che facciamo, riesce a vedere il Signore risorto. Fanno un’esperienza di Dio, anche se non lo sanno. E il luogo adesso è un punto di riferimento per tantissimi giovani. In trent’anni, ho visto molte storie di conversioni, parecchie. Non è una cosa automatica, ci vuole del tempo per tutto ma diversi volontari e impiegati hanno scelto di farsi battezzare e diventare cristiani.”
AGIT e i ragazzi di strada
Durante un incontro nel 2015 con altre 3 entità che si interessavano dei ragazzi di strada, è risultato che quelli assistiti ammontavano a 200, quando le statistiche del comune attestavano che i ragazzi di strada erano 2.000. Così è nata l’iniziativa AGIT, il “Bus che cerca ragazzi”. “Questi ragazzi sono in fondo le pecorelle sperdute di cui parla Gesù. AGIT è l’autobus che va all’incontro e alla ricerca dei ragazzi di strada”, dice Padre Vincenzo.
Con le tende, tavoli e sedie, si creano spazi temporanei che permettono ai ragazzi di mangiare, ma anche di acquisire qualche forma di educazione. “Ho proposto alla Conferenza episcopale che per le Giornate mondiali della gioventù AGIT venga fatta nelle città più importanti. C’è bisogno di questo” afferma Bordo, “perché c’è tanta gente disperata, magari venirle incontro può essere la loro salvezza. Il Paese ha un tasso alto di suicidi e di depressione. Tanti visitano la Corea del Sud e trovano che tutti vanno a mille, efficienza, sviluppo, ma in realtà sono alla ricerca delle sensazioni perché manca qualcosa di fondo nella loro vita.”
Nonostante gli impegni, padre Vincenzo Bordo ‘trova sempre il tempo per salire sul sellino e costeggiare il a Seoul in bici. Le prove non sono mancate nella sua vita coreana. Nel primo colloquio con il Vescovo della regione, il prelato gli garantiva che nella zona non c’erano poveri, e per il Comune c’era solo qualche senza tetto. “Una volta, un giornalista è venuto a sapere del nostro lavoro e ha fatto un piccolo servizio su di noi. Il ministro dell’educazione, che allora era una donna, aveva visto il documentario per caso e si era meravigliata che in Corea del Sud ci fossero i ragazzi di strada. Chiamò i suoi per indagare, e questi insistevano a dire che di ragazzi di strada non non ce ne erano. Il ministro, infuriata, chiamò quelli della rete accusandoli di aver diffuso menzogne. Mi invitarono insieme ad una collaboratrice a esporre la situazione. Era il 1998, e il ministro dell’educazione non sapeva che c’erano i ragazzi di strada”, ricorda Vincenzo Bordo (Agenzia Fides 14/2/2025)
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