Salva Milano, Sala la spunta. Pd diviso

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Sotto un cielo cupo e in un palazzo cinto d’assedio dalla manifestazione «Contro il cemento» dei comitati cittadini, Cgil Milano, Verdi e ambientalisti (e il consigliere del Pd Alessandro Giungi) e al grido di «Vergogna!» viene approvato dal consiglio comunale di Milano l’ordine del giorno di Pd, Riformisti e Lista Sala a sostegno dell’approvazione della norma «Salva Milano». Nel testo, firmato dalla capogruppo del Pd Beatrice Uguccioni, dalla capogruppo dei Riformisti Giulia Pastorella, dal presidente della commissione Rigenerazione urbana (in quota Pd) Bruno Ceccarelli e del consigliere della Lista Sala Marco Fumagalli, i consiglieri esprimono il proprio sostegno «alla conclusione positiva dell’iter di approvazione del DDL 1309 – Disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia, strumentalmente definito Salva Milano». Con una riserva: nel secondo punto, infatti, si esprime la necessità di «una successiva e rapida riforma organica complessiva della materia, come richiesto dal Presidente di Anci Gaetano Manfredi, che definisca i principi fondamentali dell’urbanistica nel rispetto delle prerogative delle regioni e dei comuni italiani». Sette i voti contrari (tre di Europa Verde), uno del Pd (Alessandro Giungi), due consiglieri della Lega (il capogruppo Alessandro Verri e la consigliera Annarosa Racca), un ambientalista del gruppo Misto, 22 favorevoli, 21 assenti (tra cui Fi, FdI, Noi Moderati) e 0 astenuti. Così la maggioranza milanese si spacca nonostante l’auspicio del sindaco di Milano Beppe Sala che in mattinata aveva auspicato uno «schieramento abbastanza compatto rispetto a coloro che mi sostengono» per il voto. «Oggi succede una cosa gravissima: spaccano la maggioranza per votare il condono edilizio e il blocco dei processi… inaudito! – tuona Monguzzi – Si spacca la sinistra a Milano… da domani cambiano molte cose. E non certo per colpa nostra che teniamo la schiena dritta!». Ecco quindi che il problema politico è servito, almeno a Milano. Anche se il sindaco finge indifferenza: «Sindaco e presidente del Consiglio vanno a casa quando non hanno più la fiducia di Consiglio o Parlamento. Il resto sono dinamiche politiche», dice ospite di Lilli Gruber, puntata per cui ha disertato il consiglio nel pomeriggio nonostante avesse battuto i piedi, alzato la voce, minacciato i suoi – «se non votassero sarebbe un problema politico».

L’obiettivo del documento di indirizzo politico è dare un segnale ai colleghi di Roma, in particolare alla senatrice ed ex assessore al Lavoro Cristina Tajani e dell’eurodeputato Pd Pierfrancesco Maran che ai tempi aveva le deleghe all’Urbanistica «che per 13 anni non si sono accorti di nulla». Ma se Fdi esce dall’aula al momento del voto – non è un mistero che più di un senatore a Roma non abbia intenzione di «togliere le castagne dal fuoco a Sala» a differenza della sua maggioranza – e la Lega (2 su 5) vota contro, ora diventerà difficile «tenere» i senatori di Lega, FdI e Fi. «È una tesi che ho sentito in Senato – ammetteva qualche giorno fa il sottosegretario Morelli, che per primo, insieme al vicepremier Matteo Salvini si è speso perché il documento venisse approvato in modo bipartisan alla Camera -: o i partiti in maggioranza a Palazzo Marino danno un segnale, votano in maniera compatta un testo condiviso che dice sì al Salva Milano, o senatori dei partiti di centrodestra non sono disposti a votare un salva Sala. Se Sala è sfiduciato dai suoi stessi partiti a Milano, non può contare su di noi». «Fosse stato per me, il Salva Milano sarebbe già stato approvato l’estate scorsa – commentava ieri mattina il vicepremier e ministro dei trasporti Matto Salvini -. Sono il Pd e la sinistra che hanno avuto qualche dubbio».

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La difficilissima giornata di Sala si conclude nel salotto di Otto e mezzo

appunto dove chiede maggiore accoglienza: «Se vogliamo vivere in una città internazionale che vive 24 ore al giorno 7/7 ma non vogliamo fare certi lavori e scendere a compromessi? Da qui la necessità di avere immigrazione».



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