Rigenerazione urbana, il “Salva-Milano” e la lezione per l’Umbria: serve cambio di rotta

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di Diego Zurli*

Il dibattito che si è acceso sul cosiddetto “Salva-Milano” – la proposta di legge approvata alla Camera dei Deputati volta a dirimere alcuni contrasti interpretativi  della disciplina urbanistica – ha assunto una rilevanza che travalica la pur delicatissima questione che ha visto otto tra imprenditori, progettisti, funzionari e dirigenti del Comune,  imputati per abuso  edilizio e lottizzazione abusiva. Trattasi infatti di un primo tassello di un mosaico che riveste una dimensione assai più ampia ma, qualunque sarà il suo esito finale, produrrà certamente riflessi su tutto il territorio nazionale riproponendosi  anche sul dibattito  di casa  nostra. Soprattutto,  è inevitabile che i suoi echi  finiranno per accendere un faro e animare accese dispute su una problematica di stringente attualità: quella comunemente  definita della  “rigenerazione urbana” che – almeno a parole – tutti auspicano per azzerare il consumo di suolo –   costruendo sul costruito   e   “rammendando le periferie “ come predica  da anni Renzo Piano –   ma che  alla prova dei fatti,  si risolve spesso  nella realizzazione di nuovi centri commerciali: gli unici che garantiscono redditività sufficiente a remunerare gli investimenti richiesti.

Un breve riassunto

Fin dai tempi del sindaco Giuliano Pisapia –   cioè da oltre 10 anni –   in linea con tutti gli indirizzi statali e regionali,   il Comune di Milano ha cercato di mettere in atto una politica urbanistica volta  a limitare il consumo di suolo non edificato  recuperando aree e immobili degradati. Lo ha fatto  demolendo edifici inutilizzati, principalmente in aree industriali dismesse,   bonificandone i terreni e   ricostruendo nuovi edifici con destinazione residenziale o terziaria avvalendosi delle misure di semplificazione e  di incentivazione previste dalla legge che hanno ampliato notevolmente il concetto di ristrutturazione edilizia e che consentono di cambiare la forma dell’edificio e mantenendo la superficie abitabile consentita dal Prg. L’interpretazione delle norme e la prassi impiegate, sono state oggetto di numerose impugnative in sede amministrativa, senza che  la magistratura abbia mai avuto alcunché da eccepire;  tuttavia, alcuni soggetti  cointeressati insoddisfatti, hanno deciso di rivolgersi alla Procura della Repubblica che ha aperto un’inchiesta sfociata proprio in questi giorni in un primo dibattimento. 

Le posizioni in campo

La cultura urbanistica più autorevole – anche di provenienza accademica  e  quella espressa dall’Istituto nazionale di urbanistica  – ha criticato il disegno di legge per varie ragioni ritenendo che la scelta  di operare    per provvedimenti settoriali, pur consentiti dalla normativa vigente, ricondurrebbe impropriamente all’edilizia –  e non all’urbanistica – l’intervento sul costruito vanificando la stessa pianificazione.  Di segno opposto la posizione del Comune il quale, oltre a sostenere la piena legittimità dell’orientamento assunto, annovera a suo sostegno gli innegabili risultati ottenuti attraverso l’impiego di procedure più semplici ed efficaci per adeguarsi al cambiamento dei tempi, rivitalizzando grandi aree dismesse, evitando di intaccare nuove aree – anche attraverso episodi di apprezzabile qualità urbana ed architettonica – nel rispetto di volumetrie e previsioni urbanistiche vigenti.  Il  disegno di legge, come è noto,  è stato votato alla Camera da una maggioranza atipica composta dal Pd, Azione, Italia Viva e +Europa – insieme a tutto il centro destra  – con Alleanza Verdi e Sinistra e 5 Stelle, fieramente contrari. Il successivo passaggio al Senato, dopo le numerose prese di posizione e gli appelli pubblici, presenta molte insidie per i mal di pancia di una parte del principale partito di opposizione. 

