L’intelligente proposta di Calenda: dirottare due miliardi della fallita Transizione 5.0 a Industria 4.0. Ma quasi sicuramente non passerà

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“Dirottare” 2 miliardi dal fallito piano Transizione 5.0 a Industria 4.0, un programma che invece ha già dimostrato di funzionare. È la proposta di Azione, il partito guidato da Carlo Calenda, il “padre” di Industria 4.0 nel 2016, durante il governo Renzi quando il politico era ministro dello Sviluppo Economico. Transizione 5.0 – nata con l’obiettivo di favorire la transizione digitale ed ecologica delle industrie italiane – si è rivelato un flop a causa di eccessiva burocrazia, criteri di accesso complessi, ritardi nell’attuazione e scarsa chiarezza nelle regole.

Carta di credito con fido

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Nonostante una dotazione finanziaria di 6,23 miliardi di euro, molte aziende hanno rinunciato a richiedere gli incentivi per le difficoltà nel rispettare i requisiti richiesti e per la macchinosità delle procedure. Le imprese, invece, hanno risposto positivamente al Piano Industria 4.0, che nel tempo è evoluto in Transizione 4.0, dimostrando di essere uno strumento efficace per incentivare gli investimenti in beni strumentali (hardware e software), ricerca e sviluppo e formazione. Il problema è che il piano negli anni è stato ridimensionato: attualmente, si basa su crediti d’imposta per beni strumentali tecnologicamente avanzati, ma con aliquote ridotte rispetto al passato e con limitazioni più stringenti. Ora, entro la fine del 2025, sia Transizione 5.0 che Transizione 4.0 giungeranno al termine. Ora, per evitare di perdere i soldi del primo, inserito nel capitolo RepowerEu del Pnrr a fine 2023, Azione punta a rivitalizzare il secondo. Rilanciarlo sì, ma con importanti sviluppi.

Carlo Calenda è il leader del partito politico Azione, che ha contribuito a fondare nel 2019. Durante il governo Renzi, Calenda ha ricoperto la carica di Ministro dello Sviluppo Economico e ha promosso il concetto di Industria 4.0 in Italia nel 2016.

La proposta a noi sembra particolarmente azzeccata: sarebbe un bell’assist per le aziende manifatturiere e per i fornitori di tecnologie abilitanti. Un assist importante soprattutto in questo momento delicato di contrazione della manifattura e di bassa crescita. Ma difficilmente passerà. Perché viene da un esponente dell’opposizione (e approvarla gli darebbe un vantaggio enorme) e perché non è chiaro se la UE (da cui vengono i fondi Transizione 5.0) accetterebbe. Ad ogni modo, ogni tanto i miracoli accadono, e sperare non costa nulla. Vediamo ora i dettagli della proposta e il punto della situazione.
Il piano di Azione punta su incentivi più chiari, semplici e accessibili, a partire dall’introduzione di un’aliquota unica del 33% per il credito d’imposta, che eliminerebbe le attuali soglie e scaglioni per gli investimenti in beni strumentali, software, ricerca e formazione del personale. L’obiettivo è dare certezze alle imprese, permettendo loro di pianificare gli investimenti senza il timore di continui cambiamenti normativi o di lungaggini burocratiche. La proposta prevede poi di estendere la durata del nuovo piano al triennio 2025-2027, offrendo alle aziende un orizzonte temporale stabile per la programmazione degli investimenti.

Inoltre, la proposta prevede anche l’estensione dell’Ires premiale (al 20%) oltre il 2025, ampliando la gamma di investimenti che possono beneficiare di agevolazioni fiscali. Un passaggio cruciale per attrarre nuovi capitali e rendere il sistema produttivo italiano più competitivo nel lungo periodo.

Il fallimento del piano Transizione 5.0: troppa burocrazia, regole complesse e ritardi hanno bloccato gli investimenti, ora servono incentivi più semplici e accessibili per rilanciare l’industria italiana

Il consiglio dei Ministri ha approvato il decreto-legge Pnrr, che introduce il nuovo “Piano Transizione 5.0”, su proposta del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Quanto al citato piano Transizione 5.0, prevede rigorosi criteri di rendicontazione, in particolare per dimostrare il risparmio energetico generato dagli investimenti, ma questa rigidità ha reso il percorso lento e incerto, scoraggiando soprattutto le piccole e medie imprese, che spesso non dispongono delle risorse amministrative per affrontare iter così complessi. Un altro fattore critico è stata la mancanza di chiarezza sulle modalità di accesso agli incentivi. Le regole poco trasparenti e i continui cambiamenti normativi hanno generato incertezza tra le imprese, molte delle quali hanno preferito rimandare o annullare gli investimenti, temendo che i fondi non fossero realmente disponibili o che i tempi di approvazione fossero troppo lunghi. Inoltre, il ritardo nell’attuazione del piano ha contribuito al suo insuccesso: annunciato con grandi aspettative, è stato implementato con lentezza e senza una comunicazione efficace, lasciando le imprese senza informazioni precise su come accedere ai finanziamenti.

