Salvini lo vuole, Meloni no. L’ennesimo condono mette in croce Giorgetti

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Sulla rottamazione tutta la maggioranza tira Giancarlo Giorgetti per la giacca. La Lega affinché il ministro dell’Economia dica sì alla nuova pace fiscale chiesta a gran voce dal suo partito, con il segretario Matteo Salvini in testa; gli alleati di Fratelli d’Italia vogliono a loro volta capire dove il Carroccio, nella persona del titolare del Mef, intende trovare le coperture necessarie – circa 5 miliardi – a finanziare la misura che secondo le stime riguarderà 10 milioni di contribuenti, permettendo loro di chiudere i debiti con il Fisco. 

I leghisti hanno rimesso il dibattito sul fisco al centro dell’agone politico. La rottamazione “è nel programma di governo” ripetono da giorni. Venerdì hanno presentato i contenuti di una proposta di legge per permettere di estinguere le cartelle esattoriali in 120 rate tutte uguali, senza sanzioni, e con l’unico limite di decadere dal beneficio soltanto una volta mancati otto pagamenti. E mercoledì 12 febbraio la pace fiscale sarà all’ordine del giorno del consiglio federale del Carroccio, convocato d’urgenza sul tema. Un modo anche per mettere pressione su Giorgetti. Già venerdì Salvini aveva sottolineato la comunanza di vedute con il titolare del Tesoro, mentre il vice ministro, il meloniano Maurizio Leo, è stato finora cauto, facendosi scudo con ragioni di finanza pubblica: non ci sono soldi per finanziare una nuova rottamazione. Mercoledì dovrebbe partecipare al parlamentino leghista e a quel punto il comunicato di fine riunione potrebbe enfatizzare, come in passato, l’unitarietà del partito su temi chiave.  Fisco compreso

A sollecitare Giorgetti sono anche gli alleati di FdI. Parlamentari e senatori meloniani si stanno muovendo come un solo uno, dicono di non essere contrari alla rottamazione, ma chiedono a Giorgetti di spiegare come sarà finanziata senza sconquassi sui conti dello Stato e senza creare buchi di bilancio. Lo dice Saverio Congedo, capogruppo in commissione Finanze alla Camera. Lo ripete Filippo Melchiorre, vicepresidente della Finanze, ma in Senato: “Il problema non è politico.  La questione, in questo caso, è però prettamente economica”. Anche Marco Osnato presidente della commissione Finanze a Montecitorio e responsabile economico di FdI è sulla stessa lunghezza d’onda:  “Poiché pare che la rottamazione costi svariati miliardi di euro, non credo sia più un problema esclusivamente fiscale ovvero del vice-ministro Leo, quindi, evidentemente, a questo punto è il ministro dell’Economia Giorgetti che dovrebbe spiegarci come si può coprire il costo di questa rottamazione”. 

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La politica e i rapporti tra alleati, spinti fuori dalla finestra, rientrano dalla porta delle dichiarazioni, tutte indirizzate a un unico destinatario che riporta il nome di Giancarlo Giorgetti. E con lui la palla passa a Daria Perrotta, fedelissimi del ministro alla guida della Ragioneria generale dello Stato. A taccuini chiusi anche i leghisti sottolineano che alcuni correttivi alle loro proposte saranno necessari per farle funzionare pienamente. I timori sono tuttavia per quanto dimostrato in passato dalle rottamazioni. La loro efficacia non è stata mai quando sperato. Come nota l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, analizzando i dati della Corte dei Conti: “Solo una piccola parte dei 19 milioni di soggetti con debiti fiscali ha fatto domanda. Anche per chi ha presentato domanda, le riscossioni effettive sono state meno della metà di quelle previste, in tutte le finestre delle rottamazioni”. L’analisi è riferita ai primi tre interventi e all’operazione saldo e stralcio volute dai governi presieduti da Matteo Renzi e da Paolo Gentiloni (quindi dal centrosinistra) e dal primo governo di Giuseppe Conte (sostenuto da Movimento Cinque Stelle e Lega).

La rottamazione renziana aveva incassato 8,4 miliardi su  17,7 miliardi attesi. Quella di Gentiloni 2,6 miliardi su circa 8,6 miliardi.  La rottamazione contiana , che si sperava avrebbe avuto presa con un numero maggiore di rate spalmate in cinque anni, ha visto rispondere 1,4 milioni per un valore lordo di ben 43,5 miliardi e un introito atteso di 26,3 che si è sgonfiato a soli 8,6 davvero incassati. E poi dalla rottamazione quater, quella che tocca i carichi affidati all’Agenzia dal primo gennaio 2000 al 30 giugno 2022, a fine novembre sono arrivati a 4,6 miliardi, meglio delle previsioni. Ma in 600 mila sono decaduti nel frattempo. Lo notava la Corte dei conti già a giugno dello scorso anno, nonostante i risultati migliori delle attese, il meccanismo “registra omessi versamenti di rate per 5,4 miliardi”. Problemi a pagare dicono i fautori di nuovi interventi. La semplice constatazione che il meccanismo serve a chi non vuole saldare i conti con il fisco e quindi prendere tempo, rispondono i critici. Pagando una rata si fermano infatti ingiunzioni e altri atti.

Nel frattempo i leghisti hanno incassato un primo punto con il decreto Milleproroghe. Un emendamento dei relatori riapre l’adesione per i contribuenti decaduti dai benefici della rottamazione quater. Entro il 30 aprile potranno presentare una nuova dichiarazione  e scegliere in quante rate saldare fino a un massimo di dieci anni (le prime due entro quest’anno). La misura dovrebbe avere un impatto sul decennio circa 126 milioni e dovrebbe portare al ritiro di un emendamento simile caldeggiato dalla Lega, che però anziché riguardare solo chi è decaduto amplia la portat della rottamazione. Il correttivo dei relatori concede anche più tempo alle partite Iva per accettare di accedere al concordato preventivo nel biennio 2025-2026. Anziché il 31 luglio si potrà dire sì o no alle proposte di tasse da pagare fatte dall’Agenzia delle entrate entro il 30 settembre.



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