Morte sul lavoro per infortunio e risarcimento

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Un recente caso giudiziario di risarcimento per perdita di un familiare: 550mila euro alla vedova

Al fine di comprendere come si svolge una causa civile per risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale subito dai familiari di un lavoratore morto per infortunio sul lavoro, e/o malattia professionale, riportiamo il caso recentemente trattato dal Tribunale del Lavoro di Ravenna con la sentenza n. 286/2024 di cui segue il testo.

La vedova di un lavoratore si è rivolta al Tribunale per il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio e iure hereditatis, nonché del danno patrimoniale, relativamente alla morte del marito dovuta a mesotelioma pleurico, assumendo la natura professionale della malattia e la colpa del datore di lavoro presso il quale l’uomo aveva lavorato per circa 15 anni con mansioni e in luoghi che lo hanno esposto senza protezioni ad incontrollate e massive fibre di amianto.

L’esistenza della tutela INAIL per l’indennizzo del danno non patrimoniale non è evidentemente preclusiva dell’azione per il maggiore, rectius per il diverso danno iure hereditatis (danno complementare), in presenza della colpa datoriale, accertata anche dal solo giudice civile, ossia in questa sede.

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Entrando nel merito della controversia, l’esposizione ad amianto risulta indiscutibilmente acquisita dalle prove orali svolte in corso di causa.

I testi hanno infatti confermato che, in virtù delle mansioni svolte dal de cuius (manutentore degli impianti di raffreddamento), vi era un abbondante esposizione ad amianto, posto che il lavoratore si occupava proprio di intervenire sui manufatti di cemento amianto e che la sua qualità ne imponeva la presenza anche quando intervenivano (da un certo momento storico in poi) ditte esterne per effettuare le manutenzioni straordinarie; lo stesso, inoltre, si occupava anche di quotidiane piccole manutenzioni.

Si tratta di esposizione che potrebbe giustificare la causalità anche rispetto a patologie cancerogene polmonari (che richiedono una particolarmente qualificata dosologia nell’esposizione) e che risulta quindi lapalissiana per quanto riguarda la causalità rispetto al mesotelioma pleurico.

Proprio in punto a nesso di causalità deve farsi riferimento alla C.T.U. che ha ritenuto che “la patologia di cui è risultato affetto il lavoratore, rappresentata da mesotelioma pleurico sarcomatoide che ne ha determinato la morte all’età di 75 anni, sia strettamente correlata alla esposizione ad amianto (asbesto) e causalmente riconducibile, secondo il criterio del “più probabile che non”, alle condizioni di lavoro esistenti presso il luogo di lavoro, tenuto conto di eventuali ulteriori fattori di rischio antecedenti, che peraltro non escludono la rilevanza dei fattori successivi per cui è causa”.

Va ora affrontato il tema dei danni.

Iniziando da quello domandato iure hereditatis, la ricorrente ha richiesto la liquidazione, quale erede, del danno morale da morte o danno catastrofale.

Lo stesso è pacificamente risarcibile: in caso di sinistro mortale dal quale sia derivato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica ( danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del danno rende necessaria una liquidazione affidata ad un criterio equitativo puro che tenga conto dell’enormità della sofferenza psichica, giacché tale danno, ancorché temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità e la durata della consapevolezza della vittima non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma soltanto sul piano della quantificazione del risarcimento secondo criteri di proporzionalità e di equità.
Pertanto, la liquidazione è equitativa e non può evidentemente essere improntata ad irrisorietà.

Occorre al riguardo fare riferimento alla storia clinica della malattia tumorale sofferta dal ricorrente così come documentata in atti e riportata dalla difesa attorea: dal giugno del 2017 (data della diagnosi) al marzo del 2018 (data della morte) passano all’incirca 9 mesi, durante i quali il ricorrente si è sottoposto a cure chemioterapiche e radioterapiche, che non hanno sortito però l’effetto voluto.

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Ha passato periodi di astenia, anche lunghi, dolore toracico, difficoltà respiratorie e tutto quanto si rinviene nella cartella clinica.

L’intensità della sofferenza si ritiene pertanto essere stata massima e la liquidazione del danno deve essere correlata alla stessa e alla durata della sofferenza psichica, anche in relazione alla vastità delle lesioni riportate.

Il parametro di riferimento che può prendersi a misura (per analogia e omogeneità della tipologia di pregiudizio) è quello del danno non patrimoniale da perdita di un congiunto, secondo le tabelle del Tribunale di Milano.

Si tratta, infatti, di una sofferenza propriamente psichica e morale (oltre che biologica).

Rispetto al danno da perdita del rapporto parentale, la peculiarità è la concentrazione nel tempo del danno catastrofale, posto che ordinariamente vengono in rilievo intervalli temporali che vanno da alcuni giorni ad alcuni mesi o, come nel caso di specie, ad oltre un anno.

Ma comunque sempre molto inferiore rispetto al protrarsi negli anni della perdita di un vincolo parentale nei confronti di uno stretto congiunto.

Per questo motivo si ritiene che il parametro di riferimento debba essere quello minimo, in questo caso rappresentato da € 168.150,00 (Tabella Milano 2021, l’ultima non a punti).

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Somma da devalutare al marzo del 2018 e rivalutare con accessori sino alla data odierna, per totali € attuali € 182.448,83.

La durata nel caso di specie dell’agonia psichica collegata alle gravi patologie che avevano minato il ricorrente conduce ad una valutazione del danno esattamente in tale misura.

Venendo ora al danno iure hereditatis, vanno applicate le nuove tabelle milanesi del 2024 (a punti) e, considerate le età delle parti e l’inesistenza di altri congiunti superstiti (un figlio risulta premorto al padre) e con una relazione della quale risulta provata la massima intensità (oltre al raggiungimento del traguardo delle nozze d’oro, festeggiate, sono documentati numerosi momenti di condivisione di vita, anche all’esterno della famiglia, partecipazione alla vita della comunità locale e parrocchiale, viaggi etc.), si giunge alla somma di € 289.390,00.

Somma da devalutare al marzo del 2018 e rivalutare con accessori sino alla data odierna, per totali € attuali € 313.998,62.

Venendo ora al danno patrimoniale, la perdita economica della vedova per aver perso il beneficio della convivenza con il marito nei sei anni in cui egli sarebbe verosimilmente sopravvissuto se non fosse morto per causa della neoplasia contratta nell’ambiente di lavoro, le avrebbe portato ad un beneficio economico di € 8.612,00 x 6= € 51.672,00: questo rappresenta il danno patrimoniale da perdita del rapporto di convivenza.

In totale spetta alla vedova, pertanto, la somma di € 548.119,45, oltre interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo.

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