Infine, le risorse del piano sono state mal distribuite, con un’eccessiva attenzione agli aspetti energetici rispetto agli investimenti in tecnologie digitali, non rispondendo pienamente alle necessità del settore industriale.

Un nuovo piano Industria 4.0: più risorse, più semplicità, più efficacia

1) Un’aliquota unica del 33% per il credito d’imposta sugli investimenti in tecnologie avanzate, ricerca e formazione

Attualmente, il sistema di incentivi fiscali per gli investimenti industriali è troppo frammentato e poco chiaro, con scaglioni e limiti di spesa che variano a seconda della dimensione dell’impresa e della tipologia di investimento. Questo genera incertezza e rende difficile per le aziende pianificare con sicurezza i propri investimenti. Molte piccole e medie imprese, inoltre, faticano a interpretare le normative e, di conseguenza, rinunciano a presentare domanda per ottenere agevolazioni, lasciando inutilizzate importanti risorse pubbliche. Per superare questi problemi, Azione propone il citato credito d’imposta con aliquota unica del 33%, che eliminerebbe scaglioni e limiti di spesa, rendendo il sistema più semplice e accessibile a tutte le imprese, indipendentemente dal settore o dalla dimensione. Con un meccanismo chiaro e stabile, le aziende potrebbero pianificare i propri investimenti senza incertezze, evitando il rischio di doverli rimandare a causa di continui cambiamenti normativi. Inoltre, questa misura sarebbe particolarmente vantaggiosa per le Pmi, che spesso sono le più penalizzate da una burocrazia troppo complessa.

Nell’attuale piano Transizione 5.0, i beni acquistati, materiali e immateriali, devono essere interconnessi e abilitare un risparmio energetico minimo del 3% riferito all’impianto produttivo o del 5% sul singolo processo produttivo. Il credito d’imposta sale con l’aumento del risparmio energetico.

L’introduzione di un’aliquota unica non sarebbe solo una semplificazione amministrativa, ma una vera e propria spinta alla crescita del sistema produttivo, incentivando gli investimenti in digitalizzazione, automazione, ricerca e formazione del personale. Un quadro fiscale chiaro e stabile favorirebbe una maggiore modernizzazione dell’industria italiana, migliorando produttività ed efficienza, con ricadute positive anche in termini di occupazione qualificata e competitività internazionale.

2) Ripristino del credito d’imposta per i software e aggiornamento dell’elenco delle tecnologie ammissibili

Uno dei principali limiti dell’attuale sistema di incentivi è la scarsa attenzione riservata all’acquisto di software avanzati, strumenti ormai essenziali per la trasformazione digitale delle imprese. Mentre macchinari e impianti industriali sono spesso al centro delle agevolazioni fiscali, le soluzioni digitali, come intelligenza artificiale, analisi dei dati e automazione, sono rimaste in secondo piano, nonostante il loro ruolo cruciale nell’innovazione. Oggi, le aziende che vogliono restare competitive devono investire in tecnologie che migliorano l’efficienza, ottimizzano i processi e riducono i costi. Intelligenza artificiale, big data, realtà aumentata, blockchain e automazione intelligente sono ormai imprescindibili per la gestione delle attività industriali, dalla produzione alla logistica, fino alla manutenzione predittiva. Tuttavia, la mancata inclusione di queste tecnologie tra quelle agevolabili ha reso più difficile per le imprese italiane stare al passo con i competitor internazionali, che già beneficiano di incentivi più avanzati.

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Come si accennava, per colmare questa lacuna, Azione propone di ripristinare il credito d’imposta per i software e aggiornare l’elenco delle tecnologie ammissibili, includendo quelle più innovative e strategiche per la crescita delle imprese. Questo permetterebbe alle aziende di investire con maggiore sicurezza in strumenti digitali, sapendo di poter contare su un supporto fiscale chiaro e accessibile. Se adottata, questa misura favorirebbe una trasformazione culturale nel tessuto imprenditoriale italiano, spingendo le imprese a vedere la tecnologia non più come un costo, ma come un’opportunità strategica per la crescita e la competitività. In un mercato sempre più dominato dall’automazione e dalla gestione intelligente dei dati, restare indietro significherebbe compromettere il futuro dell’industria italiana proprio in una fase cruciale della sua evoluzione.

