Salva Milano: le osservazioni dell’INU in audizione al Senato

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L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato audito il 4 febbraio scorso in VIII Commissione Ambiente del Senato nell’ambito della discussione sul disegno di legge cosiddetto Salva Milano. Il Presidente di INU Michele Talia ha presentato una memoria, che riportiamo di seguito.

Salva Milano: la memoria del Presidente di INU

“Sul testo di legge approvato alla Camera e trasmesso al Senato il 22.11.24 (il ddl 1309 di “Interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia”), l’INU si è già espresso criticamente a partire dal settembre 2024. Mi riferisco in particolare all’audizione in VIII Commissione Camera del 18.9.2024, all’intervento che ho pubblicato il 3 dicembre 2024 a ridosso del voto favorevole della Camera, e che riprendo ampiamente in questa sede, ai contributi di altri dirigenti dell’INU (tra cui Carlo Alberto Barbieri) e di INU Lombardia, tutti variamente ripresi da organi di stampa e consultabili su www.inu.it).

Nel corso di questi mesi il dibattito politico, tecnico-culturale si è progressivamente consolidato, ed è emersa nelle stesse sedi istituzionali la convinzione che si dovesse procedere ad una riflessione più approfondita e meno condizionata dall’urgenza di “risolvere il problema” in tempi brevissimi, con la conseguenza di aprire il campo ad un’attività emendativa del Senato, che riporterebbe alla Camera un testo non marginalmente modificato. Con modifiche che potrebbero riguardare ad esempio la possibilità di reintrodurre quel richiamo al “riordino della disciplina di settore” che inizialmente era previsto nel testo presentato alla Camera, ma che successivamente è stato eliminato in coerenza con il format che era stato adottato di una Legge di “interpretazione autentica” (e a distanza di 57 anni dalla Legge Ponte!!) dell’art 41 quinquies della L. 1150/42 e dell’art 8 del DM 1444/68.

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In attesa di tali emendamenti il nuovo provvedimento prosegue una deriva intrapresa molti anni fa, e si colloca in una filiera di interventi normativi (dai Piani Casa variamente denominati al Salva Casa e, in prospettiva, al Testo Unico Edilizia che è in fase di avanzata elaborazione), che pur a costo di una certa improvvisazione tradiscono l’intenzione di attribuire alle norme in materia edilizia il compito di esercitare un’azione di supplenza nei confronti di alcune questioni più propriamente urbanistiche, e che sono ancora in attesa di un’adeguata cornice legislativa (la non rinviabile legge di principi sul governo del territorio). Nel far questo il ddl 1309 non solo procede all’ampliamento dell’ambito di applicazione della Ristrutturazione Edilizia (includendovi anche il cambio di funzione, cosa non prevista nel DPR 380), ma cerca di realizzare un’improbabile sovrapposizione tra quest’ultima e la ben più ricca e complessa Rigenerazione Urbana, in palese contraddizione con quanto si sostiene nel Testo Unificato presentato al Senato nel mese di settembre 2024.

Sullo sfondo di questa controriforma urbanistica che rende opzionale (e dunque residuale) il ricorso alla pianificazione attuativa anche in presenza di trasformazioni urbane rilevanti ed ingenti, si propone inoltre di favorire l’impiego di titoli abilitativi a carattere automatico, ma senza i dovuti oneri e, soprattutto, senza l’obbligo di provvedere all’offerta degli standard (almeno di quelli minimi previsti dal DI 1444/68), con il rischio di un drastico indebolimento delle garanzie finora vigenti nella offerta di servizi al cittadino.

Come è noto la norma in discussione trae origine dalla necessità di assicurare certezza giuridica alle controverse interpretazioni della nozione di ristrutturazione edilizia e dei rapporti tra intervento diretto e pianificazione attuativa che stanno paralizzando i processi di rigenerazione e di trasformazione urbana in corso nel capoluogo lombardo. Ma se da un lato sono evidenti le urgenze e i problemi intercorsi nella predisposizione del disegno di legge, la strada adottata dai proponenti rischia di rivelarsi non risolutiva, ed espone l’urbanistica italiana a continui incidenti di percorso. Ne consegue pertanto che, almeno a nostro parere, il ddl 1309 presenta rilevanti controindicazioni in vista del raggiungimento delle finalità che si intende conseguire, e che rischiano di innescare al tempo stesso un’ulteriore confusione ed incertezza normativa, nonché effetti dannosi e potenzialmente irreversibili nel governo pubblico della rigenerazione urbana nel nostro Paese.

