In arrivo un nuovo testo. Meloni conferma di non piegarsi agli ostacoli
Se stiamo assistendo a un pericoloso scontro istituzionale tra poteri dello Stato, a Palazzo Chigi sono convinti di non averlo innescato, bensì subìto. Tanto che ieri sera, accogliendo con evidente sollievo la nomina del «dialogante» Cesare Parodi al vertice dell’Associazione nazionale magistrati, Giorgia Meloni ha teso una mano alle toghe. Ora che Giuseppe Santalucia non è più alla guida dell’Anm, la premier non vede l’ora di «riprendere un sano confronto» e di allontanare da Palazzo Chigi ogni responsabilità per un braccio di ferro che rischia, come ha ammonito Alfredo Mantovano, di «toccare il nostro sistema democratico».
Meloni e i suoi non fanno autocritica e non innescano la retromarcia. Restano convinti che siano stati gli avversari in toga a scagliarsi contro il governo, con l’avviso di iscrizione nel registro degli indagati relativo al caso Almasri e con la presunta diffusione di notizie riservate sull’affaire Gaetano Caputi, il capo di gabinetto della premier. E se gli 007 del Dis hanno denunciato il procuratore Francesco Lo Voi, assicurano fonti di governo, «non è stato per vendetta, ma per atto dovuto». Come non sarebbe una vendetta la mossa dei cinque membri laici del Csm che hanno chiesto il trasferimento del procuratore.
Raccontano che Meloni non sia scoraggiata, «perché è una combattente, ma amareggiata sì». E anche preoccupata. Non tanto per lo scontro istituzionale tra il potere esecutivo e quello giudiziario, «perché è una cosa che non incide sulla vita dei cittadini e che la maggioranza delle persone non capisce». Ad allarmarla sono piuttosto «gli attacchi dall’estero, che mirano a danneggiarci». In giorni di spionaggi e controspionaggi, a Palazzo Chigi si evita di pronunciare la parola complotto, ma si guarda con sospetto a Berlino e a Londra. In Germania è transitato il generale Almasri senza essere fermato e in Gran Bretagna è esploso, sulle pagine del Guardian, il caso del software spia di Paragon Solutions, che ha messo in imbarazzo il governo.
E adesso? Giorgia Meloni vuole lasciarsi alle spalle una delle settimane più difficili del suo mandato e rispondere nei fatti all’accusa bruciante che da giorni le rivolgono i leader delle opposizioni: quella di scappare, rifiutando il confronto. Per cancellare l’immagine di quella sedia vuota nelle Aule di Camera e al Senato, mentre i ministri Piantedosi e Nordio difendevano il governo sul rimpatrio del torturatore libico Almasri, la premier sta studiando il rilancio del governo. «Abbiamo perso anche troppo tempo dietro a questa vicenda», è il rammarico che ha confidato ai collaboratori, con i quali ha costruito un’agenda settimanale di appuntamenti tutti romani.
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Meloni non volerà a Parigi all’evento di Macron sull’intelligenza artificiale, né a Monaco per la conferenza sulla sicurezza. Domani riceverà a Palazzo Chigi il cancelliere austriaco, martedì sarà all’assemblea nazionale della Cisl e giovedì al «vertice» in Vaticano per l’anniversario dei Patti Lateranensi. Per dare il senso di un’accelerazione, se non di un cambio di passo, tra Palazzo Chigi e il Viminale si lavora a un nuovo provvedimento che rimetta in moto i centri migranti in Albania, resi inservibili dal doppio stop imposto dai magistrati. La bozza del nuovo testo normativo, forse un decreto, potrebbe essere pronta entro martedì e ai piani alti della maggioranza si respira ottimismo: «Non prenderemo un’altra cantonata giuridica». A gennaio la premier aveva promesso che non si arrenderà e riuscirà a far funzionare i centri di Gjader e Shengjin. Lo scontro senza precedenti con le toghe ha rafforzato la convinzione che «bisogna andare avanti», anche per non darla vinta a quei «giudici politicizzati» che, la premier ne è convinta, vogliono impedirle di realizzare il programma: «Il mio compito è far funzionare la nazione, non mi farò paralizzare». In questo groviglio di spine, il governo punta a far slittare il più avanti possibile il voto su Daniela Santanchè. La mozione di sfiducia del M5S arriva in Aula domani e la ministra non parlerà.
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