Al lavoro con l’algoritmo | UniTrentoMag

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 


Studiare il mondo del lavoro, utilizzando gli strumenti della filosofia, della storia e della letteratura per un’analisi che aiuti non solo a comprendere i cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli, ma anche a immaginare strategie di miglioramento. Soprattutto adesso che la tecnologia è diventata più pervasiva e ha imposto nuove pratiche lavorative. Ne parliamo con Tiziana Faitini, ricercatrice di Filosofia politica al Dipartimento di Lettere e Filosofia, e Valeria Vignocchi, studentessa del primo anno di laurea magistrale in Filosofia e linguaggi della modernità. L’occasione è la Winter school “Philosophy of Work and Philosophy of Leisure in the Italian Traditions” promossa dal Dipartimento di Lettere e Filosofia di UniTrento, organizzata in collaborazione con l’École Normale Supérieure di Lione e l’università belga KU Leuven.

Immaginate la scena del film “Tempi moderni” del 1936 in cui un impacciato Charlie Chaplin si muove tra gli ingranaggi di enormi macchinari, rischiando di venirne travolto. Ora immaginate la stessa scena ma proiettata all’oggi, in una catena di montaggio di una fabbrica o di una grande azienda che distribuisce merce. Nel secondo caso, a dominare la scenografia sarebbero computer, lettori di codici a barre, monitor, algoritmi e scanner. La frenesia e forse anche il senso di estraniazione del protagonista potrebbero però essere gli stessi. Analizzare l’immagine e cercare un finale diverso, è possibile grazie anche al contributo di filosofi e pensatori del passato. Partendo per esempio dalle ricerche di studiosi dell’Ottocento per arrivare all’epoca dell’intelligenza artificiale e delle grandi innovazioni tecnologiche, seguendo il filo dei cambiamenti economici, sociali, normativi che hanno interessato il mondo del lavoro di volta in volta. Una lente di ingrandimento attraverso la quale raccontare le caratteristiche dell’organizzazione lavorativa di oggi, gli aspetti da migliorare, le esigenze di lavoratori e lavoratrici di cui tener conto. «Il lavoro nella nostra contemporaneità rappresenta molto più di una semplice attività remunerativa: è un elemento centrale dell’organizzazione sociale e urbana, un punto di riferimento identitario e un requisito di cittadinanza. Rappresenta il patentino di accesso alla società e ai diritti fondamentali, come la pensione e l’assistenza sanitaria», spiega Tiziana Faitini. Un’indagine del Pew Research Center del 2021 ha evidenziato come il lavoro sia una delle principali fonti di senso e soddisfazione per le persone nei Paesi a economia avanzata. In Italia, il 43% degli intervistati lo ha indicato come l’elemento più significativo nella propria vita. Questo dato sottolinea la centralità dell’occupazione come fattore identitario e relazionale. In tempi recenti, tuttavia, la pratica e la concezione stessa del lavoro hanno attraversato una profonda trasformazione, ponendo nuove domande sul suo significato e sulle implicazioni sociali. «Nel periodo della Rivoluzione industriale, il lavoro era concepito in termini di fatica misurabile e quantificabile. Oggi, invece, la situazione è cambiata – ragiona Valeria Vignocchi che prosegue – le trasformazioni tecnologiche, la globalizzazione e la digitalizzazione hanno ridefinito il concetto stesso di lavoro, introducendo nuove dinamiche basate sull’inventiva e sull’intelletto. La distinzione tra tempo lavorativo e tempo libero si è progressivamente assottigliata: attività che un tempo appartenevano alla sfera del tempo libero ora sono diventate parte integrante della produzione di valore economico». Nel suo discorso Vignocchi cita il saggio di Carlo Cattaneo “Del pensiero come principio d’economia pubblica”, scritto nel 1861, emblematico di questa prospettiva. Cattaneo evidenziava come il progresso economico non derivasse solo dalla produzione di beni materiali e servizi, ma anche dall’intelligenza, dalla creatività e dalla volontà umana. «Questa concezione si contrappone alla visione dell’economia classica, secondo cui il lavoro produttivo era solo quello misurabile in termini materiali. L’autore rivendica anche la presenza di un’altra dimensione altrettanto importante, quella della “psicologia della ricchezza” composta dalle facoltà dell’intelligenza e della volontà», sottolinea la studentessa. Oggi assistiamo a una coesistenza di questi due modelli. Da un lato, un’idea di lavoro basata sull’impegno reale e corporeo, dall’altro, la valorizzazione delle competenze soggettive e creative. Tuttavia, questa seconda dimensione comporta anche il rischio di uno sfruttamento più sottile, in cui ogni aspetto della vita personale diventa funzionale alla produzione. «Siamo costantemente chiamati a dimostrare le nostre competenze, accumulare esperienze e trasformare ogni aspetto della nostra vita in un valore economico – secondo Faitini che prosegue – il fatto di imparare lingue nuove, o di avere un interesse per la musica o per qualsiasi altra cultura, diventa qualcosa che nutre il nostro lavoro. Vuol dire che tutto di noi rientra nel lavoro e questo fa sì che il nostro tempo libero sia vissuto in funzione di esso». Uno degli effetti più evidenti di questa trasformazione è la progressiva sfumatura del confine tra tempo di lavoro e tempo libero. Complici anche le nuove tecnologie, che se un lato hanno semplificato alcuni processi produttivi, rendendoli più flessibili e meno pesanti, dall’altro hanno comportato un’invasione della sfera personale: il lavoro si mescola alla quotidianità. «In questa interazione continua tra essere umano e macchina – mette in guardia Faitini – quello che sta succedendo è che le macchine guidate da un’intelligenza artificiale determinano quello che devono fare gli esseri umani, in contesti produttivi ma anche istituzionali, familiari, organizzativi». Nel contesto lavorativo, il controllo algoritmico sta portando a una nuova forma di alienazione, in cui la persona è considerata esclusivamente in funzione della propria produttività. La ricercatrice cita il caso di una grande multinazionale in cui vengono monitorati costantemente velocità di esecuzione, spostamenti, tempi di preparazione del prodotto di ogni addetto. Un controllo pervasivo da parte di un freddo e impersonale algoritmo. Che gestisce la catena di montaggio già citata. E che addirittura decide del licenziamento di chi non è ritenuto efficiente. La sfida per il futuro è tutelare le persone senza soffocare le loro potenzialità creative e innovative. Le discipline umanistiche possono offrire un contributo decisivo per guardare criticamente alle nostre esperienze lavorative ed elaborare nuove politiche di regolamentazione, con gli strumenti giuridici e della negoziazione sindacale. Ad esempio, l’introduzione del diritto alla disconnessione nasce proprio dalla necessità di rispondere a cambiamenti profondi nella struttura del lavoro. «Guardare alla storia delle rappresentazioni del lavoro insegna che le strutture e le norme sociali non sono immutabili: il modo in cui oggi viviamo il lavoro è il frutto di scelte e trasformazioni storiche. Allo stesso modo, il futuro del lavoro dipenderà dalla capacità di immaginare e costruire nuovi modelli, che mettano al centro non solo la produttività, ma anche la qualità della vita di chi lavora», conclude Tiziana Faitini.

 

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link