Quanto agli effetti più immediati, l’aver affidato il superamento delle criticità presenti negli attuali strumenti di governo delle trasformazioni urbane ad un provvedimento legislativo di “interpretazione autentica”, che punta come si è visto ad ampliare ulteriormente il campo di applicazione della ristrutturazione edilizia, sembra indebolire ulteriormente i poteri di indirizzo che sono a disposizione di amministrazioni e comunità locali per salvaguardare l’interesse pubblico nella rigenerazione urbana, e per favorire la difesa e lo sviluppo della qualità e delle dotazioni degli insediamenti e dei territori.

Dal momento che la giurisprudenza è chiarissima nel sostenere che negli ambiti urbanizzati è già ammesso il ricorso a titoli abilitativi edilizi, ma a condizione che l’amministrazione non abbia previsto nel piano un’esigenza di disegno, l’indirizzo che viene ora proposto espone probabilmente il nuovo provvedimento ad un attento controllo di costituzionalità, soprattutto laddove il ddl sembra voler effettuare un altro pericoloso passo in direzione dell’esproprio delle prerogative dell’urbanistica – che è soggetta come è noto a legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni – a vantaggio della regolamentazione dell’edilizia che è invece di competenza esclusiva dello Stato.

In tale quadro l’ulteriore ampliamento del concetto di ristrutturazione edilizia, oltre a produrre lo svuotamento di significato del termine, comporta un’ulteriore contrazione del potere di indirizzo e di discussione delle comunità urbane sui cambiamenti della città. Con il deprecabile effetto di mantenere in capo alle amministrazioni locali un semplice controllo burocratico sugli interventi edilizi, e di favorire un ricorso crescente a titoli abilitativi sempre più semplificati e autocertificati.

Sia detto per inciso che la strada intrapresa dal ddl si rivela comunque accidentata, e che anche in una recente sentenza del Consiglio di Stato (la n. 40052 del 2 maggio 2024) si tende a raccomandare particolare cautela nel caso di interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano un ampliamento volumetrico. Per questi ultimi si sottolinea l’esigenza di ricorrere al permesso di costruire, e non alla sola segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), anche laddove l’incremento di volumetria preesistente sia espressamente consentito dal PRG o dalla legislazione regionale. A parere dell’INU questi rischi di sconfinamento e di successiva impugnazione pongono l’urgenza di intervenire sul disegno di legge con emendamenti non marginali, che potrebbero prevedere ad esempio il ricorso alla pianificazione attuativa e relativa verifica di assoggettabilità VAS in tutti quei casi in cui i nuovi interventi edilizi sono comunque tali da alterare in modo significativo gli equilibri insediativi codificati dalla pianificazione urbanistica vigente.

Se ormai si conviene sempre più spesso che nelle nuove trasformazioni urbane la priorità debba essere assegnata all’intervento sulla città esistente attraverso iniziative integrate di rigenerazione urbana, è allora evidente che la scelta operata dal ddl di privilegiare provvedimenti settoriali e iniziative di corto respiro, riconducendole impropriamente all’edilizia (e non al governo del territorio e alla pianificazione urbanistica), tenda inevitabilmente ad aggravare in modo assai rilevante la confusione normativa già presente nel nostro ordinamento. E con la conseguenza di ostacolare al tempo stesso l’individuazione di soluzioni efficaci per obiettivi ambiziosi, ma che si rivelano sempre più urgenti, quali ad esempio la convergenza tra il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione della città esistente, o ancora la ricerca di strumenti atti a promuovere contestualmente la transizione delle dotazioni urbanistiche in Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) del governo del territorio, che si rivelerebbero decisivi nel ridurre le gravi asimmetrie tra la richiesta di una crescente autonomia da parte dei poteri locali e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e del territorio.

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A fronte di queste nuove sfide si ritiene ormai maturo un radicale cambio di rotta, che metta a disposizione la “legge che non c’è e che non c’è dal 2001, quando la riforma del Titolo V della Costituzione ha introdotto al posto dell’urbanistica il Governo del territorio come materia concorrente fra Stato e Regioni, ovvero la Legge di Principi fondamentali e norme generali per il governo del territorio e la pianificazione.

Si tratta di intraprendere un percorso riformatore certamente ambizioso, e che risulti coerente con questo indirizzo, a cui l’INU ha provato a dare forma proponendo una nuova legge nazionale che è stata presentata al Senato il 16 luglio 2024. Le garanzie già presenti nel nostro ordinamento per il bilanciamento e la composizione degli interessi pubblici e privati che oggi vengono messe in discussione non devono essere accantonate, ma al contrario possono essere innovate e reinterpretate all’interno di un nuovo quadro organico, e appunto di una nuova riforma urbanistica”.



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