Le materie prime dell’Ucraina fanno gola, e non solo a Trump

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Le parole di Donald Trump riportate da tutte le agenzie mondiali sul ruolo dell’Ucraina hanno nuovamente enfatizzato un tema sempre più centrale nella competizione geopolitica e geoeconomica: il controllo delle risorse, con un vago riferimento alle “rare earths[1].

Seppur la condizione di barattare aiuti finanziari e quelli militari, sostenuti dagli Stati Uniti durante la guerra con la Russia, in cambio di minerali critici o strategici possa sembrare l’ennesima forzatura del neoeletto Presidente (come le recenti dichiarazioni sulla Groenlandia), l’ipotesi negoziale non è soltanto un espediente retorico. Gli stessi esperti della NATO hanno sottolineato che “l’importanza strategica di materiali critici dell’Ucraina non deve essere sottovalutata”.

Che l’Ucraina fosse al centro dell’attenzione per le sue vaste risorse di materie prime (alcune delle quali classificate come ‘critiche’ sia da Stati Uniti che dall’Unione Europea) è infatti un tema che precede l’inizio delle ostilità e le dinamiche del conflitto che hanno portato la Russia ad occupare una serie specifica di territori. È altresì chiaro che tali esiti non siano necessariamente da correlare alla presenza, più o meno significativa, di materie prime e che il conflitto russo-ucraino non può e non deve essere derubricato come tale. Ciò nonostante, è ormai essenziale – non solo per l’enfasi mediatica suscitata dalle parole del Presidente – inserire nell’equazione anche questa variabile per un risultato, per ora, che appare ai più sconosciuto ma dalla traiettoria chiara: la rilevanza crescente delle materie prime critiche nello scacchiere internazionale.

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Il tesoro ucraino

Partiamo da alcuni dati preliminari. L’Ucraina è un paese vasto, che rappresenta circa lo 0,4% della superficie terrestre ma contiene, secondo alcune stime, il 5% delle risorse minerarie a livello mondiale. Prima dell’invasione, poco più di 3.000 siti erano attivi, di cui la maggior parte costituiti da minerali non ferrosi. Non solo: i territori occupati dell’Ucraina orientale contengono giacimenti di gas naturale. Tuttavia, il vero “tesoro ucraino” agli occhi occidentali è rappresentato da quello che a livello geologico è definito l’Ukranian Shield: una terra di intermezzo compresa tra i fiumi Nistro e Bug e che si stende al Mare d’Azov e nel sud del Donbas, di circa 250 mila chilometri quadrati. La maggior parte dei depositi di minerali metallici e il più grande bacino di minerali di ferro di Kryvyi Rih sono collegati alla base geo-morfologica dello Scudo ucraino, laddove depositi primari sono associati a quantità variabili di materie prime critiche come alluminio, rame, nichel, litio, germanio, niobio, tantalo e terre rare, ma anche uranio (2% delle riserve mondiali) che sta tornando di interesse per il possibile rilancio dell’industria nucleare. “Questo è ciò che rende l’Ucraina un partner unico e molto solido nella costruzione di queste catene del valore a fianco degli alleati in questo contesto in continua evoluzione”, aveva dichiarato Oleksandr Kravchenko durante una sessione all’Ukraine House Davos 2025 del World Economic Forum.

L’Ucraina è tra i primi dieci paesi al mondo per riserve accertate di titanio (metallo utilizzato per le superleghe, soprattutto nell’industria aerospaziale, ma anche nell’industria medica e automobilistica) e conta già per il 7% della produzione mondiale, la sesta per estrazione di minerali di ferro, la settimana per il manganese (tuttavia non quello impiegato nelle batterie elettriche). Il deposito di Zavalievsky è uno dei più importanti giacimenti di grafite conosciuti e non sfruttati in Europa: un materiale fondamentale per gli anodi delle batterie e attualmente monopolizzato (e sotto un regime di licenze per l’esportazione) dalla Cina. Inoltre, l’Ucraina è anche il quinto produttore di gallio, utilizzato per semiconduttori e LED, ed è un importante fornitore di gas neon, essenziale nell’industria dei chip durante le fasi di incisione dei wafer di silicio attraverso la litografia ultravioletta. L’invasione su larga scala da parte della Russia aveva causato una carenza globale di questo gas nobile, con ripercussioni sulla filiera anche dei chip americani.

Tuttavia, già prima dell’invasione l’UE aveva identificato nell’Ucraina un paese partner fondamentale per l’eventuale fornitura di 20 delle 33 materie prime critiche stilate dalla Commissione e per le quali a luglio 2021 era stata avviato un dialogo strategico, poi rimasto in stand-by per via del conflitto. Secondo il Servizio Geologico Ucraino, il paese avrebbe riserve stimate di litio – l’oro bianco per le batterie – tra le 500.000 tonnellate metriche e le 700.000 (un terzo di quelle conosciute sul continente). Per un termine di paragone, i depositi in Sud America contengono 9 milioni di tonnellate: seppur si tratti di una differenza dell’ordine di dieci volte, una variabile da non sottovalutare sono le concentrazioni di litio carbonato equivalente (misura standard dell’industria) dei depositi in Ucraina, su cui mancano studi più approfonditi. Ad ogni modo, si tratterebbe di quantità tali da poter coprire gran parte della domanda UE al 2030 secondo alcune proiezioni di mercato.

