Tra tradizione e innovazione, il futuro del vino italiano: ne parliamo con Sandro Sartor – Unione Provinciale Agricoltori di Siena

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


Il Presidente ed Amministratore delegato di Ruffino racconta l’evoluzione del settore vitivinicolo: qualità, sostenibilità e nuove sfide globali

Dal sogno alla realtà. Da quel lontano 1877 molte cose sono successe, ma l’intento crediamo sia rimasto immutato. Tenimenti Ruffino, imperterrita continua a produrre idee di qualità, sostenibilità con attenzione al territorio e alle comunità, insomma l’esempio di “buon governo” e non solo. Certamente i vini! Le premesse palesano in modo rispettoso e cristallino l’evidenza dei fatti. Qualità e rispetto da condividere in azienda, con i consumatori e non solo. La testimonianza nel fare. Fatta la premessa, chiediamo direttamente al Dottor Sandro Sartor, Presidente ed Amministratore delegato di Ruffino se ho colto nel segno. Benvenuto, davvero lieti di condividere qualche ragionamento del viver quotidiano.

Volubilità, tendenze, influenze con un crescente impatto mediatico. Le aziende riescono a soddisfare le esigenze dei consumatori? 

La domanda è molto interessante. Proviamo a riflettere su come lo scenario sia cambiato radicalmente in poco più di 20 anni. La stragrande maggioranza delle aziende vitivinicole produceva per il mercato domestico e prevalentemente per quello della propria regione. Senza nemmeno domandarsi a quale segmento di consumatore finale il proprio prodotto fosse destinato. Cercava di fare del suo meglio e di trarre un ricavo che coprisse i costi e semmai lasciasse qualcosa in tasca per migliorare la sua azienda. Oggi moltissime aziende italiane del vino esportano una fetta consistente della propria produzione e nel fare questo si confrontano con un set competitivo che è costituito dall’insieme dei produttori mondiali di vino. Inoltre, si rivolgono ad un consumatore che non solo è globale (e quindi con esigenze diverse e culture di consumo profondamente diverse) ma che è segmentato per classi di età (baby boomer, millenials, generazione X, etc) che hanno un approccio ai consumi molto diversi tra di loro e quindi aspettative ed esigenze diverse. Diversissime se poi aggiungiamo la Gen Z ultima arrivata nel parterre dei consumatori. Quindi vengo alla domanda. Le aziende riescono a soddisfare le esigenze dei consumatori?  Quelle che sono nei mercati globali da tanti anni e magari hanno costruito la loro fama proprio per essere state da sempre molto proiettate all’export e molto attente alle dinamiche globali come per esempio la Ruffino (primo Chianti in USA ancora alla fine del 1800) penso di sì. Ma quante aziende sono veramente consapevoli di quello che accade nel mondo. Prendiamo ad esempio la recentissima diatriba e contrapposizione tra dealcolato si / dealcolato no.  Innanzitutto, si è fatta questa discussione quando a Bruxelles il vino dealcolato era stato già approvato da oltre due anni. Quindi senza che i contrari al dealcolato nemmeno sapessero che erano in forte ritardo a sollevare questi dubbi e contrarietà. Dovevano far sentire la loro voce al momento giusto nel posto giusto. Invece non mi pare che fossero lì in quel momento a sostenere le loro tesi. E poi mettersi oggi in contrasto al vino dealcolato (parziale o totale) è una posizione antistorica. Innanzitutto perché il mercato lo richiede. In modo crescente e quasi ovunque. Ma soprattutto perché avremmo lasciato questo mercato a soggetti terzi estranei al mondo del vino che avrebbero potuto (come già facevano per la verità) fare dei prodotti definiti “bevande aromatiche a base succo di uva”. Senza scrivere VINO per nulla ovviamente. Ma mettendoli in bottiglie formato 75cl con un abbigliaggio in tutto e per tutto simile al vino. Volevamo veramente lasciare ad altri questo mercato? E poi magari continuare ad invocare sussidi pubblici per la distillazione del vino in eccesso? Gli Spagnoli, i Tedeschi e Francesi sono saltati sul carro. Noi ci abbiamo pensato due anni e quasi quasi avremmo voluto bruciarlo…Ecco, un esempio in cui mi permetto di dire che No. Non tutte le aziende sono capaci di capire le esigenze dei consumatori.       

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Cosa prevale o dovrebbe prevalere fra tradizione nel fare e soddisfazione dei mercati?

