Tradizione, qualità, identità sono i termini per niente amati dal neoliberismo delle banche e delle multinazionali, che. ogni giorno, lavorano per cancellarli perché rallentano, quando non bloccano, i loro programmi, le loro azioni che puntano tutto sulla quantità. La tradizione che si scontra con l’innovazione rappresentata dall’intelligenza artificiale; la qualità con la quantità; l’identità con la mancanza di ogni rapporto con il territorio, che della qualità è l’origine. Elemento fondamentale questo bene, un tempo comune, quando si parla di agricoltura e sostenibilità, ossia di cibo e di alimentazione. Termini di grande attualità che coinvolgono oltre 7,5 miliardi di consumatori, l’intero pianeta e, come tali, fondamentali per dare: al passato la continuità del presente e al presente quella del domani, permettendo al tempo di camminare con i suoi passi; ai luoghi, soprattutto quelli abbandonati, la possibilità di rinascita per tornare ad esprimere la propria identità e, insieme, qualità e diversità proprie delle nostre eccellenze Dop e Igp e, non solo, anche degli oltre 5mila prodotti tradizionali o tipici riconosciuti in Italia.
I luoghi, con i loro spiriti (genius loci), che, da qualche decennio, si sono solo addormentati per colpa della globalizzazione espressa da un sistema, il neoliberismo, che, nei suoi cinquant’anni di vita poco più, ha già mostrato di avere un solo obiettivo, quello di distruggere e depredare le risorse messe a disposizione dalla terra. Un attacco costante e sempre più violento alla natura. Spiriti, si diceva, addormentati da un tipo di sviluppo, ma sempre pronti a dare tutto il loro contributo nel momento in cui si decide di mettere in gioco il “glocale” e renderlo protagonista di un confronto con il “globale”. Protagonista con i suoni e i canti della natura e della sua biodiversità, essenziale, quest’ultima, per non ridurre la musica a una sola nota; l’arcobaleno a un solo colore, cancellando, così, la bellezza, a partire da quella espressa dai paesaggi e dagli orizzonti. Diversità per non trasformare una comunità di persone in una comunità di manichini e il cibo in un panino del fast food o in un pezzo di carne elaborato in laboratorio da un’intelligenza, non a caso artificiale, visto che non sa cosa sono i battiti del cuore e, meno che mai, le emozioni espresse dall’anima propria di ogni essere vivente.
Il glocale della qualità e della diversità che si misura con il globale della quantità e uniformità, come dire Davide contro Golia, abilità e intelligenza contro forza e malvagità. Il coltivatore che si avvale di minuti strumenti per curare il campo e il trattore gigante che utilizza strumenti possenti per violentare il suolo e privarlo via via della fertilità, cioè della possibilità di produrre energia pulita, la sola vitale, il cibo. Torna in mente, pensando a come tratta il suolo il neoliberismo, la figura di Mida, il re della Frigia, che, grazie a Dioniso, trasformava in oro tutto quello che toccava, anche il cibo da mangiare e l’acqua da bere. C’è da sperare, con Giambattista Vico, nei “corsi e ricorsi storici”per agire e credere nella Rinascita che pone fine ai processi di depredazione e distruzione propri del sistema, il neoliberismo del dio denaro. Si continua a distruggere suolo con ogni mezzo per trasformarlo in oro e tutto questo grazie ai governi succubi delle scelte neoliberiste. Grazie anche a quanti – il riferimento è al nostro Paese dove ogni secondo che passa sono due i metri quadri di suolo, pari a una ventina di ettari al giorno, che si perdono e definitivamente – si vantano, quali protagonisti del mondo agricolo e alimentare, dei successi di questo fondamentale settore dell’economia italiana e non spendono mai una parola a difesa del territorio. Un silenzio che dura dal 2012, quando, con la caduta del governo Monti, non è stato approvato il disegno di legge sul contenimento del consumo del tesoro dei luoghi, bene comune, il territorio, proposto dall’allora Ministro Catania. Il Ministro che si oppose, senza successo, alla proposta della commissione europea di una distribuzione degli aiuti comunitari agli agricoltori in base alla superficie agricola dei paesi membri. Una scelta che ha stravolto la realtà della nostra agricoltura con l’abbandono, non solo in Italia ma in Europa, delle piccole e medie aziende e lo sviluppo dell’agricoltura industrializzata, responsabile di quel 50% dei suoli europei a rischio di aridità. In questi 13 anni nessuno ha avuto l’ardire di sostenere la riproposizione del ddl Catania e la conseguenza è quella di dovere assistere a uno spreco di migliaia di ettari ogni anno di territorio. Uno spreco del bene comune rappresentativo del glocale che, con i suoi valori e le sue risorse (Storia, cultura, ambiente, paesaggio, agricoltura, tradizioni) è il solo tesoro nelle mani di una comunità. Uno spreco di attività e di professionalità, di cibo e, nel contempo, uno scempio di ambiente e paesaggio, cioè dei valori che rendono l’Italia un paese unico al mondo per bontà e bellezza.
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