Nuovo Giornale Nazionale – USAID: TRUMP TOGLIE IL COPERCHIO ALLA RIVOLUZIONE NEOCON, WOKE E GREEN

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di Lucio Leante

Donald Trump ed Elon Musk, sbaragliando USAID (l’“Agenzia per lo sviluppo internazionale” del Dipartimento di Stato non stanno soltanto facendo pulizia – una spending review, con tagli agli sprechi e moralizzazione della spesa pubblica americana- come raccontano – per ingenuità o reticenza- molti giornali italiani. No. Con buona pace per i suoi 10 mila dipendenti (con cui non si può che solidarizzare), lo svuotamento dell’USAID scoperchia un pentolone maleodorante ed è una decisione strategica che segnala un cambiamento radicale nella politica interna ed estera americana. In particolare è una battuta di arresto per l’intera rivoluzione neocon, woke e verde promossa da 30 anni dalla sinistra del Partito democratico americano e sulla sua scia dai partiti di sinistra europei.

La USAID infatti, nata nel 1961 con finalità di contenimento della espansione e della propaganda sovietica nel mondo, ha negli ultimi 20 anni diffuso nel mondo le ideologie woke, LGBTQ e verdi in sincronia e sinergia con la linea rivoluzionaria della sinistra del Partito democratico americano. In nome dello sviluppo della democrazia negli Usa e nel mondo intero – a quanto risulta da documenti- ha finanziato oltre 6000 giornalisti e circa 700 mass media incoraggiandoli alla censura delle opinioni e dei giornalisti dissenzienti e alla autocensura (USAID invitava apertamente ad uno “strategic silence” sulle storie scomode e politicamente scorrette!). Essa ha operato cioè contro la libertà di pensiero e di opinione garantita dalla Costituzione americana (e da quelle europee).

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(C’è da chiedersi quali testate e quali giornalisti italiani siano scesi a compromessi e abbiano ricevuto soldi o benefici da USAID. Forse un giorno ne sapremo qualcosa di più. Temiamo il peggio anche per grandi testate e molto reputate “grandi firme”. Vedremo).  

Parallelamente negli ultimi tre decenni, sotto l’insegna della diffusione pacifica del “credo democratico”, USAID ha finanziato ed accompagnato decisivamente, grazie alla sua dotazione di circa 40-50 miliardi di dollari l’anno, le operazioni americane di destabilizzazione (“regime change”) e di “esportazione della democrazia” (come gli interventi militari in Serbia e in Libia, le rivoluzioni colorate in alcuni paesi post-sovietici e le cosiddette “primavere arabe”). In sostanza attraverso istituzioni come Endowment for Democracy, National Democratic Institution (a lungo diretta da Madelaine Albright) e International Republican Institute (capeggiata a lungo dal senatore repubblicano McCaine), Freedom House (collegata – si dice- con la CIA) o anche attraverso la Open Society Foundation di George Soros) ha creato in vari paesi del mondo un sottobosco di Ong, centri studi, gruppi “anti-corruzione”, gruppi di difesa dei diritti di minoranze svantaggiate, gruppi di controllo delle operazioni elettorali.
Questi gruppi, spesso controllati e coordinati da diplomatici e agenti americani, hanno agito come forze di opposizione ai governi locali eletti che, quando entravano in conflitto con l’amministrazione USA, venivano ufficialmente stigmatizzati come “autocratici” e “tirannici” ed entravano nel suo mirino soprattutto perché ostacolavano i sui disegni. Di solito alla scadenza elettorale quella miriade di gruppi veniva mobilitata contro il tiranno ed il suo regime “corrotto”. Quindi si scopriva che le elezioni erano state viziate da brogli e irregolarità. E la folla occupava la piazzza della capitale. La gran cassa mediatica mondiale sanciva quindi la divisione della popolazione in un campo del Bene ed uno del Male. Il tiranno corrotto, magari eletto regolarmente, era invitato a lasciare il campo a furor di piazza e di popolo (in realtà una minoranza attiva, chiassosa, e forse foraggiata). E se ne doveva andare tra i fischi della folla. Seguivano nuove elezioni che segnavano la vittoria della democrazia e dei virtuosi democratici, salvo poi accorgersi tutti dopo pochi mesi che i democratici non erano poi molto diversi dal tiranno scacciato e, spesso di molto peggiori.
Uno scenario simile si è verificato innanzitutto in Serbia nel 2000 che segnò la fine politica di Slobodan Milosevic, poi in Georgia con la “rivoluzione delle rose” del 2003 culminata con la estromissione di Edvard Shevardnadze, poi in Kirghizistan con la “rivoluzione dei tulipani” nel 2005 poi in Ucraina con la rivoluzione arancione del 2004 e infine con l’Euromaidan del 2014, con i seguiti che conosciamo.

Sono falliti invece i tentativi di rivoluzione colorata in Azerbaigian nel 2005, in Bielorussia nel periodo tra il 2004 e il 2006 e in Mongolia nel 2005. Un tentativo analogo sembra essere in corso in Romania.

Sbaragliando USAID probabilmente Trump ha voluto lanciare anche un messaggio nel senso che di “rivoluzioni colorate” non ne dovrebbero avvenire più. Si tratta forse anche di un messaggio rassicurante per Vladimir Putin?      

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