Sette donne uccise in sette anni: il cold case delle prostitute massacrate tra Como e Lecco. L’ipotesi serial killer e i punti in comune fra i delitti

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di
Andrea Galli e Barbara Gerosa

Sette donne assassinate dal 2004 al 2011 tra i boschi della provincia lecchese e quella di Como, senza colpevoli

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C’era Jonela che si vendeva, c’era Silvia un’altra prostituta, c’era Evelina che aspettava anche lei a una rotonda sulle strade statali, poi c’erano le altre, in totale s’arriva a sette, sette donne assassinate in sette anni dal 2004 al 2011 tra i boschi della provincia lecchese e quella di Como, sette omicidi e mai dei colpevoli ammesso che sia stato più d’uno a colpire anziché un serial killer come gli inquirenti di allora avevano pensato senza però, appunto, escludere una faida tra bande di indemoniati barbari, di quelli che tengono prigioniere le ragazze poi usate come merce per incassare soldi.
Dopodiché la retorica vieta d’ammettere che i morti siano uguali: se allora così fosse, per esempio queste sette vittime non sarebbero finite nella dimenticanza pressoché generale, addirittura includendo trasmissioni televisive che speculano sul dolore lasciando presunti esperti in realtà senz’arte né parte a discettare di crimini e criminologia.

Preferisce starsene in studio a Varese a lavorare, in uno scenario più serio e aderente alla professione e al rigore sobrio e solenne che essa pretende, il criminologo Franco Posa che con la sua squadra ha iniziato a occuparsi proprio delle sette donne assassinate così da costruire un’indagine scientifica sempre auspicando che gli inquirenti si rimettano in testa l’obbligo morale, ancor prima che giudiziario, di individuare i killer, oppure il serial killer. Le Procure con giurisdizione, Como e Lecco, sono laboriose ed efficienti, e meno gravate da cumuli di fascicoli rispetto ad altre omologhe, quindi spazio e margine per generare risultati ci sono, del resto in Italia risolvono cold case anche degli anni Ottanta e Novanta, per quale motivo dunque non tentarci?




















































La sequenza

Dapprincipio un sacco nero della spazzatura — oggetto che ricorre, primo punto in comune — nei boschi di Valbrona, in provincia di Como, nel gennaio del 2004, e dentro quel sacco il cadavere di una donna, e quella donna dissero le voci dell’ambiente che fosse una prostituta, ma è un ambiente di paura e di omertà estreme sicché nessuna mai, nessuno mai, permise di conoscere la vera identità. Il silenzio. Una morta senza nome.
Come la sesta e la settima in ordine cronologico, ovvero nel 2010 a Malgrate sempre nel Lecchese e nel 2011 a Cernobbio in provincia di Como: resti di corpi in avanzato stato di decomposizione, una donna di carnagione bianca e l’altra scura, entrambe collocate dagli investigatori nello scenario della prostituzione. In precedenza ignoti o un ignoto avevano massacrato la prostituta Evelin di 33 anni e di origini nigeriane (Orsenigo, Como), la prostituta 18enne romena Luminita e la prostituta Ionela connazionale di 20 anni (Morterone, Lecco), e la prostituta moldava di 25 anni Silvia (Perledo, Lecco).

La vendetta

Altri punti in comune nei delitti: sono avvenuti a mani nude con pestaggi sistematici, un infinito accanimento anche quando le donne già si erano spente, pugni, in aggiunta calci, con plurime insistite azioni di depezzamento dei cadaveri, e poi quel sacco nero depositato sì nei boschi ma non occultato, pertanto forse anche con l’obiettivo di farlo rinvenire.
Il che potrebbe legarsi all’ipotesi della guerra fra bande di aguzzini, punizioni e vendette a danno degli avversari andando a uccidere le donne di questo oppure quel gruppo, o sentenze di morte emesse per quelle ragazze che avevano manifestato l’intenzione di ribellarsi, di scappare, di chiedere aiuto alle forze dell’ordine, ed eliminarle nel modo più cruento possibile, farle scomparire e insieme far sì che prima o poi venissero scoperte, e si vedesse e si venisse a conoscenza dello scempio immane, a futura memoria.

Il nastro adesivo

Il Corriere ha avviato un’esplorazione a ritroso fra gli investigatori agganciando e ascoltando specie i carabinieri che esaminarono la scena del crimine; o meglio, il professor Posa ragiona sulla possibilità non remota che i delitti siano avvenuti altrove anche a distanza; al proposito di distanze, la geo-localizzazione dei medesimi omicidi interseca luoghi in un range di venti chilometri l’uno dall’altro, c’è una continuità, delitto, venti chilometri, delitto, venti chilometri. In almeno tre circostanze i sacchi vennero chiusi con nastro che riportava la scritta della casa motociclistica «Yamaha», un nastro grigio, non di uso comune. Il pool del criminologo andrà per via ufficiali, in relazione al movente scientifico dello studio condotto, nelle Procure, per ottenere i fascicoli — lecito immaginare che non vi sarà alcun ostacolo di sorta dei magistrato. Siccome ogni detective rispettoso del mestiere si porta in tomba i rimorsi d’un delitto irrisolto, di un colpevole libero, qui, ma è finanche offensivo ricordarlo, le donne morte ammazzate sono sette.

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12 febbraio 2025 ( modifica il 12 febbraio 2025 | 07:15)

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