Rabbia e strategie, il Granduca di Campania Vincenzo De Luca all’ultima sfida

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di
Fabrizio Roncone, inviato a Napoli

Incontro ravvicinato con il governatore che non demorde sul mandato «tris»

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L’agguato (giornalistico) a Vincenzo De Luca, Granduca di Campania, è organizzato in via Toledo, tra le luci sempre accese delle jeanserie e il profumo alla vaniglia delle sfogliatelle appena sfornate, perché i turisti sono famelici e mangiano di tutto a tutte le ore, «sfugliatèlle» e «ricce» e pizza fritta anche adesso, a metà pomeriggio, davanti la sede delle Gallerie d’Italia, dove l’Ansa sta per presentare il volume fotografico dell’anno appena trascorso e i fotografi e i cameraman scappano su al primo piano per seguire il sindaco Gaetano Manfredi e pure Roberto Fico, grillino sulfureo, a lungo rintanato, ma ora di nuovo rampante, s’è rimesso la cravatta e, dopo esser stato prima importatore di tessuti e poi persino presidente della Camera, tenta un nuovo colpaccio (dopo vedremo quale).

Il Granduca è in ritardo.
Non vuole mischiarsi con quei due, dicono.




















































È nel pieno di una campagna elettorale personale e visionaria, con lampi di rabbia, gonfia di passione. In attesa che la Corte costituzionale si esprima sulla legittimità della legge che apre al (suo) terzo mandato (pronunciamento atteso per la fine di aprile), il Granduca ha già cominciato la partita. Sa che può essere quella finale. Ha tutti contro: la sua segretaria Elly Schlein e buona parte del partito lo considerano un satrapo ingombrante, i 5 Stelle lo detestano, ai compagni di Avs, Fratoianni e Bonelli, fa venire le bolle. Solo con Renzi va abbastanza d’accordo (certe tipologie umane, in politica, quasi sempre s’annusano, e si piacciono). Ma Renzi è troppo poco.

Avvicinalo con molte precauzioni, soffiano premurosi: il presidente è bizzoso, può rivelarsi brutale o accogliente, preparati allo sguardo vitreo e alla voce tremante, a proclami minacciosi, a raptus metaforici. Ti ritroverai dentro un situazionismo magnetico e tragico. Non provocarlo. Soprattutto, non nominargli Elly.

Eccolo. Viene avanti con le mani in tasca, indossa un cappotto corto e nero, ha il suo ghigno caratteristico, ben oltre l’imitazione di Maurizio Crozza.

Buonasera, presidente: da quant’è che non sente Elly Schlein? 
«El… Ell… Chi? Chi dovrei sentire? Secondo lei, mi dica, era possibile ragionare con Breznev? C’è qualcuno che sia in grado di parlare con Kim Jong-un?» (i tre della scorta dietro, e lui che punta il bar, al piano terra: ordina una bottiglia d’acqua, si siede). «Io non parlo di politica politicante. Non parlo con quei farisei del Pd… A-ni-me-mor-te interessate solo a stringere accordi e accordicchi di bieco potere. Gente che a Roma trama e decide spartizioni…». 

Ragioniamo. Lei è intenzionato a candidarsi comunque, anche se la Consulta dovesse esprimere parere negativo? 
«Io aspetto, l’attesa for-ti-fi-ca».

Sa che il Pd, per cercare di tagliarla fuori, sta pensando di scegliere un candidato prima della sentenza? 
«Cosa decidono? Dove? La verità è che questa storia del terzo mandato è solo una volgare ipocrisia della signora… Perché no, dico: io sarei un problema, mentre Andrea Orlando, tre volte ministro, parlamentare per cinque legislature, può invece essere candidato a governatore della Liguria, dove per altro perde? Lasci stare. Alcuni imbecilli del mio partito pontificano, senza neppure sapere dov’è la Campania. Io invece parlo alla mia comunità…». 

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E cosa gli dice? 
«Parlo con i fatti. Sto risolvendo problemi biblici. Ci prepariamo a costruire di-e-ci-nu-o-vi ospedali, e a Salerno abbiamo già inaugurato il primo cantiere. Stanno arrivando 1.200 bus nuovi, 130 treni fiammanti… Ma i capi e capetti del Nazareno queste cose non le sanno, perché qui non si sono mai visti». Con la Schlein, qui a Napoli, vi siete però incontrati due volte. «E… ll… y… Arrggg…» (qui, il Granduca emette un suono gutturale). 

Va bene, cambiamo discorso. L’onorevole Ruotolo sostiene che, nel Pd locale, esiste una questione morale. 
«O-no-re-vo-le? Non diffami il concetto di onore». Vi hanno arrestato pure il tesoriere, presidente. Fatture false e riciclaggio. «Guardi che in questa regione il partito è commissariato… Anzi, sequestrato, da due anni. Lo statista Misiani… La signora Camusso… Perché non sono andati in Procura?» (ora De Luca si alza: 75 anni portati come un leone, grinta strepitosa). 

L’ipotesi di eventuali primarie? 
«Io sono un uomo libero. Non mi faccio aggredire dalle belve del Pd».

Sparisce sulla scalinata mugugnando ancora qualcosa. Sensazione netta: per Schlein&Company quest’uomo era e resta un problema enorme. La scena è ingarbugliata. Provo a semplificarvela.

Allora, ipotesi numero uno: la coalizione di centrosinistra trova un nome su cui convergere prima che arrivi la sentenza della Consulta (l’ideale sarebbe il magistrato Raffaele Cantone, che ha già detto di non essere disponibile: ma che, forse, con una candidatura sostenuta con forza da tutti, come fu per Manfredi, potrebbe ripensarci). In questo caso, se la Consulta poi bocciasse l’ipotesi del terzo mandato, De Luca sarebbe politicamente finito; se, invece, gli desse ragione, De Luca potrebbe candidarsi da solo alla guida di un terzo polo, ma mettendo nei guai il figlio Piero, deputato del Pd (paziente e in odore di santità), oppure potrebbe trattare qualcosa, ma sarebbero briciole.

Ipotesi numero due: il centrosinistra un candidato non riesce a trovarlo (scenario possibile e probabile, conoscendo le ambizioni sfacciate di Fico, che al Pd però non piace, o la disponibilità di Sergio Costa, che sembrerebbe troppo legato allo stesso De Luca). In questo caso, se la Corte costituzionale esprimesse parere negativo, De Luca può comunque sedersi al tavolo delle trattative con un peso importante, e trattare più soluzioni, tipo: spingere per candidare Costa, oppure chiedere di tornare a fare il sindaco di Salerno. Se, al contrario, la Consulta dicesse sì, va bene, De Luca può fare il governatore per un terzo giro, per lui sarebbe un vero trionfo.

Il sogno realizzato di un ex grigio dirigente comunista che inizia la scalata al potere riuscendo a prendersi Salerno per quattro volte (la prima, nel 1993), sindaco con effetti speciali, i manganelli ai vigili urbani («Il manganello — disse — è un commovente oggetto di persuasione») e le fontane d’acqua nelle piazze, una smorfia di puro scherno per ogni inchiesta giudiziaria, per ogni soprannome: «Fidel», «Sceriffo», «O’ Faraone» e, infine, «Il Granduca», da quando pensa che, scomparso il Regno dei Borboni, queste terre siano diventate sue.

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Spavaldo e arrogante, pittoresco e ferocemente in carriera, notte e giorno, un mese, un anno dopo l’altro. Lo attaccano, e lui gode. Lo minacciano, e lui gode anche di più. Gli dicono che è finita, e lui ringhia: «No. Qui è appena cominciata».

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9 febbraio 2025

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