Credo che serva sicuramente non tradire il consumatore quando si parla di qualità del prodotto. In ogni caso dobbiamo offrire al nostro consumatore un prodotto di qualità ed una tracciabilità dello stesso che assicuri trasparenza e chiarezza. Inoltre, dobbiamo restare fedeli ai nostri territori ed a quello che ci hanno dato. Abbiamo delle DOC / DOCG strepitose che hanno reso famoso il vino italiano in tutto il mondo e che devono continuare a restare espressione del loro territorio e della loro storia. Continueranno in futuro a rappresentarci e dovranno continuare a restare un punto di distintività tra le altre varie eccellenze mondiali (Borgogna, Bordeaux Champagne, Napa Valley, Mosella, etc etc). Queste non vanno compromesse. Mai. Ma non solo per tradizione o rispetto di chi ci ha preceduto, ma perché è proprio il mercato a chiederci, tra le altre cose, anche prodotti autentici e con una forte identità territoriale. 

Tutto cambia. Dobbiamo adeguarci con attenzione e rispetto del passato e con occhio attento al presente. L’EU in tutto questo?

Un ruolo fondamentale per diversi aspetti. Innanzitutto, per la armonizzazione del mercato domestico. Abbiamo la fortuna di poter operare in Europa come se fosse un unico mercato unico domestico (forse ci siamo già dimenticati di quando i camion si fermavano giorni in frontiera a Ventimiglia per esportare la merce in Francia…?). Ma serve che le normative (etichettatura per esempio, ma anche smaltimento o definizione di biologico, sostenibile e altro ancora) siano armonizzate. Se debbo fare etichette diverse per ciascun mercato europeo allora non è più un mercato unico. Non faccio dogana ma poco ci manca. Ecco, mi pare che ci stiamo dimenticando questo punto. Ogni paese si alza alla mattina ed introduce delle richieste di etichettatura locali e specifiche. Una follia.  Poi anche un ruolo di ausilio per aprire i mercati internazionali. L’OCM promozione è stato senza dubbio uno strumento fondamentale. Ma non può essere visto come un aiuto una tantum. Deve assolutamente continuare ad esistere per continuare il suo effetto. Ma anche per l’abbattimento delle barriere non tariffarie. CI sono paesi in cui sono vietati alcuni coadiuvanti normalmente in uso nel vino ed accettati anche dal Codex Alimentarius. Sono vincoli e divieti chiaramente imposti per essere ostacolo e strumenti di protezionismo subdolo. La EU deve cercare di rimuoverli. Con diplomazia ma va fatto. Comunque la UE ha proprio adesso modo di dare prova di cosa saprà fare. Vediamo come sapremo gestire le richieste e le minacce di Trump!   

Dealcolato? “Non ti curar di loro ma guarda e passa”? 

Ho già parlato di questo argomento e mi sono esposto su come la penso. Non è obbligatorio produrli. Se qualcuno è contrario potrà certamente rifiutarsi di produrli ed anche di berli. Ma non è e non può essere una guerra ideologica. Non stiamo parlando se siamo a favore o contrari all’aborto. Stiamo dicendo che se un consumatore chiede un vino dealcolato allora ha diritto di averlo. Se in Italia nessuno lo volesse produrre, certamente ESSELUNGA (cito un nome a caso) andrà in Spagna a comperarlo e lo potrà vendere come Vino Dealcolato. Con buona pace di tutti i detrattori italiani. Perché la normativa Europea consente ad ogni produttore Europeo di vendere in Europa quei prodotti e di chiamarli Vini Dealcolati. Stop. Non si potrebbe vietare la vendita in Italia. La produzione si. Si sarebbe potuta vietare. Per fortuna alla fine si è fatto diversamente. Poi guardi, le dico in confidenza, che se in occasione di un pranzo in cui mi trovassi nella impossibilità di bere del vino per dovere affrontare un viaggio in auto impegnativo subito dopo e, davanti ad uno spaghetto allo scoglio, dovessi scegliere tra bere acqua ed un buon Sauvignon Blanc dealcolato le confesso che preferirei il secondo. Per me, è sicuramente molto ma molto meglio dell’acqua.    

Certificazioni. Un modo e metodo per misurare le buone intenzioni nei fatti e nel tempo. Quale leva vi ha convinto?

Guardi, si tratta di adottare un metodo. Impararlo in primis e quindi di adottarlo. Quando ti prefiggi di arrivare ad un risultato qualitativo, in generale, devi darti un metodo di lavoro ed un metodo di misurazione. Dalla misurazione del gap iniziale, a quella dei progressi che stai facendo e di quando potrai dire di avere raggiunto l’obiettivo. La certificazione ti fornisce il metodo di lavoro. Una disciplina. È questo, credo, la cosa più importante della certificazione. Più e prima ancora del fatto di mostrare alla fine il pezzo di carta ottenuto.   

