Molti investitori hanno beneficiato di rendimenti da reddito più elevati, poiché la cedola media ponderata per il mercato degli indici obbligazionari è in crescita dal 2021 – e probabilmente continuerà a salire, man mano che le obbligazioni a cedola più bassa emesse prima del 2021 giungeranno a scadenza. Lo sottolinea Chris Iggo, Chief Investment Officer di AXA IM Core spiegando che negli ultimi 10 anni, il rendimento composto di un tipico indice investment-grade in dollari è stato di circa il 4%, mentre l’equivalente europeo si è attestato poco sopra il 2%. Per l’high yield in dollari, il rendimento si è avvicinato al 6,5%. E con l’aumento delle cedole medie, i rendimenti da reddito potrebbero continuare a salire.
Perché non vanno trascurati i redditi costanti
Naturalmente, i prezzi delle obbligazioni possono essere volatili. Se non detenute fino alla scadenza, possono subire perdite a causa delle variazioni delle aspettative sui tassi d’interesse o sugli spread di credito. Per gestire questo rischio, gli investitori possono scegliere strategie intrinsecamente meno volatili, come le strategie di credito a breve duration.
In alternativa, possono affidarsi a gestori attivi che puntano a massimizzare il reddito e ridurre la volatilità dei prezzi, attraverso la copertura e altre decisioni attive. Gli investitori possono anche puntare a un reddito superiore alla media dell’indice – con l’allocazione in obbligazioni con cedole più elevate. È improbabile che i rendimenti da reddito tornino ai livelli pre-2008, ma stanno diventando più interessanti, grazie all’aumento dei rendimenti obbligazionari dal 2021. Vista l’incertezza sull’outlook macro, i rendimenti da reddito stabili non dovrebbero essere trascurati nella costruzione di portafogli bilanciati.
Titoli di Stato europei: Valutazioni guidate da liquidità
Chi investe nel reddito fisso potrebbe aver notato un’oscillazione piuttosto ampia nella valutazione dei titoli di Stato tedeschi (Bund) rispetto agli swap sui tassi di interesse nel periodo post-COVID-19. Nei due anni fino a settembre 2022 infatti, i Bund sono diventati costosi rispetto alla curva degli swap sui tassi di interesse, spiega Alessandro Tentori, Chief Investment Officer Europe AXA IM sottolineando che da allora si è registrato un deprezzamento di 100 punti base dei Bund rispetto agli swap, cancellando così il “margine naturale” che le obbligazioni prive di rischio dovrebbero avere rispetto a quelle con rischio. Analizzare lo spread swap del Bund da una prospettiva microeconomica apre la porta a variabili come eccesso di domanda e scarsità di collaterale – variabili legate all’attività del principale attore obbligazionario dell’ultimo decennio: la Banca Centrale Europea.
Il quantitative easing post-pandemia ha avuto un impatto sulla scarsità percepita dei Bund, aumentando così le preoccupazioni di liquidità per l’obbligazione di riferimento europea e spingendo le valutazioni relative a livelli estremi. Allo stesso modo, la decisione della Bce di ridurre le operazioni di politica monetaria non convenzionale a partire da luglio 2022 ha messo un freno allo spettro della liquidità, invertendo la rotta degli spread dei Bund. In effetti, altri titoli di Stato europei sono diventati più convenienti rispetto agli swap a seguito della riduzione degli acquisti della Bce e dei timori di un aumento dell’offerta: per alcuni investitori, ciò avrà reso i titoli di Stato europei un asset fixed income più interessante rispetto agli swap e alle obbligazioni societarie.
Asia: una regione in attesa
L’ambiente macroeconomico asiatico è diventato sempre più impegnativo dal punto di vista della crescita, della politica monetaria e della valuta. I dazi commerciali, il percorso dei tassi di interesse della Fed e la forza del dollaro statunitense costituiscono i principali fattori di rischio, osserva Ecaterina Bigos, Chief Investment Officer, Asia ex-Japan, AXA IM Core. L’agenda politica degli Stati Uniti sui dazi – spiega l’esperta – rappresenta la maggiore vulnerabilità diretta, dato che molti Paesi asiatici gestiscono alcune delle maggiori eccedenze commerciali bilaterali con gli Stati Uniti, ma anche indiretta, a causa dell’interdipendenza economica relativamente elevata con la Cina. Sebbene l’inflazione sia diminuita nella maggior parte delle economie asiatiche nel 2024, la media rimane al di sopra degli obiettivi di gran parte delle Banche Centrali, per cui il basso tasso reale della regione rispetto a un dollaro statunitense più forte e i tassi core più elevati contribuiscono ad aggravare la situazione già di per sé problematica. Il percorso di policy della Federal Reserve rimane un fattore critico, dal momento che potrebbe intensificare i deflussi di capitale dai Paesi che allentano i tassi in modo troppo aggressivo.
Anche in un contesto caratterizzato da aumenti dei dazi più misurati, “è probabile che i flussi da parte degli investitori rimangano orientati verso il dollaro. La maggior parte delle valute asiatiche si sono deprezzate rispetto al biglietto verde, in particolare nel quarto trimestre dello scorso anno, spinte dal potenziale di un minor numero di tagli dei tassi di interesse della Fed. Le valute saranno probabilmente la valvola di pressione che verrà utilizzata per adattarsi a qualsiasi shock di crescita derivante dai dazi, con correlazioni intraregionali probabilmente più alte inizialmente – prima cioè che le scelte politiche, gli squilibri interni e lo spazio fiscale relativo nelle varie economie portino a una divergenza”.
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