Tempo e terroir: immaginiamo un piano cartesiano applicato al vino, dove il primo è l’asse delle ascisse e il secondo l’asse delle ordinate. Muovendo una delle due variabili, o entrambe, il punto d’incontro, il nostro vino, è ogni volta diverso. Ecco, se questo ragionamento è corretto, anche se semplificato – perché, come è noto, nella fisionomia di un vino concorrono molti più numerosi fattori più o meno controllabili -, può dirsi amplificato nelle Langhe, e in particolare nell’areale del Barolo DOCG.
Ogni MGA – acronimo di Menzione Geografica Aggiuntiva – racconta, infatti, una storia unica, fatta di esposizioni, altitudini e suoli che, sposandosi con il savoir-faire di volta in volta diverso di ogni produttore, danno vita a espressioni straordinariamente variegate del nebbiolo. Se a questo, aggiungiamo il trascorrere del tempo, il gioco è fatto.
Per un nuovo appuntamento della rassegna Wine Top, con Francesco Ferrari abbiamo, dunque, esplorato sei grandi Barolo, degustati con l’obiettivo di coglierne le sfumature, le diverse personalità e il potenziale evolutivo.
Dai vini di Castiglione Falletto a quelli di Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba, ogni bottiglia si è distinta per caratteristiche specifiche: dalla finezza ed eleganza del Monprivato di Mascarello alla potenza espressiva dell’Arione di Giacomo Conterno, fino alla profondità e alla complessità del Percristina di Domenico Clerico.
Sei etichette che rappresentano l’essenza del Barolo, tra maggiore o minore legame alla tradizione, interpretazioni uniche dei produttori e l’innegabile influenza del mix geologico-climatico.
A seguire, i nostri appunti di degustazione.
Barolo DOCG Vignarionda Riserva 2006 – Oddero Poderi e Cantine
Vignarionda è la MGA di riferimento di Serralunga d’Alba, sebbene non sia corretto identificare tutta Serralunga d’Alba in essa. Il perché è presto detto: Vignarionda costituisce un’eccezione, qualcosa di unico, grazie alla sua esposizione a pieno sud. Così, complice anche la mano dei dieci produttori che vi operano (Giacomo Anselma, Ettore Germano, Figlio Luigi Oddero, Oddero Poderi e Cantine, Luigi Pira, Guido Porro, Regis, Arnaldo Rivera, Giovanni Rosso e Massolino), il Barolo Vignarionda rappresenta un universo a parte, diverso da tutti gli altri e persino da sé stesso, se è vero – come è vero – che restituisce perfettamente l’andamento stagionale.
Francesco ci fornisce una coordinata di massima per leggerne il carattere intimo, dicendo che i suoi vini sono «a volte generosi, a volte riservati, sempre e comunque austeri e non di rado scontrosi, specie nei primi anni». Diciamo che «non è un Barolo per principianti».
Vigneto a 360 m s.l.m., posto all’estremità orientale della MGA, interamente su formazioni di Lequio, con piante di età variabile tra i primi anni ’70 e il 2007. Fermentazione alcolica in botti da 50 hl, rimontaggi giornalieri e bagnatura del cappello per circa 25-28 giorni. Dopo la malolattica, invecchiamento in rovere per circa 40 mesi.
Che dire. Partiamo dall’aspetto: integro, luminoso, di un granato che sfonda nell’aranciato cristallino, bellissimo. Il naso, poi, ha un animo «sabaudo», come sintetizza perfettamente Francesco Ferrari: elegante, nobile e al contempo intimamente austero, ricco di note di erbe officinali e spezie prima ancora che di frutta in composta e tabacco. Durante la serata, questo calice maggiorenne ha avuto modo di aprirsi e mostrarsi, rivelandosi assai generoso nei rimandi odorosi, che hanno spaziato dalle note fruttate ed empireumatiche fino all’oliva, agli accenni balsamici e mentolati, ai richiami agrumati e di tamarindo, fino agli sbuffi di violetta essiccata. Un vero gioiello, confermato anche all’assaggio, energico, ritmato, dal tannino «integro e integrato». Un sorso serio e compito, eppure espansivo e attraente. La persistenza? Pressoché infinita.
Barolo DOCG Cannubi 2016 – Comm. G.B. Burlotto
La vigna di 0,7 ha, ripiantata nel 1988, si trova in Cannubi Valletta, testata dell’omonima collina confinante con l’abitato di Barolo, a un’altitudine di 280 m s.l.m. e con esposizione prevalente a est. Da tempo, soltanto Burlotto propone un Barolo da questa MGA, caratterizzata dalle arenarie di Diano, che contribuiscono a dare un vino «sempre tonico e profondo, elegante e di solito più “fresco” rispetto ad altre espressioni di Cannubi», spiega Francesco Ferrari.
Fermentazione alcolica e macerazione in tini di rovere francese, malolattica e successiva maturazione in botti grandi di rovere francese per un periodo variabile da 20 a 36 mesi. Almeno 9 mesi di affinamento in vetro prima della commercializzazione.
Il calice è carminio al cuore, con un principio di sgranatura sul bordo. La fittezza cromatica è notevole, specie rispetto al vino precedente. Ancora più che l’aspetto, è il quadro olfattivo a rivelare che si tratta di «un vino di sabbia», dato il suolo di arenarie di Diano, e per di più da una vigna molto calda: il naso è sfaccettato, ma, a differenza del Vignarionda, non snocciola uno per uno i suoi descrittori. Si mostra piuttosto come una monumentale fusione odorosa di viola, violetta, lampone, noce moscata, spezie orientali e liquirizia argentata. L’assaggio mette in luce la trama fine, finissima di un tannino quasi impercettibile, «firma magistrale di Fabio Alessandria», che rende la beva vivace, gustosa e distintiva. Un grande vino che, a dispetto degli oltre otto anni di vita, ha ancora margini di miglioramento.
