TRASPORTI IN SCIOPERO: DIFENDERE I DIRITTI PER MUOVERE L’ITALIA

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In un periodo in cui i salari stagnano e i diritti dei lavoratori si erodono, il settore dei trasporti si conferma come l’ultimo baluardo a difesa delle tutele costituzionali. Ad accendere le polemiche, le recenti decisioni della Commissione di garanzie, che con delibera 20/25 del 3 febbraio 2025, che modifica unilateralmente le regole sui servizi garantiti durante gli scioperi festivi nel Gruppo FSI, introducendo fasce di protezione per gli utenti anche nelle giornate finora escluse. Una modifica contestata dalle sigle FAST-Confsal, ORSA e UGL Ferrovie che, denunciando limitazioni indebite ai diritti dei lavoratori, hanno proclamato uno sciopero nazionale di 8 ore per il 23 febbraio 2025, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di non comprimere ulteriormente il diritto di sciopero.

La Commissione di Garanzia ha immediatamente intimato ai sindacati di fare marcia indietro, accusandoli di violare la normativa che vieta la sovrapposizione di più azioni di sciopero, mentre essa stessa, con tali decisioni, moltiplica i giorni di disagio per chi viaggia. Il diritto di sciopero è uno strumento imprescindibile per riequilibrare i rapporti di forza tra lavoratori e datori di lavoro, ma le recenti delibere ne limitano pesantemente l’efficacia. Per questo, le organizzazioni hanno richiesto un incontro urgente per discutere l’esercizio delle proprie prerogative nel trasporto ferroviario e la sospensione delle delibere contestate.

Troppo spesso si dimentica che il settore dei trasporti non è solo un servizio pubblico, ma un comparto produttivo che impiega migliaia di persone. Limitare il diritto di sciopero in questo settore significa indebolire una delle ultime categorie in grado di esercitare una pressione significativa per migliorare le condizioni lavorative in Italia. Scioperare non è una scelta leggera: chi lo fa rinuncia a una giornata di stipendio, si espone a rischi e spesso non ottiene risultati immediati. Ma ovunque lo sciopero resta un’arma determinante. In Germania, quando le trattative salariali si arenano, i lavoratori scendono in piazza per giorni o settimane. Negli Stati Uniti, operai e impiegati portano avanti proteste prolungate ottenendo aumenti salariali rilevanti. In Italia, invece, la durata media di uno sciopero si riduce a poche ore, che crea grandi polveroni ma di fatto non ha la pressione necessaria per incidere davvero.

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Il sistema spinge i lavoratori a credere di non avere alternative. Senza un fondo adeguato per sostenere i costi degli scioperi, chi ha uno stipendio basso non può permettersi di lottare per uno migliore. Così il circolo vizioso continua: salari bloccati, contratti rinnovati con ritardi inaccettabili e lavoratori sempre più poveri. Nel frattempo, le aziende prosperano e la politica resta inerte.

Parallelamente, il ruolo dei sindacati è cambiato profondamente nel tempo. Sempre più spesso, si trasformano in fornitori di servizi, offrendo assistenza fiscale, previdenziale e burocratica ai lavoratori, piuttosto che organizzare lotte sindacali incisive. Questo cambio di paradigma ha contribuito a depotenziare lo strumento dello sciopero, riducendone la capacità di incidere realmente sulle politiche salariali e sulle condizioni di lavoro.

Quando uno sciopero blocca una città, molti cittadini si lamentano del disagio. Ma la domanda da porsi è un’altra: cosa accadrebbe se nessuno scioperasse più? Cosa accadrebbe se i lavoratori smettessero di far valere i loro diritti? Senza scioperi, le condizioni di lavoro peggiorerebbero ulteriormente, i salari resterebbero fermi e i contratti si rinnoverebbero con ritardi cronici. Chi ha il potere non lo cede spontaneamente: va conquistato, sempre.

Non sono i lavoratori a penalizzare il Paese, ma chi vorrebbe scioperare e non può. Per paura, per necessità, per isolamento. È proprio questa la strategia di chi intende silenziare le proteste: dividere, indebolire, rassegnare. Ma la storia insegna che nessun diritto è stato mai concesso senza una lotta. Oggi più che mai, scioperare non è solo un diritto: è un dovere per chi crede nella dignità del lavoro.

Se i trasporti si fermano, l’intero Paese ne risente. Non si tratta di un ricatto, ma di una realtà strutturale. I lavoratori del settore sanno che il loro ruolo è strategico, ma è proprio per questo devono continuare a poter rivendicare diritti e salari adeguati. Mentre in altri comparti il potere contrattuale è stato eroso dalla precarizzazione e dalla difficoltà di poter far valere i propri diritti nei confronti delle aziende, i trasporti restano una delle ultime roccaforti delle battaglie sindacali per una contrattazione collettiva efficace.

Per cambiare davvero le cose, serve un cambio di mentalità. Occorre riconoscere che chi sciopera non lo fa contro gli utenti, ma a favore di un lavoro più giusto, per tutti. Chi protesta si batte per l’affermazione di diritti che migliorano la società intera. Il blocco di un treno, un autobus o un aereo non è mai un gesto fine a sé stesso, ma un grido di protesta per condizioni più dignitose, orari sostenibili, stipendi che non vengano erosi dall’inflazione. Fattori imprescindibili per chiunque presti la propria opera in cambio di una retribuzione.

Le cifre parlano chiaro: tra il 2021 e il 2023, in Germania i salari sono aumentati del 14%, in Francia dell’11%. In Italia, invece, sono rimasti fermi per trent’anni. I sindacati italiani, spesso costretti a negoziati al ribasso, devono fare i conti con un diritto di sciopero sempre più limitato. Altrove, scioperi prolungati portano a conquiste salariali importanti, mentre in Italia si protesta per qualche ora senza poter incidere davvero sulle trattative.

Invece di condannare gli sciopero, l’opinione pubblica dovrebbe interrogarsi sulle sue cause. Perché un macchinista, un autista o un operatore aeroportuale o un controllore del traffico aereo devono fermarsi, rinunciando al proprio stipendio? Perché il sistema di contrattazione non garantisce aumenti salariali senza bisogno di mobilitazioni? La realtà è che senza scioperi efficaci, i contratti vengono rinnovati con anni di ritardo, il potere d’acquisto diminuisce e i lavoratori diventano sempre più poveri. Questa non è solo una sconfitta per loro, ma per l’intero Paese.

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È tempo di superare la visione secondo cui lo sciopero è una minaccia. Al contrario, è un pilastro della democrazia, un equilibrio necessario tra capitale e lavoro. E i trasporti rappresentano l’ultimo settore in cui questo diritto ha ancora un peso significativo. Ma se continuerà ad essere ulteriormente svuotato da interventi normativi restrittivi, anche questa possibilità verrà meno. A quel punto, chi lotterà per salari e diritti?

Non si tratta solo di una battaglia sindacale, ma di una questione culturale, sociale ed economica. Se vogliamo un’Italia in cui il lavoro venga rispettato e retribuito equamente, dobbiamo sostenere chi lotta per questi obiettivi. Perché senza scioperi, non ci sono conquiste. E senza conquiste, il lavoro diventa più precario, insicuro e sottopagato. Un Paese che marginalizza e imbriglia chi sciopera è un Paese che sta rinunciando alla propria giustizia sociale.



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