L’Unione Europea deve scegliere tra essere protetta e essere protagonista

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Neppure nella più fosca distopia il più pessimista degli europei avrebbe immaginato che il più violento attacco politico alla gracile Unione del Vecchio Continente sarebbe venuto dall’America “dove per la prima volta l’Europa riuscì ad unificarsi, sia pure su un territorio diverso e lontano dal proprio” (Gaetano Martino). 

 

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L’America liberatrice, alleata, amica; l’America della Nato “tutti per uno, uno per tutti”; l’America del “Piano Marshall”; l’America di Jefferson e della Dichiarazione d’Indipendenza; l’America della Costituzione: “We The People”; l’America degli Emendamenti: “Bill of Rights”; l’America della Statua della Libertà e dell’epigrafe bronzea alla sua base: The New Colossus, la struggente poesia di Emma Lazarus, che oso tradurre: “Non come il bronzeo gigante di fama greca, con le gambe da conquistatore divaricate da terra a terra; qui alle nostre porte del tramonto lambite dal mare si ergerà una donna possente con una torcia la cui fiamma è il fulmine imprigionato, ed il suo nome Madre degli Esiliati. Dalla sua lampeggiante mano brilla il benvenuto al mondo intero; i suoi teneri occhi dominano il porto unito da un aereo ponte che incornicia città gemelle. “Tienti le antiche terre, la tua storica pompa!” grida con labbra silenti. “Dammi le tue povere, esauste masse accalcate che anelano a respirare liberamente, i miseri rifiuti della tua brulicante sponda. Mandami questi, i reietti, sballottati dalla tempesta, io alzo la mia fiaccola accanto alla porta d’oro!”; l’America degli Alleati contro il nazifascismo e l’America del mondo libero contro il comunismo; l’America “depositaria dei diritti naturali dell’umanità intera, il Nuovo mondo che ha dato asilo ai perseguitati difensori della libertà civile e religiosa provenienti da ogni parte d’Europa” (Thomas Paine).

Quest’America, per il solo fatto dell’elezione di un presidente distonico con essa, è diventata avversaria dell’Unione Europea e dei popoli che vi sono confederati? Ne è diventata addirittura nemica? Sarebbe una tragedia epocale. Gli europei sconoscono o dimenticano il terribile monito di un grande uomo di Stato e scrittore politico: “Il mondo occidentale è stato la patria della libertà finché un altro, più occidentale, venne scoperto, e sarà probabilmente il suo rifugio quando essa sarà scacciata da ogni altra parte. È una fortuna che in tempi bui l’America rimarrà ancora rifugio per l’umanità” (Edmund Burke). E se la fortuna non durasse?

Mattarella: necessità di scegliere tra l’essere ”protetti” o l’essere ”protagonisti”

L’intervento dell’America in Europa nella Prima e nella Seconda guerra mondiale attesta che, come ebbi a dire, è l’Atlantico il mare nostrum. Così nel XX secolo, ma nel XXI? L’Unione Europea come confederazione di Stati e come comunità di territori e popoli fronteggia un’aggressione militare in atto e un pericolo in potenza: la prima è perpetrata da un bieco autocrate sanguinario; il secondo deriva da un sorprendente presidente elettivo. La situazione geopolitica risultante, che l’Europa viene perciò costretta a vivere ed affrontare, è stata mirabilmente riassunta con crudo realismo tucidideo dal presidente Mattarella nel discorso dell’ultimo 5 febbraio, pronunciato a Marsiglia per il conferimento del dottorato honoris causa: “L’Europa intende essere oggetto nella disputa internazionale, area in cui altri esercitino la loro influenza, o, invece, divenire soggetto di politica internazionale, nell’affermazione dei valori della propria civiltà? Può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie? Con, al massimo, la prospettiva di un “vassallaggio felice”. Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere “protagonisti”?

Mattarella

 

La fine dell’Europa in un vassallaggio felice? Questo è il problema

Il vassallaggio ha tre significati: “Nel rapporto feudale è l’atto mediante il quale un uomo libero si assoggetta a un altro promettendogli fedeltà e ricevendone in cambio la promessa di protezione. In senso figurato, è lo stato di soggezione, di stretta e anche servile dipendenza. In diritto costituzionale e internazionale, relazione giuridica che sussiste tra un ente superiore e un ente subordinato al primo” (Treccani). 