3) Rafforzamento della formazione 4.0 con il coinvolgimento dei Competence Center e dei Digital Innovation Hub

Marco Taisch è il presidente di Made Competence Center, il centro di competenza ad alta specializzazione istituito nel 2019 su iniziativa del Ministero dello Sviluppo Economico per promuovere l’innovazione digitale e il trasferimento tecnologico alle imprese italiane.

L’innovazione tecnologica non può prescindere da un adeguato investimento nella formazione del personale. Non basta acquistare macchinari o software all’avanguardia se i lavoratori non sono preparati a utilizzarli in modo efficace. La trasformazione digitale delle imprese richiede competenze specifiche, e per questo la formazione rappresenta un tassello fondamentale per il successo della transizione industriale. Attualmente, però, molte aziende incontrano difficoltà nell’accesso agli incentivi per la formazione 4.0, sia per la mancanza di un sistema chiaro di certificazione della qualità dei corsi, sia per le complicazioni burocratiche che rendono il percorso di richiesta troppo lungo e complesso. Questo porta spesso le imprese a rinunciare ai fondi disponibili, con il rischio che le nuove tecnologie rimangano inutilizzate o non sfruttate al massimo delle loro potenzialità.

Per risolvere questo problema, Azione propone di coinvolgere attivamente i Competence Center e i Digital Innovation Hub, enti specializzati nell’innovazione e nella digitalizzazione, che avrebbero il compito di certificare la qualità dei programmi formativi. Questo garantirebbe che gli incentivi vengano destinati solo a percorsi realmente utili alla crescita delle competenze aziendali, evitando il rischio di sprechi o investimenti inefficaci. Un sistema di formazione più solido e accessibile favorirebbe un miglior utilizzo degli incentivi fiscali, aiutando le imprese a preparare i propri lavoratori alle sfide della digitalizzazione. In un mercato in cui le competenze tecnologiche sono sempre più determinanti per la competitività delle aziende, investire in formazione diventa una necessità strategica. Ma per farlo servono strumenti chiari, efficienti e facilmente fruibili da tutte le imprese, senza le barriere burocratiche che oggi ne limitano l’efficacia.
Se attuata, questa riforma creerebbe un ecosistema formativo più moderno e strutturato, favorendo una forza lavoro più qualificata e pronta a sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie. In questo modo, l’industria italiana potrebbe finalmente colmare il divario rispetto ad altri Paesi, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale.

Ires premiale al 20%: un’opportunità per le imprese che reinvestono in innovazione e occupazione e che va estesa oltre il 2025

Per Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, tra le priorità c’è l’Ires premiale. Su Transizione 5.0, partita al rallentatore, «la migliore proposta avanzata fino a questo momento è quella di usare parte delle risorse destinate per rifinanziare Industria 4.0, che ha dimostrato di funzionare».

L’Ires premiale è una misura introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 per incentivare le imprese a reinvestire i propri utili in attività strategiche per la crescita, riducendo l’aliquota dell’Ires dal 24% al 20%. Tuttavia, per accedere a questa agevolazione, le aziende devono rispettare una serie di condizioni precise, che mirano a stimolare gli investimenti in innovazione, digitalizzazione e occupazione. Per beneficiare dell’aliquota ridotta, le imprese devono accantonare almeno l’80% degli utili dell’esercizio 2024 in una riserva specifica, impegnandosi a reinvestire almeno il 30% di questa somma – e comunque non meno del 24% degli utili del 2023 – nell’acquisto di beni strumentali nuovi. Questi beni devono rientrare nelle categorie previste dai piani Industria 4.0 o Transizione 5.0, ovvero tecnologie avanzate che migliorano la produttività e la sostenibilità aziendale. Gli investimenti devono essere effettuati tra il 1° gennaio 2025 e il 30 ottobre 2026 e devono riguardare strutture produttive situate in Italia.

Un altro requisito fondamentale riguarda l’occupazione: per accedere all’Ires premiale, l’impresa deve garantire che nel 2025 il numero di unità lavorative annue (Ula) sia almeno pari alla media del triennio 2022-2024. Inoltre, deve assumere almeno un nuovo lavoratore a tempo indeterminato, con un incremento minimo dell’1% rispetto all’organico del 2024. Queste condizioni mirano a far sì che il beneficio fiscale non serva solo a finanziare le imprese, ma abbia un impatto positivo anche sul mercato del lavoro. Un altro criterio di esclusione riguarda l’uso della Cassa Integrazione Guadagni (Cig): le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione nel 2024 o nel 2025 non potranno accedere alla riduzione dell’Ires. Inoltre, la misura non si applica alle imprese in liquidazione, sottoposte a procedure concorsuali di natura liquidatoria o che adottano regimi forfettari per il calcolo del reddito.



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