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Fatti di casa nostra

In Umbria, gli  interventi di rigenerazione urbana sono stati affrontati nel tempo con esiti di vario segno. Nelle principali città,  assistiti da robusti finanziamenti pubblici, si segnalano tra gli altri il PINQuA a Perugia o quelli sostenuti da fondi immobiliari rivelatesi assai più problematici che hanno reso necessario il soccorso della mano pubblica o di altri fondi partecipati da Cassa depositi e prestiti per evitare il default. Tra i più  riusciti, quelli realizzati dal Comune di Terni il quale, nel corso degli anni,  ha accettato la difficile sfida di riconfigurare aree dismesse e interi quartieri  danneggiati dagli eventi bellici in tempi in cui  la Regione era in grado di mettere in campo risorse significative per l’housing sociale o fondi strutturali.  Quella stagione, purtroppo, sembra aver da alcuni anni esaurito la spinta propulsiva iniziale, essendo venuti meno alcuni dei protagonisti che l’avevano animata insieme alle risorse che si sono fatte sempre più scarse. Lo stesso ruolo della Regione, che su questo terreno aveva sperimentato diffusamente modelli e strumenti innovativi di intervento, attraverso la stagione dei cosiddetti Programmi complessi, si è progressivamente affievolito fino quasi ad azzerarsi.  Lo stesso ordinamento regionale – quello delle legge quadro 1 del 2015 – che contiene gran parte degli “attrezzi” che, almeno sulla carta, erano stati concepiti per innescare l’avvio di processi di  rigenerazione urbana, necessita di un “tagliando” a dieci anni  dalla sua approvazione.  

Alcuni spunti di riflessione

Ma lasciando da parte il passato, è chiaro che,   qualunque sarà l’esito della vicenda milanese dalla quale siamo partiti, urge una riflessione che preluda, anche in casa nostra, a una nuova fase.  Come ci ricorda Stefano Boeri, le città che abitiamo continuano ad allargarsi ma, al tempo stesso,  sono sempre più deserte perché  più si espandono verso l’esterno e più si svuotano al loro interno. Questo apparente paradosso vale certamente per i grandi centri urbani ma anche per realtà “minori” come le nostre, anch’esse disseminate  di piccoli e grandi vuoti urbani. Un solo esempio: in Italia poco meno di 10 milioni di alloggi risultano vuoti;  in Umbria  il censimento del 2021 ne ha contati circa 126 mila pari a oltre il 33 per cento dell’intero patrimonio, ben superiore al dato nazionale del 27 per cento. Preoccupa, secondo quanto afferma l’attuale assessore regionale alla Casa, il dato per cui oltre il 50 per cento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica è sfitto. La ragione di questo fenomeno è riconducibile a molte cause: tra queste, va senz’altro annoverato il cattivo funzionamento del mercato immobiliare che non è in grado di rispondere alle nuove domande abitative e dove molti piccoli proprietari  si guardano bene dal mettere sul mercato i propri alloggi in assenza di sufficienti garanzie atte a ottenere adeguati rendimenti (o di riappropriarsene in caso di necessità). Considerazioni abbastanza simili possono essere fatte per le stesse aree produttive dove una parte del patrimonio immobiliare è inutilizzato.  

Servono nuove idee

Concludendo, il tema della rigenerazione del costruito assume stringente attualità anche per l’Umbria. Di questo, con le dovute differenze e proporzioni, ci narra la vicenda del “Salva-Milano”,  dove l’alternativa alla espansione urbana non è la “non-crescita” ma – come ricorda Stefano Boeri – è la “ri-crescita” entro gli stessi confini. Servono perciò nuove idee, insieme a norme e strumenti  che rendano più economiche e più semplici tali iniziative,  quali  forme di incentivazione e  di agevolazioni tributarie che le rendano innanzitutto più vantaggiose:  perché, diversamente, ogni sviluppatore troverà conveniente costruire su una nuova area con il risultato che avremo altro territorio consumato e vecchi  fabbricati abbandonati che continueranno in eterno a occupare suolo. Occorre tuttavia ammettere che non esistono ricette magiche.  Tanto per cominciare, si potrebbe dare attuazione a quello che –  ove mai fosse  approvato – il “Salva-Milano”  già prevede:  ovvero il “riordino organico della disciplina di settore, entro sei mesi”; meglio ancora, l’auspicata legge di “Principi fondamentali e norme generali per il governo del territorio e la pianificazione” che mandi in soffitta la gloriosa legge urbanistica, tutt’ora vigente la quale, essendo stata approvata nel lontano 1942, fu concepita per un paese e per necessità molto diverse da quelle di oggi. Il maestro di tutti gli urbanisti “riformisti”, Giuseppe Campos Venuti e lo stesso Inu, ne hanno fatto una missione e una sfida che finora si è dimostrata perdente. Anche in Umbria, per quanto possibile, occorrerà cercare di  fare qualcosa in più per contrastare tramite la rigenerazione urbana – ma nel concreto e non solo a parole –  il consumo di suolo  perché, diversamente, non c’è altra strada che rassegnarsi alla nascita dell’ennesimo centro commerciale.

*Architetto e membro del comitato scientifico di Nuove rigenerazioni

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