In particolare:
Occorrono, tuttavia, valutazioni anche in ordine all’oggetto e alla finalità del quesito.
Nella giurisprudenza costituzionale, infatti, è stato precisato che il quesito deve essere chiaro e univoco quanto al suo oggetto (sentenza n. 49 del 2022). E, inoltre, che chiarezza e univocità sono «desumibili dalla finalità incorporata nel quesito, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione e all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (sentenza n. 59 del 2022; nello stesso senso sentenze n. 28 del 2017, n. 17 del 2016 e n. 24 del 2011). Tutto ciò per garantire la libera e consapevole espressione del voto da parte dell’elettore, al fine di assicurare il rispetto degli artt. 1 e 48 Cost.
10.– Il quesito in esame si dimostra – sotto il profilo sostanziale – privo di chiarezza quanto al suo oggetto, che, come più volte sottolineato, riguarda l’abrogazione della legge n. 86 del 2024, quale risultante a seguito della sentenza n. 192 del 2024.
10.1.– Questa sentenza, innanzitutto, ha stabilito che l’attribuzione di ulteriore autonomia alle regioni debba riguardare «specifiche funzioni» e non «materie o ambiti di materie» e che la richiesta di funzioni debba essere adeguatamente motivata dalle regioni.
Il fondamento di tale decisione relativa all’oggetto della devoluzione risiede soprattutto nell’interpretazione sistematica dell’art. 116, terzo comma, Cost., letto alla luce del principio di sussidiarietà. Questa Corte, in particolare, ha stabilito che «l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà».
10.2.– La sentenza n. 192 del 2024 ha poi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di gran parte dell’art. 3 della legge n. 86 del 2024, che disciplina l’individuazione dei LEP, censurando sia la delega legislativa per la determinazione dei LEP sulla base di “nuovi” criteri non specificati, sia i criteri vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia quelli previsti dalla precedente legge n. 197 del 2022. Per effetto di tale duplice dichiarazione di illegittimità costituzionale non c’è modo, attualmente, di individuare i LEP di cui alla suddetta legge n. 86 del 2024: i “nuovi” criteri non ci sono e quelli vigenti non hanno più efficacia.
Altrimenti detto, la richiamata sentenza n. 192 del 2024 – avendo dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dei commi dell’indicato art. 3 che riguardavano l’individuazione, futura e a regime, dei LEP, sia del comma che faceva salva transitoriamente l’individuazione dei LEP secondo i criteri e il procedimento di cui alla legge n. 197 del 2022 – comporta che allo stato non è possibile individuare i “nuovi” LEP e che il “vecchio” criterio di determinazione dei LEP non è più applicabile.
Residuano – è vero – le materie “no-LEP”. Ma in realtà anche queste sono incise dall’interpretazione fornita dalla sentenza n. 192 del 2024, là dove ha affermato che «[a]lla luce delle considerazioni sopra esposte, cioè della necessità di determinare il relativo LEP (e costo standard) qualora si trasferisca una funzione attinente ad un diritto civile o sociale, l’art. 3, comma 3, va interpretato in senso conforme a Costituzione: nel momento in cui il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Se, invece, lo Stato intende accogliere una richiesta regionale relativa a una funzione rientrante in una materia ‘‘no-LEP” e incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del relativo LEP (e costo standard) ».
Questa Corte ha inoltre rilevato «che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento». Tra queste materie non trasferibili ve ne sono anche due “no-LEP”: il «commercio con l’estero» e le «professioni».
Rimane unicamente la possibilità di trasferire specifiche funzioni concernenti alcune materie “no-LEP”, a condizione che esse non incidano su un diritto civile o sociale e che l’iniziativa regionale sia «giustificata alla luce del principio di sussidiarietà».
In definitiva, la sentenza n. 192 del 2024 ha eliminato gran parte del disposto normativo di cui alla legge n. 86 del 2024, incisa nella sua architettura essenziale, lasciando in vita un contenuto minimo.
Tale contenuto è di difficile individuazione e ciò si riflette sulla comprensibilità del quesito da parte del corpo elettorale, oltreché sul fine ultimo, o ratio, della stessa richiesta referendaria.
Questa Corte ha sempre sottolineato che occorre considerare non la finalità soggettiva dei promotori, bensì quella obiettiva della richiesta referendaria (da ultimo, sentenze n. 59 e n. 51 del 2022).
Al riguardo, è necessario ripartire da ciò che è divenuto l’oggetto del quesito, che concerne la legge n. 86 del 2024, come risultante dalla sentenza n. 192 del 2024. Quel che resta della legge dopo questa pronuncia – lo si è detto – è obiettivamente oscuro per l’elettore.
Dall’oscurità dell’oggetto del quesito deriva un’insuperabile incertezza sulla stessa finalità obiettiva del referendum. Con il rischio che esso si risolva in altro: nel far esercitare un’opzione popolare non già su una legge ordinaria modificata da una sentenza di questa Corte, ma a favore o contro il regionalismo differenziato. La consultazione referendaria verrebbe ad avere una portata che trascende quel che i Costituenti ritennero fondamentale, cioè l’uso corretto – e ragionevole – di questo importante strumento di democrazia. Deve infatti evitarsi che il referendum abrogativo si trasformi «in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie» (sentenza n. 16 del 1978, richiamata anche dalla sentenza n. 56 del 2022).
Se si ammettesse la richiesta in esame, si avrebbe una radicale polarizzazione identitaria sull’autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, Cost., che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo di revisione costituzionale.
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