A un anno dall’entrata in vigore della modifica della Legge sulla Flora e Fauna Selvatica, conosciuta come “Legge Antiforestale”, la devastazione dell’Amazzonia causata dalla deforestazione continua ad aggravare il deterioramento dell’ecosistema e a favorire violazioni dei diritti dei popoli indigeni. In questo contesto, tre organizzazioni indigene attendono la decisione del Tribunale Costituzionale (TC) sulla richiesta di incostituzionalità della legge.
“Siamo di fronte a una grave minaccia alla nostra sopravvivenza. I nostri fratelli vengono uccisi, la monocoltura sta avanzando e i taglialegna illegali pure”, evidenzia Ketty Marcelo, presidente dell’Organizzazione Nazionale delle Donne Indigene Andine e Amazzoniche del Perù (ONAMIAP), presente alla prima udienza dello scorso novembre. “Le fonti d’acqua si stanno prosciugando e stiamo perdendo la biodiversità”.
La deforestazione è un fenomeno che minaccia i territori e i popoli indigeni, soprattutto in Amazzonia, già da prima della promulgazione della modifica della legge. Secondo i dati di Geobosques, la piattaforma di monitoraggio dei cambiamenti della copertura forestale dello Stato peruviano, tra il 2001 e il 2023 in Perù sono stati persi oltre 3 milioni di ettari di foreste, pari al 4,3% della copertura amazzonica del Paese. Agricoltura e allevamento hanno causato l’84% della deforestazione nell’intero bacino amazzonico nelle prime due decadi degli anni 2000, a seguito di un aumento dell’81% delle aree dedicate alle attività agricole, secondo il rapporto Deforestazione in Amazzonia al 2025, della Rete Amazzonica di Informazione Socioambientale Georeferenziata (RAISG).
Graciela Reategui, presidente della Federazione delle Comunità Native di Ucayali e Afluentes (FECONAU), descrive l’espansione agricola indiscriminata, principalmente da parte di esterni: “Le aziende coltivano prodotti come palma da olio, cacao e papaya. Molte di queste coltivazioni sorgono su terre che dovrebbero essere protette in quanto forestali. Nelle comunità native, invece, non coltiviamo palma da olio, ma piantiamo banane, manioca e altri prodotti più diversificati. Tuttavia, con l’avanzare delle monocolture, è più difficile coltivare i nostri prodotti e stiamo perdendo i nostri semi”.
Il rapporto “Parcelando la Amazonía” dell’Environmental Investigation Agency conferma quanto affermato da Reategui. Tra il 2015 e il 2018, l’88,5% dei 6.140 titoli di proprietà rurale concessi nella regione amazzonica di Ucayali non è stato accompagnato da studi di classificazione delle terre. Tra questi casi, figurano titoli concessi a grandi aziende agricole che hanno deforestato quei territori, che “avrebbero potuto essere conservati se le richieste di titolazione fossero state adeguatamente valutate e fossero stati realizzati studi di classificazione delle terre”.
Gli esperti segnalano che la “Legge Antiforestale” rappresenta un pericolo per la conservazione dell’Amazzonia dal punto di vista ambientale. Essa stabilisce che i terreni privati in cui si svolgono attività agropecuarie che non abbiano massa boschiva (molti dei quali sono stati deforestati) siano considerati “aree di esclusione per fini agropecuari”, una nuova categoria creata da questa legge. Appartenendo a questa categoria, i proprietari sono esentati dall’obbligo di effettuare la classificazione delle terre in base alla loro capacità d’uso maggiore, così come dal richiedere l’autorizzazione per il cambio d’uso del suolo all’autorità forestale competente. Il cambio d’uso è un processo amministrativo che concede il permesso di sviluppare attività agricole.
La classificazione delle terre in base alla capacità d’uso maggiore, invece, è uno strumento chiave che assegna a ciascuna unità di suolo l’uso e la gestione adeguata. Il suo obiettivo è garantire lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, come stabilito dall’articolo 67 della Costituzione Politica del Perù.