Gli Stati e i popoli hanno fatto progressi emancipandosi nell’Unione Europea, che a forza non trattiene nessuno (Brexit docet). Se si assoggettassero agli Stati Uniti in un rapporto di vassallaggio anziché di alleanza con pari dignità di contraenti, ne riceverebbero in corrispettivo una maggiore protezione di quella già “promessa” reciprocamente nel caso che un membro venga aggredito? L’articolo 5 della Nato, alleanza tra eguali, esiste già. Ma se uno degli alleati, il più forte, lascia intendere che, per un motivo o per l’altro, non rispetterà l’obbligo di mutua assistenza, considerandolo non più assoluto ma condizionato, quale vassallaggio riuscirebbe a convincerlo di dover stare ai patti? Comunque, tutti gli alleati sono tenuti a rispettare tutte le clausole pattuite e gli impegni coessenziali (i denari!), non solo perché “pacta sunt servanda” ma anche per sottrarre pretesti ai renitenti e ai riluttanti, secondo l’antico principio di diritto “inadimplenti non est adimplendum”: non bisogna adempiere a chi non adempie.

Una relazione giuridica di vassallaggio tra Stati Uniti e Unione Europea, improntata ad uno stato di soggezione o di stretta dipendenza, anche senza raggiungere un degradante servaggio, istituirebbe inevitabilmente tra America ed Europa un rapporto come tra il lupo e l’agnello nella favola di Fedro.

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E allora viene da chiedersi: “Gli Stati hanno perseguito con forza, per decenni, un’Europa unita, forte, con moneta comune, perché finisse poi assoggettata all’America?” La “prospettiva” della subordinazione dell’Europa all’America non procurerebbe agli europei, neppure “al massimo”, un “vassallaggio felice”. Non esiste felicità nell’obbedienza del sottomesso pagata con la protezione. Vale per gli Stati come per gli individui, lo sappiamo fin troppo bene.

Scartati la protezione e il vassallaggio, non soltanto perciò l’Europa diverrà “protagonista”, cioè “soggetto di politica internazionale.” Per non essere “schiacciata tra oligarchie ed autocrazie” l’Europa non può limitarsi in negativo al rifiuto ideale di assoggettarsi, perché non basta, ma deve manifestare in positivo la fattiva volontà di esistere e difendersi, dispiegandone conseguentemente la risoluzione morale, la determinazione politica, la forza materiale. Deve volere fortissimamente l’indipendenza e conseguirla realisticamente con gli Stati Uniti d’Europa: unità nella diversità sì, ma un governo e una legge. Chi ci sta, ci sta.

Trumpismo: un punto di flesso nella curva della storia dell’Europa

L’Unione Europea, così com’è, in bilico tra federazione e confederazione non mi stanco di ripetere, permane troppo fragile e finirà sbranata come la carcassa agonizzante di un grasso animale inerme. Donald Trump governerà per quattro anni (sempreché non modifichi o sovverta la Costituzione). Ma il “trumpismo”, che è già un’ideologia, sebbene ancora allo stato magmatico, non scomparirà facilmente. Sembra contrassegnare un punto di flesso nella curva della storia americana e quindi europea e mondiale. Donald Trump, l’ho già scritto e voglio ripeterlo, evoca il pirandelliano “Uno, nessuno e centomila”. Ha un fondo rabbioso. Pensa e parla con slogan, non ad arte, inabile ad articolare un pensiero complesso. Definito “disruptive”, dirompente, lo è nel bene e nel male, sulla spinta di pulsioni verso obiettivi scoordinati ma ritenuti contemporaneamente prioritari. Il “trumpismo”, un’opaca miscela di “isolazionismo interventistico” (un ossimoro espressivo del mio parere) e improvvisazione, ha questo di buono, che ha suonato la sveglia per l’Unione Europea, addormentata sul morbido cuscino dell’unanimismo e impaniata in piccole dispute ed inestricabili giuridicismi.

Il patriottismo come antifrasi?

Da qualche anno, il patriottismo ha preso a significare avversione all’Unione Europea. Dal secondo mandato di “The Donald” viene l’ultima accezione. Patriota è anche un filotrumpiano, non un filoamericano. Se non, addirittura, un filoputiniano. Patriottismo come antifrasi? Un segno dei tempi nuovi.

 

 

Pietro Di Muccio de Quattro giornalista

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