Barolo DOCG “Dedicato a Elena” 2010 – Cav. Lorenzo Accomasso
Lorenzo Accomasso e sua sorella Elena hanno reso celebri poco più di tre ettari tra Rocche dell’Annunziata e Rocchette sin dagli ultimi anni Cinquanta. Il vino degustato, dedicato proprio a Elena, scomparsa nel 2016, proviene dalle vigne poste al centro delle Rocche, intorno ai 300 m s.l.m., su Marne di Sant’Agata Fossili tipiche, laminate e sabbiose. Francesco riferisce che i vini della zona sono «abbastanza colorati e con buona struttura, più “dolci” rispetto alle Brunate»; specifica, però, che Accomasso «è un caso a parte, con macerazioni lunghe e sette anni di affinamento in legno, per uno stile iper tradizionalista che dà vita a vini magari non sempre perfetti, ma con una personalità unica».
L’aspetto conferma le indicazioni di Francesco: il calice è carminio compatto e fitto per la categoria. Il naso, inizialmente ridotto, si apre dopo pochi minuti, rivelando una gamma di profumi che spaziano dal legno di sandalo al fiore appassito, dall’after eight al succo dolce di mirtillo, dal rosmarino alla nota olivastra. Il sorso, tannico, con un’astringenza a metà strada tra gli altri due vini, è tuttavia succoso, ricco di aromi balsamici e con nitidi rimandi al mirtillo e all’oliva percepiti al naso. Concordiamo con il nostro relatore: è un vino dalla spiccata presenza scenica, discreta ma incisiva.
Barolo DOCG Monprivato 2016 – Mascarello Giuseppe e Figlio
Per tradizione, una delle zone più prestigiose di Castiglione Falletto, Monprivato è una MGA di 7,12 ha esposta a sud-ovest, tra 250 e 325 m s.l.m.. Quasi interamente della famiglia Mascarello – salvo un appezzamento di circa mezzo ettaro di Giovanni Sordo – grazie ai suoi terreni sabbiosi e chiari (Marne di Sant’Agata Fossili sabbiose) produce Barolo di «eccezionale finezza ed eleganza».
La fermentazione alcolica avviene a cappello emerso per 20-26 giorni, seguita dall’ affinamento in botti di rovere di Slavonia per circa 30 mesi.
L’aspetto è già un segno distintivo: splendido aranciato di ammaliante trasparenza, leggero e luminoso. Nonostante il calore della vigna, dice Francesco Ferrari, «è un vino in punta di piedi». Viola e iris, poi un sottobosco fatto di radice e foglie essiccate e, ancora, fragolina e ribes. Un profilo olfattivo di grande ed elegante classicità. In bocca l’assaggio è nobile, fine, con una fisionomia snella, leggera ma integra e pura, ricca di aromi di lampone, a tratti salini, certamente balsamici, e con una chiusura persistente di caramella mou e violetta. Un assaggio da ricordare, senza dubbio.
Barolo DOCG Arione 2018 – Giacomo Conterno
Alessandro Masnaghetti ha definito Arione come «una delle migliori espressioni di tutta Serralunga d’Alba, oltre che una delle più originali. Originalità legata ai terreni, alla ripidezza del versante, alla quota, e soprattutto alla sua posizione estremamente aperta e luminosa rivolta a pieno sud». Francesco Ferrari aggiunge una nota storica legata a Bruno Giacosa, che rese Arione celebre negli anni ’70, e ricorda che dal 2015 fa parte per lo più dell’azienda Giacomo Conterno. «I Barolo della MGA Arione», chiosa Francesco, «sono più scuri e fruttati rispetto alla classicità della confinante MGA Francia».
L’aspetto è simile al Monprivato di Mascarello, ma con una tonalità leggermente più intensa. Il naso rivela frutti scuri, mora e mirtillo, seguiti da menta, alloro e note agrumate. Il fiore si manifesta più tardi, seguito da miele di castagno e fragola. L’assaggio è incisivo, decisamente tannico, già piacevolmente godibile e appagante. Sappiamo che necessita di tempo (anche per via dell’astringenza che frena, letteralmente, il sorso), ma non possiamo ignorare l’estrema bevibilità di questo Barolo in pieno divenire, dalla perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.
Barolo DOCG “Percristina” 2006 – Domenico Clerico
Il nome è un omaggio a Cristina, figlia di Domenico Clerico e di sua moglie Giuliana. Le uve provengono da una vigna del 1968, a circa 400 m s.l.m., su suoli sabbiosi (Marne di Sant’Agata Fossili), esposta a pieno sud nella MGA Mosconi, nel comune di Monforte d’Alba.
Prodotto soltanto nelle migliori annate, matura per 10 anni tra barrique, botte grande e vetro. «Dobbiamo aspettarcelo di grande struttura e pienezza, con un sorso inconfondibile, persistenza lunghissima ed eccezionali possibilità di evoluzione», dice Francesco Ferrari.
Che sappia sfidare il tempo lo si intuisce appena viene versato: il colore è di un impressionante mogano, fitto e scuro, dalla materia densa che, infatti, si percepisce già al naso. Sentori di cioccolato, caffè, menta, oliva, fiori appassiti e chinotto si susseguono. L’assaggio, concordiamo con Francesco Ferrari, ha una personalità netta, immediatamente riconoscibile rispetto al resto della batteria. Il tannino è gustoso e ha nerbo, il mix fresco-sapido sorprendente e di grande slancio. Senza dubbio, in bocca è più giovane rispetto agli accenni di terziarizzazione percepiti al naso. Intensità e persistenza da grande vino.
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