Organizzazioni indigene ed esperti avvertono che questa modifica alla Legge potrebbe, in pratica, legalizzare numerosi crimini di deforestazione illegale e lo sfruttamento illecito delle terre per scopi agricoli. A tal proposito, Adán Cassia, specialista dell’Istituto di Difesa Legale (IDL), che segue la causa di incostituzionalità, dichiara: «Il fatto che lo Stato favorisca gli invasori significa che sta permettendo il furto di risorse naturali. Entrano e rubano le risorse della terra che appartiene a tutti e tutte. E la modifica promuove tali illeciti».
Un altro punto della nuova Legge che desta preoccupazione per il suo impatto sulle foreste amazzoniche riguarda l’attribuzione al Ministero dello Sviluppo Agrario e dell’Irrigazione (MIDAGRI) della prerogativa di approvare la zonizzazione forestale, così come di stabilire le foreste di produzione permanente di categoria I e II, competenze che prima appartenevano al Ministero dell’Ambiente (MINAM). La zonizzazione forestale rappresenta il processo di delimitazione delle terre forestali, stabilendo se un territorio debba essere soggetto a un regime di protezione e conservazione, recupero, trattamento speciale o produzione.
«La zonizzazione forestale era uno strumento di governance ambientale, che distingueva le zone con una certa attitudine forestale, che devono essere protette dallo Stato, da quelle agricole”, commenta Cassia. “Ciò che la Legge promuoveva prima della modifica era una visione che consisteva nel conservare le foreste, non nel deforestarle. Il passaggio di ente regolatore dal MINAM al MIDAGRI significa che lo Stato smetterà di essere protettore delle foreste e permetterà la deforestazione per poter seminare e produrre in agricoltura».
La sentenza del Tribunale Costituzionale assume urgenza, perché rappresenta l’ultima istanza legale a cui si può ricorrere in Perù.
Conclude l’esperto: «La possibilità successiva, che è eccezionale, è portare il caso davanti a istanze internazionali come la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), ma in questo caso il processo potrebbe durare fino a vent’anni».
Da parte sua, Rocío Trujillo, avvocata dell’Associazione Interetnica di Sviluppo della Selva Peruviana (AIDESEP), sostiene che la Legge N° 31973, sin dalla sua elaborazione e approvazione, ha violato i diritti dei popoli indigeni. Secondo l’avvocata, la legge non ha rispettato l’obbligo di svolgere il processo di Consultazione Previa Libera e Informata (CPLI), come stabilito dalla Convenzione 169 dell’OIL. “Ad oggi non è stato implementato il processo di consultazione per le misure legislative che incidono direttamente o indirettamente sui diritti dei popoli indigeni. Né il Congresso né le commissioni coinvolte nella legge hanno notificato AIDESEP o altre organizzazioni indigene. Sappiamo che il contenuto della Legge Antiforestale è lesivo, ma non servirebbe nemmeno analizzarlo, perché, a livello formale, dato che non è stata consultata, questa legge dovrebbe essere annullata”, ha detto al Centro Amazzonico di Antropologia e Applicazione Pratica (CAAAP).
Nonostante il disinteresse dello Stato nel collaborare con i popoli amazzonici, organizzazioni come AIDESEP hanno tentato di fermare la promulgazione della legge. “Le organizzazioni hanno inviato lettere alle commissioni e hanno incontrato il presidente del Congresso, esponendo direttamente i motivi per cui questa legge minaccia i diritti dei popoli indigeni e favorisce la deforestazione e la distruzione delle foreste”, riferisce Trujillo. “Tuttavia, questi sforzi sono stati vani”.
In un contesto scoraggiante, i popoli indigeni continuano a difendere i loro territori e le loro vite, mentre attendono la decisione del Tribunale.
«Noi siamo coloro che davvero si prendono cura delle foreste e che sanno davvero quali sono le conseguenze della deforestazione e i problemi che porta nel nostro territorio”, sottolinea la leader Graciela Reategui. “Continueremo a lottare ogni giorno contro la deforestazione».
Francesca Campanini,
civilista con Progettomondo in Perù
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