“Rapito” di Marco Bellocchio: il potere temporale, l’antisemitismo e i conflitti tra Chiesa e Stato

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Marco Bellocchio  Il potere temporale e l’antisemitismo

Umberto Baldo

Mi è capitato di recente di vedere in streaming il film di Marco Bellocchio “Rapito”.

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Non è proprio recentissimo, essendo uscito nel 2023, ma per scelta io frequento sempre meno le sale cinematografiche, e credetemi che non sono l’unico, per l’eccessivo livello del sonoro, che in certo momenti a me provoca disagio.  

Di conseguenza, per evitare di guardare una pellicola spesso tenendo le mani sulle orecchie, preferisco di gran lunga aspettare l’uscita sulle piattaforme a pagamento o in streaming.

Tornando comunque al film, Marco Bellocchio, ormai ultraottantenne, ha scelto una storia vera, che aveva già attratto l’interesse di Steven Spielberg, e l’ha realizzata come sa fare un maestro del cinema, mostrando un interesse ed una comprensione profonda del momento storico in cui si è svolta l’azione, ed in generale della complessità del rapporto Stato-Chiesa.

Trattandosi come accennato di una storia vera, che all’epoca fece molto scalpore, diventando addirittura un caso internazionale, non ho alcun timore a riassumervi la trama in poche parole (se volete approfondire basta andiate in rete e troverete risposte a tutte le vostre curiosità).

La storia si svolge in piena epoca risorgimentale, anzi siamo quasi all’epilogo dello Stato della Chiesa,  ed alle soglie della costituzione del Regno d’Italia; momenti fra l’altro ben presenti nella trama.

Siamo nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, quindi nello Stato Pontificio all’epoca di Pio IX, che fu l’ultimo sovrano dello Stato della Chiesa dopo il più lungo pontificato della storia, protrattosi per oltre 31 anni.

I soldati del Papa irrompono in casa della famiglia Mortara, per prelevare il sesto dei loro otto figli, Edgardo, che allora aveva sette anni.

Per quale motivo?

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Perché una domestica, poi licenziata, aveva dichiarato che, ritenendo il bambino in punto di morte, quando aveva sei mesi gli aveva segretamente somministrato il battesimo.

Da qui l’ordine del Cardinale, per mano dell’Inquisitore del luogo, di applicare la legge papale inappellabile: Edgardo in quanto battezzato non è più ebreo, e deve quindi ricevere un’educazione cattolica.

Strazianti le scene in cui il piccolo viene “rapito” (questo è il termine giusto) e condotto a Roma nel seminario vaticano.

I genitori di Edgardo, sconvolti, dopo aver cercato di impietosire le Autorità ecclesiastiche di Bologna, fanno di tutto per riavere il figlio, e vista l’epoca, sull’onda dell’opinione pubblica e della comunità ebraica internazionale il caso assume presto una dimensione politica.

Nonostante le pressioni di numerosi Stati, fra cui la Francia allora protettrice del papato, nonostante l’eco dalla vicenda sulla stampa europea e mondiale, nonostante i dubbi di qualche personalità ecclesiastica vicina al Papa, Pio IX si rifiutò di restituire il bambino (“Non possumus” ripete più volte il Pontefice).

Concentrare una pellicola di 124 minuti in poche frasi non è facile, e per questo vi invito, se vi capita, di guardare “Rapito”. 

Ma in estrema sintesi posso dire che, mentre Edgardo Mortara cresce nella Roma papalina, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto, tanto che nella parte finale si assiste alla “Breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870, con le truppe sabaude alla conquista di Roma.

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Quello che colpisce è però la trasformazione di Edgardo che, rapito per diventare un soldato di Cristo, a poco a poco lascia che la conversione dall’ebraismo al cattolicesimo (chiaramente frutto di manipolazione) cambi la sua emotività, tanto da finire per vedere in Pio IX quasi una figura paterna.

