Dalla pressione fiscale alla semplificazione normativa: Ezio Stellato spiega criticità del sistema fiscale italiano, le riforme indispensabili per la crescita economica
Intervista al Professor Ezio Stellato, commercialista, esperto tributario e fiscale, nonché Responsabile delle politiche fiscali dell’Istituto Milton Friedman.
Professor Stellato, lei è oggi uno degli esperti fiscali più affermati. Qual è, in questo periodo, il focus della sua attività professionale e quali servizi sono maggiormente richiesti da aziende e cittadini?
“Oggi assistiamo a due tipi di richieste principali. Da un lato, ci sono imprenditori e privati che vogliono proteggere il proprio capitale e pianificare strategie fiscali e finanziarie per ottimizzare i loro asset. In alcuni casi, questo significa consolidare la posizione dell’impresa; in altri, preparare operazioni di vendita a fondi o grandi gruppi internazionali per massimizzare il valore della cessione. Dall’altro lato, c’è una crescente domanda di strumenti per il risanamento della crisi d’impresa e personale“.
“In Italia, la rigidità fiscale e burocratica impedisce una vera ripartenza per chi si trova in difficoltà. Se dovessi individuare la tendenza prevalente, direi che c’è un aumento della domanda di accordi di ristrutturazione, anche perché il sistema fiscale italiano è concepito più per punire che per incentivare la crescita. Un chiaro esempio di come funziona il mercato è quello delle squadre di calcio: quando si indebitano eccessivamente, vengono rilevate da fondi esteri che le ristrutturano e le rilanciano. Lo stesso dovrebbe avvenire per molte imprese italiane, ma il sistema attuale spesso le soffoca prima che possano essere salvate“.
Quali impegni sta portando avanti a livello accademico?
“Il diritto tributario è un ambito in continua evoluzione, ma in Italia è ancora troppo dominato da un’impostazione statalista e dirigista. La ricerca accademica dovrebbe concentrarsi sulla semplificazione del sistema, smantellando normative obsolete che scoraggiano l’iniziativa economica e disincentivano gli investimenti esteri. Se non si riduce l’incertezza normativa, continueremo a perdere competitività rispetto ad altri Paesi con sistemi fiscali più snelli e attrattivi. È anche responsabile delle politiche fiscali dell’Istituto Milton Friedman“.
Quali sono le principali proposte che state portando avanti?
“La nostra proposta più rilevante è la cartolarizzazione del magazzino fiscale, presentata al MEF nel marzo 2024. Il magazzino fiscale dello Stato cresce molto più velocemente di quanto il governo riesca a recuperare, segno evidente che il sistema attuale non funziona. Il settore privato ha già sviluppato competenze avanzate nella gestione degli NPL (crediti deteriorati), quindi avrebbe senso trasferire parte di questa attività alle aziende specializzate, aumentando l’efficienza del recupero senza gravare ulteriormente sui contribuenti“.
“L’Agenzia delle Entrate fa il suo lavoro, ma il problema è strutturale: in questi 1.300 miliardi di euro di crediti fiscali inesigibili ci sono componenti che il mercato potrebbe gestire con maggiore efficacia rispetto alla macchina burocratica statale. Non è una questione di maggiore rigore, ma di maggiore efficienza: il sistema va ripensato in chiave di mercato, riducendo l’ingerenza pubblica e affidando ai privati ciò che sanno fare meglio“.
A suo avviso, quali sono le sfide più urgenti che il sistema fiscale italiano deve affrontare oggi?
“Il problema principale è l’eccessiva pressione fiscale, che soffoca l’iniziativa privata e spinge le imprese a delocalizzare. Le sanzioni fiscali, poi, sono un’assurdità: in Italia, un tributo da 100 può trasformarsi in un debito da 200 o 300 a causa di un sistema punitivo anziché incentivante. Questo porta a un circolo vizioso in cui gli imprenditori più innovativi fuggono verso Paesi con regimi fiscali più competitivi, lasciando il tessuto produttivo italiano sempre più debole. Un Paese che penalizza chi crea ricchezza non può crescere. Basti guardare a grandi gruppi come Ferrari, Fiat e Luxottica, che hanno scelto di spostare il domicilio fiscale altrove. Serve un drastico taglio alla tassazione sulle imprese e un sistema più flessibile, che consenta agli imprenditori di investire e creare lavoro anziché spendere risorse in complicazioni burocratiche“.
Quanto è importante, secondo lei, sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle questioni fiscali? Che nuovo approccio dovrebbe adottare il sistema?
“Il vero problema è che in Italia si parla troppo poco di tasse in termini di efficienza e troppo in termini di moralismo. Si fa passare l’idea che pagare più tasse sia una sorta di dovere etico, senza mai mettere in discussione il modo in cui queste risorse vengono spese. Il bilancio dello Stato dovrebbe essere presentato in modo chiaro, con infografiche semplici, per far capire ai cittadini come vengono utilizzati i loro soldi. Se lo Stato fosse un’azienda, nessun investitore serio accetterebbe un sistema così inefficiente. Si parla tanto di digitalizzazione, ma nel 2025 ci sono ancora uffici pubblici senza internet. Se vogliamo un sistema fiscale credibile, dobbiamo prima rendere credibile la macchina statale“.
Quali riforme fiscali ritiene essenziali per rendere il sistema italiano più serio, efficiente e competitivo nei prossimi anni?
“Serve un cambio di paradigma: il fisco deve premiare chi crea valore e non trattare ogni contribuente come un potenziale evasore. Il primo passo è una drastica semplificazione delle leggi tributarie, eliminando le sovrapposizioni normative che generano solo incertezza. Inoltre, occorre passare a un sistema più meritocratico e proporzionale, riducendo il peso fiscale su chi produce ricchezza e investe in innovazione. Il modello flat tax, se ben concepito, potrebbe sostituire molte delle attuali distorsioni fiscali e semplificare la gestione tributaria. Infine, lo Stato dovrebbe smettere di comportarsi come un competitor delle imprese e affidare ai privati ciò che il mercato sa gestire meglio. Il modello deve essere quello dei Paesi più avanzati, dove lo Stato non è un ostacolo, ma un facilitatore dell’attività economica. Solo così potremo tornare a essere competitivi a livello globale“.
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