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

La salvaguardia del territorio. Facile a dirsi, ma nei fatti rimane ardua impresa. Un suggerimento?

Sembrerà forse retorico ma credo che dobbiamo ricordarci di essere custodi del nostro territorio. Anche se fosse un periodo molto lungo restiamo sempre custodi non in eterno dello stesso. Questo territorio, che ci sta fornendo il sostentamento oggi, lo ha fatto in passato ai nostri avi e dovrà continuare, auspicabilmente, a farlo in futuro. Ecco, la domanda che dobbiamo sempre porci è: ma quello che stiamo facendo oggi, danneggia la vita ed il lavoro dei nostri successori in futuro o restiamo al minimo neutrali sulla capacità del territorio di restare una fonte di reddito e sostentamento per il futuro?

Collaboratori e dipendenti determinante nel successo. Condividere amplifica i risultati e circoscrive i momenti no.  Welfare docet?

Noi siamo un’azienda tutta di soli dipendenti. Io sono un dipendente e ricevo mensilmente un cedolino. Quindi sfonda una porta aperta. Il successo di un’azienda è la risultante della somma dei successi di tante persone. Più le persone sono messe in condizione di avere successo (sul presupposto che si viaggi tutti nella stessa direzione, con ruoli diversi, ma nella stessa direzione) e maggiore sarà il successo aziendale. Non è mecenatismo o buonismo. È interesse aziendale puro!

La politica viticola abbisogna di cosa? Ci sono realtà produttive che hanno esigenze di impiantare, altre che pensano alla distillazione. Forse serve un riposizionamento?

Dobbiamo partire dalla strategia aziendale e dal mercato. E quindi chiederci quale sia in tutto questo il ruolo della realtà viticola e verso dove questa debba, semmai, evolvere. Talvolta invece si fa al contrario ovvero si coltiva quello che ci piace coltivare e poi si tenta di venderlo in qualche modo. Così facendo, prima o poi, si va a sbattere. Il mercato ci chiede qualità e non quantità. Dobbiamo prenderne atto. Ma il mercato globale richiede anche aziende forti che abbiano delle economie di scala. In qualche modo ed in qualche misura. Quindi dobbiamo toglierci dalla testa che piccolo sia bello. Piccolo potrebbe anche sembrare bello ma in realtà è anche molto difficile, molto faticoso e spesso anche pericoloso. Credo che dovremo pensare a delle forme di consolidamento che consentano ai players di presentarsi sul mercato insieme.    

Una pillola su l’International WIM Day?

Prestito personale

Delibera veloce

 

Grazie della domanda. Un tema che mi appassiona molto. In questi ultimi anni (e temo anche nel prossimo e immediato futuro) sentiremo spesso parlare di Alcol e Salute. Sul fatto che esista o meno un livello di consumo senza rischi per la salute. Se ancora esiste la differenza tra consumo e abuso oppure se tutto il consumo sia sempre un male per la salute e quindi una forma di “trasgressione”. La scienza, anche se è in parte divisa, continua per la maggior parte di essa a riconoscere che un livello di consumo moderato sia ben compatibile con una vita equilibrata ed in salute. Fino a quando la scienza continua a ritenere quindi che esiste un livello di consumo salubre e che solo oltre un certo confine ha inizio il livello di consumo dannoso alla salute, noi dobbiamo stare dalla parte giusta della storia. Noi dobbiamo educare il nostro consumatore a restare al di qua di quel confine. Mi scusi, ma la cultura del vino chi è che la crea? Chi è il responsabile della formazione di una cultura del Vino. Siamo tutti noi che lavoriamo nel vino o è qualcun altro? Se non noi che lavoriamo tutti i giorni a contatto con i consumatori (produttori, enoturismo, enologi, sommelier, ristoratori, pubblicisti del settore) chi altro dovrebbe costruire una cultura del Vino? Ma allora dobbiamo lavorare tutti insieme per costruire una cultura giusta. Una cultura che sia socialmente sostenibile. Necessariamente quindi, una cultura di moderazione e responsabilità. L’unica che possa essere sostenibile. Per la società nel suo insieme e quindi anche per l’economia delle nostre aziende. Il WIM Day ci ricorda questo. A tutti.      

Preziosi momenti di condivisione. Grazie per la disponibilità.

Il Direttore,

Gianluca Cavicchioli





Source link

Prestito personale

Delibera veloce

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link