Ed infatti, a liberazione di Roma avvenuta, Edgardo, ormai avviato a diventare prete cattolico, si rifiutò di ritornare in seno alla propria famiglia, scegliendo di espatriare per dedicarsi all’evangelizzazione.

Non vi nascondo che il film di Bellocchio ha risvegliato i miei istinti anti-clericali, e quasi quasi mi veniva da applaudire nel vedere i bersaglieri entrare nella città dei Papi.

Ma qui non si tratta di dare sfogo agli istinti, bensì di sviluppare un ragionamento sui rapporti fra Chiese (e sottolineo Chiese, che a mio avviso spesso hanno poco a che spartire con la Religione e la Fede) e Stato, forse è meglio dire democrazia.

E qui inevitabilmente abbandoniamo gli anni del “caso Mortara” del secolo risorgimentale, perché il problema a mio avviso è sicuramente ancora presente ai giorni nostri.

Io credo cioè che anche gli eventi dell’oggi dimostrino quanto le Chiese siano spesso inconciliabili con la democrazia, soprattutto quando non hanno ancora superato un processo di secolarizzazione.

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Noi possiamo girarci attorno finché vogliamo, ma è fuor di dubbio che Chiese e Religioni pretenderebbe che le leggi degli Stati fossero conformi ai propri precetti.

E questo a mio avviso vale anche per la Chiesa cattolica, quando si ingerisce in materie che avranno anche un valore etico e religioso, ma che ogni Stato democratico ha il diritto di regolare come crede.

Ed il caso recente della Polonia è emblematico al riguardo: il  partito dei gemelli Kaczyńskilegato alla Chiesa (l’arcivescovo Marek Jędraszewski, importante figura della Chiesa polacca, ebbe a dichiarare che “i gemelli Kaczyński sono un dono di Dio di cui tutti i polacchi devono “ringraziare il Cielo” per il loro lavoro e sacrificio)  una volta ottenuta la maggioranza, ha imposto drastiche restrizioni al diritto all’aborto, trasformandolo di fatto in un crimine, ha promosso il finanziamento pubblico all’educazione cattolica,  e la revisione dei programmi scolastici.

Ma analoghe tendenze le  stiamo vedendo anche negli Stati Uniti di Donald Trump.

Quindi una Chiesa (e badate bene che non penso solo a quella cattolica)  che pretenda di modellare le leggi dello Stato secondo i propri precetti è, per definizione, incompatibile con un sistema democratico, per il semplice motivo che non crede al libero arbitrio, ed in nome di Dio tende ad imporre i propri valori anche a chi non crede (es. aborto, fine vita ecc.).

Pur con tutto il rispetto dovuto ad un Credo religioso, io ritengo che con l’Islam questa incompatibilità sia anche più evidente, perché in questo caso il processo di secolarizzazione non è mai iniziato, se mai inizierà.

Pur senza generalizzare, mi sembra evidente che, ovunque arrivi al potere, un regime islamico tenda ad introdurre la Sharia nell’ordinamento dello Stato.

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E forse non può essere diversamente, perché la  Sharia, legge che deriva direttamente dal Corano, non si limita agli aspetti religiosi dell’esistenza, ma stabilisce anche le norme riguardanti tutti gli altri ambiti del comportamento: dall’alimentazione all’abbigliamento femminile, dal diritto di famiglia a quello civile e penale, fino ai principi che devono governare la società e lo Stato.

In fondo nulla di molto diverso da quello che Marco Bellocchio ha illustrato nel suo film “Rapito”, ambientato negli ultimi anni del “Papa Re”.

Una storia in cui il piccolo Edgardo si trova sballottato fra una fede imposta dall’alto ed una fede acquisita per sentire familiare.

Ecco perché alla fine del film ho detto a mia moglie che io resto fedele al principio “libera Chiesa in libero Stato”.

Ma il film va visto, credetemi!

Umberto Baldo





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