In occasione di una conferenza sul tema, l’ex ministro ucraino delle infrastrutture e cofondatore del think tank We Build Ukraine, Oleksandr Kubrakov, ha enfatizzato la ricchezza mineraria Ucraina, “strategicamente ben posizionata nel contesto dell’UE”. Parole e potenziali che sicuramente vanno bilanciati rispetto a diversi fattori.

La questione geopolitica

Il primo geopolitico. Secondo alcune ricostruzioni preliminari, gran parte di queste risorse energetiche e minerarie ora sarebbero sotto il controllo russo, per un valore stimato di circa $12.000 miliardi di dollari. Secondo un briefing dell’intelligence britannica, una delle ragioni per cui la Russia si starebbe già muovendo per riattivare i network e la logistica nelle zone occupate è per via dei depositi. Le restanti, circa il 60% delle risorse minerarie distribuite sul territorio fuori dal controllo russo, sarebbero, invece, potenzialmente raggiungibili. I territori di Zaporizhzhia e Donetsk, dove si trovano due riserve di litio per intenderci, sono attualmente già sotto occupazione russa. Non è da escludere che l’uscita di Donald Trump potesse essere anche un assist per lanciare una negoziazione diretta con Vladimir Putin, considerando questo status quo. Nel più ampio contesto transatlantico, laddove Washington ora sembrerebbe voler dare le carte prima ancora di sedersi al tavolo delle trattative seguendo le dichiarazioni e intenzioni del Presidente, l’accesso alle risorse fuori dalla sfera d’influenza russa dovrà passare anche da un bilanciamento tra gli interessi americani e quelli, meno recenti, europei.

Il collegamento con la transizione verde

Dal punto di vista geoeconomico, l’interesse di accedere a queste risorse è tuttavia da soppesare rispetto al posizionamento di USA e UE per quanto concerne la politica industriale soprattutto verso le tecnologie green, particolarmente avide di minerali critici come appunto litio o grafite. L’amministrazione Trump ha già lanciato alcuni segnali nel voler smantellare, in parte, l’Inflation Reduction Act (IRA) e la reindustrializzazione a colpi di debito federale, mentre al contempo un riferimento massiccio nell’Executive Order Unleashing American Energy è stato fatto all’importanza delle materie prime (vitali in settori come la difesa, il digitale o l’aerospazio su cui è evidente la preferenza trumpiana rispetto ai temi legati alla sostenibilità energetica). Quanto gli USA in questi quattro anni vorranno investire sull’estrazione domestica o nel finanziare e supportare progetti oltreoceano (come in Ucraina) tenendo conto di queste dinamiche non è un elemento da sottovalutare in questa corsa alle materie prime. Per vicinanza geografica, volontà politica preesistente il conflitto e allineamento con gli obiettivi (e le esigenze materiali) del Green Deal e dell’European Critical Raw Materials Act, l’Unione Europea sembra potersi presentare come un partner più accondiscendente, ma c’è da tenere conto di quali sono e saranno le forze negoziali in campo e il potere di persuasione del Presidente Trump su Zelenzkiy.

Ricostruire e ricollegare l’Ucraina

Terzo punto, servirà ricostruire un contesto industriale e infrastrutturale (30% delle infrastrutture esistenti e il 50% di quelle energetiche sono state danneggiate o distrutte nel corso degli attacchi russi) che possa aiutare il paese a rimettere in moto un settore, quello minerario, che alla fine del 2021 rappresentava circa il 6.1% del prodotto interno lordo ucraino e il 30% delle esportazioni, ma che non può operare in isolamento dalle supply chain internazionali. Senza contare che le stime citate qui sopra devono essere vagliate, studiate e valutate dal punto di vista geologico e tecnico per rispondere alle esigenze del mercato e, in ultima istanza, dei privati e degli investitori. Portare alla luce questi depositi richiederà una serie di collaborazioni e partenariati, oltre a tecnologie di estrazione e raffinazione che per alcuni minerali (es. litio e terre rare) sono in mano a società cinesi. In altri casi, come ferro o e acciaio, queste risorse (sulle quali già facevano affidamento le industrie europee) dovrebbero diventare un volano di rilancio economico e industriale del paese. Servirà dunque trovare un bilanciamento tra necessità di modernizzazione interna e sicurezza economica dei paesi occidentali partner, qualcosa di più complesso della “diplomazia delle risorse” muscolare di Trump.


[1] In realtà, vengono erroneamente etichettate come “terre rare” l’insieme di materiali critici o strategici che tuttavia appartengono a diversi minerali o metalli. Le terre rare rappresentano la famiglia dei lantanidi, una serie di 17 elementi della tavola periodica.

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